«Vi presento la nuova Gamec. Un museo locale, nel mondo»- Le foto

I LAVORI ALL’EX PALAZZETTO. La presidente Bonaldi: «Territorio protagonista. Una mostra audace per l’inaugurazione».

La grande sala con gli animali in polistirolo di Lin May Saeed e il nuovo bookshop, opera dei creativi dello studio Ossidiana: sono i luoghi scelti da Simona Bonaldi, presidente del Consiglio direttivo di Gamec dallo scorso aprile, per raccontare il futuro della Galleria d’arte moderna e contemporanea. «Il bookshop è appena stato riallestito, vogliamo attivare sempre più collaborazioni con designer attenti all’innovazione e alla sostenibilità. I tavoli stessi sono un’opera d’arte, realizzati con materiali del territorio» dice Bonaldi. Il linguaggio dell’arte, dunque, per aprire nuovi dialoghi e la capacità imprenditoriale del territorio per valorizzare quanto già è sedimentato in via San Tomaso: sono gli elementi fondamentali della futura galleria, secondo il nuovo presidente. La Gamec, che nel 2026 si sposterà nella nuova sede, l’ex palazzetto dello sport ridisegnato dallo studio C+S Architects, avrà radici ben salde. Ma lo slancio sarà internazionale: «Gamec vuole essere un museo locale nel mondo. Va nel mondo per farsi contaminare e riportare questa contaminazione in uno scambio continuo che la rende vivace, con uno sguardo sul futuro», spiega Bonaldi, che in Gamec già era responsabile delle Relazioni esterne. All’orizzonte c’è la nuova sede e si lavora «per rendere ancora più fruibile il museo» dice il nuovo presidente del Consiglio direttivo di Gamec tratteggiando le nuove prospettive.

Presidente, la sua nuova nomina è arrivata in un momento molto positivo per la galleria, nel rilancio post pandemico e dopo l’anno straordinario della Capitale della cultura. Il futuro è ancor più una sfida?

«I numeri di Gamec sono in continua crescita, così come i progetti di valore. Dal 2020 al 2023 sono stati 390mila i visitatori, ora si tratta di proseguire con questo importante lavoro e per questo ci stiamo preparando. A maggio abbiamo inaugurato “Pensare come una montagna”, una biennale diffusa sul territorio provinciale che si inserisce anche nella rete di iniziative della Biennale Gherdeina a Ortisei, di cui il nostro direttore Lorenzo Giusti è curatore. È un evento propedeutico all’ingresso nella nuova sede, previsto nel 2026».

«Gamec vuole essere un museo locale nel mondo. Va nel mondo per farsi contaminare e riportare questa contaminazione in uno scambio continuo che la rende vivace, con uno sguardo sul futuro».

Parliamo della nuova sede, un grande cambiamento. Cosa significa per Gamec?

«Vogliamo essere ancora di più un punto di riferimento nazionale ed europeo per l’arte contemporanea. La nuova sede sarà pronta nel 2026: vogliamo sfruttare questo periodo per la “semina”, per la costituzione di rapporti con il territorio, per sottolineare i legami con le sue radici. Non vogliamo che il progetto della nuova sede sia vissuto come un’astronave calata dall’alto, ma che sia sentita e amata da tutti. Ci tengo a ricordare che Gamec nasce per volontà di due soci che hanno stretto un matrimonio solidissimo, Comune di Bergamo e Tenaris Dalmine. In questi anni abbiamo lavorato molto per consolidare il rapporto con il sistema delle imprese del territorio, solido e innovativo, a cui non posso che rivolgere il mio grandissimo grazie. Si è creata un’alleanza fondata su un grande valore, la relazione tra il mondo dell’arte e l’impresa. Questa alleanza verrà coltivata ulteriormente».

Gamec oggi si trova dietro il muro di un ex monastero, in un borgo stretto. Il suo futuro è in un edificio moderno che si apre su una piazza al centro di un crocevia. Che ruolo avrà la nuova posizione così centrale? Vicinissima, tra l’altro, alla futura Montelungo.

«Sarà un passaggio ad una scala dimensionale più ampia. Da luogo intimo si passerà a spazi luminosi, anche più adeguati ai molteplici linguaggi del contemporaneo che andremo a rappresentare. Gamec si inserisce in un’area culturale della città che si allarga, interessata da un’importantissima riqualificazione urbana. Nella mia visione Gamec dialoga con l’ex Principe di Napoli (nel progetto è prevista l’installazione artistica di Andrea Mastrovito, ndr), l’Accademia Carrara, gli orti di San Tomaso e il parco Suardi, con uno sguardo verso lo stadio. È un’area che cambierà in modo significativo e Gamec vuole essere al centro. Vogliamo rafforzare l’identità del museo e metterla a disposizione in modo evidente alla comunità».

Allestire arte contemporanea in ex contenitori produttivi è ormai consuetudine. Ci sono esempi diffusi in Europa e non solo. Avete un modello a cui ispirarvi?

«Gamec vuole essere un museo locale nel mondo. Partendo da questo principio ci stiamo confrontando con altri musei simili al nostro, ma, ambiziosamente, stiamo cercando di costruire un modello tutto nostro. Un museo diffuso che ragioni in modo orizzontale, che parli linguaggi differenti, in un intersecarsi di modalità espressiva fisica e digitale. Vogliamo continuare ad essere, con coraggio, un centro di produzione».

«L’inaugurazione sarà un momento importantissimo per la città, stiamo pensando ad una mostra audace, alla quale nessun bergamasco vorrà rinunciare. Dovremo essere in grado di offrire qualcosa che lasci tutti a bocca aperta».

E cosa significa produrre in un contenitore culturale?

«Faccio un esempio. I Massi Erratici di studio Ossidiana sono stati realizzati utilizzando materiale di recupero delle cave del territorio bergamasco, coinvolgendo realtà locali che hanno lavorato. Gamec è un centro di produzione perché le mostre sono pensate ma anche costruite nel vero senso del termine. È fondamentale far capire il valore dell’arte contemporanea che è un centro di apprendimento e di produzione».

Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova Gamec? Anche in termini di fruibilità?

«Prima del periodo pandemico Gamec ha attratto un pubblico “limitrofo”, ma con la Capitale della cultura 2023 tanti sono stati i visitatori internazionali che riconoscono il ruolo di Gamec nel far riflettere sui temi del contemporaneo. L’obiettivo è offrire nuove opportunità di tempo lento e di fruizione costruttiva. Il museo deve essere un luogo in cui stare bene, che entra a far parte della nostra quotidianità, un luogo dove stare circondati dalla bellezza che l’arte regala, insieme al piacere della leggerezza».

La data di apertura è fissata nel 2026. Se potesse scegliere, parliamo anche di sogni e imprese impossibili, quale artista o raggruppamento di artisti vorrebbe per una mostra inaugurale?

«Proprio grazie ai sogni con i quali ci confrontiamo io ho intrapreso questa esperienza. Ma il mio ruolo funziona solo se inserito in una squadra dove ognuno fa una parte importante. In questo confronto i desideri sono tanti, non abbiamo ancora nomi da poter spendere. Ma posso già dire che l’inaugurazione sarà un momento importantissimo per la città, stiamo pensando ad una mostra audace, alla quale nessun bergamasco vorrà rinunciare. Dovremo essere in grado di offrire qualcosa che lasci tutti a bocca aperta».

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