Cronaca / Bergamo Città
Domenica 02 Agosto 2020
Walter Ricciardi: «Il virus c’è ancora.
Giusto prolungare lo stato d’emergenza»
Walter Ricciardi, consulente del ministro: «L’ondata è una sola, continuiamo a proteggerci Ma la sanità territoriale lombarda va ripensata».
La pandemia è qui con noi, ancora. E non si parli di una, due, tre ondate; l’ondata è una sola, è arrivata, ha mietuto tante, tantissime vittime, e non è andata via. «E quindi bisogna stare vigili. Non gettiamo al vento quello che siamo riusciti ad ottenere, l’Italia ha ben più di un motivo per essere orgogliosa per come ha gestito questo ciclone del nuovo coronavirus. E soprattutto lo devono essere i bergamaschi, sono stati loro i veri combattenti in trincea, in prima linea. Tutto il Paese deve fare loro i complimenti». Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di Sanità, ordinario di Igiene all’Università Cattolica di Roma, consigliere della direzione della Regione Europea dell’Organizzazione mondiale della Sanità e consulente del ministro della Salute Roberto Speranza nell’emergenza della pandemia, non ha dubbi: «È l’Italia il Paese che ha fatto meglio, in tutto il mondo, contro il dilagare del Covid. Ma proprio perché siamo stati i più bravi dobbiamo smettere di parlare di prima, seconda, terza ondata: il virus è qui con noi, e solo osservando le regole riusciremo a vincere la guerra».
Davvero siamo stati i più bravi?
«L’Italia è certamente il Paese che dal punto di vista di nuovi contagi e diffusione è messo meglio in Europa. E fuori dall’Europa sappiamo bene come stanno andando le cose: si guardi agli Usa al Brasile, all’India. Il premio Nobel Paul Krugman di recente ha dichiarato che la strategia italiana ha funzionato perché qui abbiamo persone competenti mentre negli Usa no. In realtà negli Usa i competenti ci sono, ma è innegabile che per essere stato il primo Paese del mondo occidentale ad affrontare questo ciclone siamo quelli che hanno retto meglio. L’Italia ha saputo coniugare le indicazioni politiche con le evidenze scientifiche, senza perdere di vista l’impatto economico delle misure prese e dopo di noi altri Paesi hanno potuto mettere in salvo le loro popolazioni perché hanno adottato i nostri protocolli. Dovremmo essere tutti molto orgogliosi di quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo. E se il governo ha saputo mostrare fermezza e attenzione al rigore scientifico nella cabina di regia, i più grandi complimenti vanno fatti a chi ha saputo stare in trincea: Bergamo è la prima provincia d’Italia con cui ci si dovrebbe congratulare».
Sulle zone rosse e sulle mancate istituzioni, a dire il vero, le polemiche imperversano. Ci sono indagini in corso, a Bergamo.
«Su questo non mi posso pronunciare, sono stato sentito in Procura e non parlo su questioni che sono all’attenzione della magistratura».
Bergamo merita la medaglia per come ha combattuto in trincea. Ma perché è successo proprio qui? Perché la Lombardia è diventata l’epicentro della pandemia?
«Il virus che ha colpito è sempre lo stesso, il Sars-Cov2, non ci sono variazioni o modificazioni, oggi come a febbraio-marzo è lo stesso virus, ma la Lombardia, e quindi Bergamo, è stata la prima regione del mondo occidentale ad affrontare un nemico sconosciuto, di cui non si sapeva assolutamente nulla. E questo certamente non l’ha aiutata, poi con il passare del tempo è risultato più chiaro che per affrontare questo virus serviva una struttura della sanità pubblica territoriale che la Lombardia non ha. Il sistema lombardo è frutto di una serie di normative che ha portato a privilegiare l’eccellenza delle strutture ospedaliere, e infatti sono quelle che hanno saputo reggere di più. Ma per fronteggiare questa pandemia è cruciale il ruolo della sanità territoriale, e su questo la Lombardia è risultata meno attrezzata di altre regioni, basta vedere come hanno retto, e meglio, il Veneto e l’Emilia Romagna. Su questo senza dubbio si dovrà riflettere, anche in tempi brevi: gli ospedali sono fondamentali, e l’eccellenza lombarda non è in discussione, ma la medicina del territorio va sicuramente ripensata».
Bisogna stare lucidi, eppure sembra che da più parti si stia abbassando la guardia.
«Va ribadito chiaramente: solo quando neppure un Paese avrà nuovi casi per almeno 40 giorni consecutivi si potrà dichiarare finita la pandemia. Ma oggi siamo lontani da questo traguardo, la pandemia è in corso, e l’ondata è una sola. Quindi la strategia di contrasto non va cambiata. Ecco quindi che è stato importante che l’Italia dichiarasse il prolungamento dello stato di emergenza: non perché si pensi a un nuovo lockdown, ma perché questo permette al governo di poter attivare in tempi rapidi qualunque azione necessaria, dal punto di vista economico e di salute pubblica, a combattere i contagi. L’Italia, oggi, ha una situazione a macchia di leopardo e non è in una bolla isolata dal resto del mondo: la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta, ma dobbiamo proteggere quanto abbiamo conquistato, quindi ora oltre a tutte le misure già in atto serve un maggiore controllo agli ingressi dall’estero, dove i risultati come i nostri non ci sono. E sarebbe opportuna una collaborazione europea. L’Italia è anche un confine europeo: proteggerci e aiutarci a proteggerci da contagi che arrivano dall’estero è determinante».
Ma sui provvedimenti da prendere per evitare altri contagi non c’è stata un po’ di confusione? Mascherine sì poi no, guanti sì poi no, sui treni sedute distanziate, poi invece a piena capienza e quindi di nuovo una retromarcia. La gente non può non interrogarsi.
«Le indicazioni fornite vanno lette con la lente della contemporaneità: il Sars-Cov2 era sconosciuto fino a 7 mesi fa, e in questo periodo si è arrivati a fare passi che di solito si fanno in 70 anni. Prima di capire qualcosa di più di questo virus ci vorranno anni, ma in termini di sanità pubblica l’Italia, seguendo le indicazioni dell’Oms, ha sempre fornito le indicazioni giuste. Oggi il nostro Paese è il primo al mondo nell’uso di mascherine, e i risultati si vedono. Certo, in questi mesi abbiamo anche sofferto e soffriamo di infodemia, l’epidemia di informazioni, soprattutto attraverso i social media, che è cresciuta insieme al Covid. Ma la stragrande maggioranza della popolazione ha dimostrato di saper ascoltare le fonti scientifiche certe».
I negazionisti non ci mancano.
«Ci sono come in altre parti del mondo, è un fenomeno che va messo in conto. La politica e la scienza non devono farsi intimorire, ma combatterli attraverso gli strumenti di conoscenza. Siamo in democrazia, combattiamoli in modo democratico. Ricordiamolo: le dittature, come è stato dimostrato, nelle pandemie sono un problema ancora più grave».
A proposito di mascherine, ora si trovano ovunque: qual è la situazione degli approvvigionamenti?
«Non ci sono più problemi per i dispositivi di protezione individuale. Abbiamo fondi a disposizione per sostenere la sanità, e per potenziare gli ospedali e la medicina del territorio. Usiamoli, senza esitazione, e usiamoli nel modo migliore».
L’autunno è dietro l’angolo: come siamo messi con il vaccino antinfluenzale? È davvero importante proteggersi, anche come lotta contro il Covid?
«Una campagna vaccinale contro l’influenza stagionale è determinante, nella guerra alla pandemia. La campagna dovrà essere a tappeto, coinvolgendo quanta più popolazione possibile. La Regione Lombardia non ha problemi di approvvigionamento, qualche altra regione d’Italia è ancora indietro: certo è fondamentale muoversi per tempo, le dosi non sono inesauribili e la disponibilità a livello mondiale risulta già scarsa».
Vaccini, dicevamo: arriverà quello contro il nuovo coronavirus?
«Ci sono candidati promettenti, la ricerca si è accelerata in modo impensabile: in media ci vogliono 10-15 anni per mettere a punto un vaccino. Io sono convinto che l’anno 2021 sarà l’anno del vaccino antiCovid, e l’Italia si è già messa al sicuro con l’alleanza tra Francia, Germania e Olanda per un approvvigionamento tempestivo. Intanto, dobbiamo continuare a proteggerci con mascherina, igiene costante delle mani, distanziamento sociale».
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