Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 24 Febbraio 2021
«Vicini alla svolta, ma restiamo attenti
Le chiusure mirate? Sono una soluzione»
Il prefetto Ricci: «I dati indicano i contagi in aumento. Aspettando i vaccini rispettiamo le regole». L’invito ai giovani: «Devono fare la loro parte». Il grazie a bergamaschi: «Il “mola mia” qui non è solo un motto».
messaggio è forte e chiaro: «Continuiamo tutti a mantenere alta l’attenzione e ad avere fiducia. Siamo ormai vicini alla svolta, dobbiamo reggere questo tempo di attesa per poterci vaccinare, che mi auguro sia il più breve possibile». Un messaggio che il prefetto Enrico Ricci rivolge anche (e soprattutto) ai giovani: «Teniamo duro ancora per un po’ e rispettiamo le regole, a tutela nostra e delle fasce più deboli: siamo stati tutti giovani e sappiamo come questa situazione sia una sofferenza, ma devono fare la loro parte e pensare ai nonni e ai genitori».
La situazione purtroppo torna a peggiorare.
«Purtroppo sì. I dati indicano una situazione in aumento e dobbiamo avere la massima attenzione».
Ora ci sono 8 Comuni bergamaschi in zona arancione rinforzata, diciamo così. Ecco, la scelta di ricorrere a interventi mirati, più circoscritti, può essere una soluzione?
«Sì, la linea d’azione che sta emergendo sembra questa, interventi di natura chirurgica invece di chiusure più estese. Ma bisogna essere davvero cauti perché la situazione è in continua evoluzione. Però potrebbe essere una soluzione assolutamente praticabile, come del resto già fatto la scorsa settimana per 4 Comuni lombardi dove sono emersi focolai di una certa qual consistenza».
Dicevamo della situazione bergamasca...
«È tornata ad essere non dico preoccupante ma sicuramente meritevole di grande attenzione. Nella seconda ondata la nostra provincia è stata tra le meno colpite e aveva dei dati a livello basso, in quest’ultima fase si registra - purtroppo - una ripresa legata anche alla presenza delle varianti. Una situazione che coinvolge spesso, soprattutto, i giovani».
E che con la riapertura delle scuole è emersa in modo chiaro.
«Non abbiamo un’indagine scientifica che connetta in modo chiaro la riapertura delle scuole alla ripresa dei contagi, ma dall’andamento di questi mesi una cosa emerge con una certa evidenza: ogni qual volta c’è una riapertura di qualsiasi genere abbiamo un aumento dei contagi. E questo è pacifico e accettato da tutti».
Ad ogni modo il tavolo da lei coordinato su scuola e trasporti ha sempre scelto la strada della prudenza.
«Sì, siamo stati estremamente prudenti fin dalla predisposizione del piano, prevedendo un’organizzazione del trasporto pubblico tarata su una ripresa della didattica in presenza del 75% degli studenti. Abbiamo mantenuto questa previsione anche quando la didattica è effettivamente ripartita, ma al 50. E devo dire che la verifica che abbiamo fatto la scorsa settimana ha dato un esito oggettivamente buono, come ci è stato confermato sia dall’Agenzia del trasporto pubblico che dal mondo della scuola. Problemi non ce ne sono stati, né abbiamo ricevuto segnalazioni sul servizio o per gli assembramenti dei ragazzi: solo fenomeni circoscritti e risolti subito. Va detto che a Bergamo abbiamo iniziato a ragionare su questo tema fin da maggio, anticipando anche la normativa nazionale».
Questo assetto delle scuole resterà fino a fine febbraio?
«Sì, poi si vedrà».
Beh, così ad occhio...
«L’andamento dei contagi non fa effettivamente pensare ad un cambiamento di strategia».
Ma complessivamente in questi mesi come si sono comportati i bergamaschi?
«Direi bene. Abbiamo rielaborato i dati dal 1° aprile 2020 a lunedì scorso. Le persone controllate sono state 626.359, quelle sanzionate 6.852».
Poco più dell’1 per cento, insomma.
«Esatto, e mi pare che questo dato la dica lunga su come siano stati responsabili. Tendenza confermata dalle denunce per mancato rispetto della quarantena che sono state solo 66, fortunatamente».
E i controlli sugli esercizi pubblici?
«Ne abbiamo controllati 82.404 con solo 155 sanzioni. L’ho detto in più occasioni e lo ripeto, il comportamento dei bergamaschi è stato encomiabile e i numeri lo confermano, per giunta a fronte di un numero elevato di controlli».
Il suo collega bresciano, Attilio Visconti, prima che venisse decisa la zona arancione rinforzata, ha minacciato il pugno di ferro dopo aver visto gli assembramenti di fine settimana scorsa.
«I servizi di controllo ci sono, sia in città che in provincia e funzionano. Nel momento in cui rientriamo nella disciplina della zona gialla, dove ci troviamo ormai da tre settimane e mezzo, la gente è legittimata ad uscire. Chiaro che questo determina una marcata presenza per le strade, ma la cosa importante è che si continuino a rispettare le norme sulle distanze e l’uso di mascherine. Anche io sono uscito sabato e domenica per controllare la situazione e fortunatamente non ho visto niente di grave, solo qualche fenomeno limitato».
La svolta può arrivare solo dai vaccini, ma al «Papa Giovanni XXIII» ce ne sono solo fino alla prima decina di marzo.
«Questo purtroppo è un problema di natura nazionale e non solo bergamasco. Noi possiamo solo creare le condizioni affinché si proceda con la massima celerità quando i vaccini saranno disponibili in modo importante, nella fase massiva cioè. I punti di somministrazione sono via via in allestimento e a breve partirà la vaccinazione dell’intero comparto sicurezza: quindi le forze di polizia, vigili del fuoco, carabinieri, guardia di finanza, Accademia compresa, polizia penitenziaria: stiamo parlando di 3.000 persone e l’adesione è stata intorno all’80%».
Lei è qui da quasi un anno...
«Dal 7 aprile».
Ecco, se ne stava relativamente tranquillo in quel di Varese e poi che succede in questi casi? Arriva una telefonata dal Viminale?
«Funziona esattamente così, e mi è stato comunicato che sarei dovuto andare subito a Bergamo».
Cioè in prima linea, cosa ha pensato in quel momento?
«Che era un grande attestato di stima, tempo pochi giorni ed ero qui. E confesso di essere riuscito a fare il trasloco grazie alla disponibilità dei carabinieri perché in quei giorni tutto era fermo. Il primo evento pubblico è stato accogliere 363 urne di morti per il Covid insieme al Vescovo e al sindaco: qualcosa che mi porterò dentro per sempre. Ho toccato da subito la tragedia con mano in una città deserta, angosciante».
E dopo quasi un anno che idea si è fatto di Bergamo e dei bergamaschi?
«Quella di una città dinamica, come tutti sanno. Gente laboriosa, intraprendente e che sa rispondere ad ogni emergenza. Qui c’è una cultura del lavoro che fa la differenza, insieme però a slanci di solidarietà davvero unici come abbiamo tutti visto in questi mesi. Realizzare un ospedale in 10 giorni in Fiera è un piccolo miracolo bergamasco. Come dite voi, “mola mia”...».
Esatto.
«Ecco, qui non è solo un motto».
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