G ianluca Lapadula è sempre stato - e probabilmente sarà - un centravanti del tutto atipico. I gol ha dimostrato di saperli fare, anche se in Serie A spesso sono mancati, ma si è sempre fatto notare per un’altra caratteristica, non certo tipica degli attaccanti: la «garra», come la chiamano in Sudamerica. La voglia di arrivare prima su ogni pallone, la grinta nel non mollare mai un centimetro. Il cuore prima della tecnica. Se la passione per il calcio gliel’ha trasmessa il padre, pugliese emigrato nella periferia di Torino, la garra ce l’ha nel sangue. Gliel’ha trasmessa la madre, peruviana. Insieme a orgullo e dignidad, orgoglio e dignità. Due parole che non possono mancare nel vocabolario di un peruviano, rappresentano la forza di un popolo spesso schiacciato, mai domo. Come Lapadula, che di strada per arrivare in Serie A ne ha fatta. Parecchia. Il calcio come unica strada, ma anche una questione di famiglia: il fratello maggiore, Davide, gioca nei dilettanti. Anche lui fa l’attaccante e ogni stagione scommettono una cena di pesce, che pagherà chi segnerà meno gol. Questa è la sua storia.