I media usano sovente paragonare la condizione del movimento calcistico di un dato paese, alla sua condizione sociale, come se questo (il calcio) fosse lo specchio fedele dei suoi vizi e delle sue virtù. Se non ci credete, potete verificare di persona e googlare “calcio + specchio”. Vedrete così comparire sul vostro schermo una lunga lista di articoli che il motore di ricerca vi consiglierà di leggere.
In tutta sincerità chi vi scrive non ha una conoscenza così approfondita del Camerun o della Germania, tanto per citare due stati a caso, per sapere se i rispettivi movimenti calcistici rappresentino lo specchio fedele di come sono organizzate le rispettive nazioni, ma conosce a sufficienza vizi e virtù di chi abita, produce, e governa il nostro paese, per dire che quando questo paragone è cucito addosso all’Italia, funziona molto bene. Uno di questi vizi, perché di virtuoso come vedrete poi c’è ben poco, sta nel definirsi continuamente “unici al mondo” in un sacco di cose, che vanno dalla moda al cibo per citare le due più inflazionate (ma se ne potrebbe fare un elenco lunghissimo), per poi scoprire invece che nella realtà non è esattamente così, e che soprattutto nella vita reale di tutti i giorni, il belpaese ha da risolvere tanti problemi e che la maggior parte di questi sono di lunga data. Per questo, anche se ci si vanta di continuo del “genio italico”, lungo lo stivale si è sempre alla ricerca di “modelli”, di qualcosa che si possa “copincollare”, per una “soluzione pronta”, così da sistemare quello che non va. Qualche volta la soluzione sta sotto il nostro naso, perché qualcosa di buono in realtà il nostro paese lo fa, ma la maggior parte delle volte si cerca altrove e si guarda oltre confine. Si utilizzano modelli che nascono da paradigmi di pensiero diversi sperando che funzionino anche alle nostre latitudini, e per convincere tutti delle loro bontà li si infarcisce di luoghi comuni, che vanno dalla “precisione svizzera”, alla “instancabilità dei tedeschi”, alla “perfetta organizzazione dei giapponesi”. Così, mentre si cerca ispirazione nel nord Europa per risolvere i problemi dell’immondizia a Roma, il calcio guarda oltre manica (da decenni) per copiare un sistema basato sullo sfruttamento del brand e sugli stadi di proprietà e di nuova generazione. Il risultato: la città eterna resta “eternamente” sporca; e per gli stadi italiani bisogna coniare nuovi vocaboli, perché definirli “vecchi ed obsoleti” ha ormai un’accezione positiva rispetto allo stato reale degli impianti.