Cronaca / Bergamo Città
Martedì 09 Luglio 2024
«Vaccinarsi è un gesto di senso civico. Giusto l’obbligo, troppe fake news»
L’INTERVISTA. Il professor Locatelli: «I vaccini riducono morti e malati più di qualsiasi altra misura». Sul sistema sanitario: «L’autonomia differenziata rischia di ampliare le differenze fra i territori».
Oltre il dibattito, oltre le opinioni, ci sono le certezze. Quelle della scienza, impresse nell’oggettività delle cifre: «Gli studi hanno stimato come il morbillo, prima dell’introduzione dei vaccini, causasse nel mondo due-tre milioni di morti all’anno. Allo stesso modo è stato documentato come dal 2000 al 2022 il vaccino antimorbillo abbia prevenuto 57 milioni di morti nel mondo. I numeri danno conto dei vantaggi della vaccinazione».
Il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia pediatrica e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, parte da qui, dalle concrete evidenze della ricerca, per chiarire l’importanza delle vaccinazioni pediatriche, in particolare quelle obbligatorie nei primi di anni di vita dei bambini, come morbillo e rosolia. Mentre avanzano proposte per abolire quegli obblighi, la bussola resta la scienza.
Professore, perché sono importanti i vaccini, specie nei bambini?
«I vaccini hanno ridotto il numero di morti e malati più di qualsiasi altra misura di sanità pubblica. Basti pensare al merito dei vaccini nell’eradicazione del vaiolo o al fatto che in un larghissimo numero di Paesi non si vedano più casi di poliomielite, quando invece ho chiara memoria di compagni di scuola che soffrivano delle conseguenze del virus. Le vaccinazioni sono state un presidio fondamentale per il miglioramento delle prospettive di salute nel mondo».
«I vaccini hanno ridotto il numero di morti e malati più di qualsiasi altra misura di sanità pubblica. Basti pensare al merito dei vaccini nell’eradicazione del vaiolo o al fatto che in un larghissimo numero di Paesi non si vedano più casi di poliomielite, quando invece ho chiara memoria di compagni di scuola che soffrivano delle conseguenze del virus»
È giusto anche l’obbligo vaccinale?
«Già queste osservazioni dovrebbero bastare per avere adesioni spontanee alle campagne vaccinali che rendano superflui gli obblighi, ma purtroppo non è così. Nel 2017 l’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin introdusse l’obbligo vaccinale, misura da parte mia totalmente condivisa perché grazie a essa si è riportata la percentuale dei vaccinati contro il morbillo su valori vicini – ma non ancora sufficienti – per conferire l’immunità di gregge».
Qual è il significato dell’immunità di gregge?
«Vaccinarsi vuol dire conferire anche una protezione indiretta in favore di chi, per ragioni legate a difetti congeniti del sistema immunitario o per patologie che inducono all’immunosoppressione, non può vaccinarsi. Vaccinarsi è anche una misura di solidarietà civica per proteggere questi soggetti».
Perché c’è ancora una quota di «esitanza vaccinale»?
«Da un lato è dovuta alla mancanza d’informazione, dall’altro a una cattiva informazione che può circolare in maniera incontrollata su alcuni circuiti mediatici. Le vaccinazioni sono diventate obbligatorie perché nel Paese non vi è una larga diffusione della cultura vaccinale, che dovrebbe invece permeare le coscienze e il senso civico di ognuno».
Le fake news non mancano, sul tema.
«Si è detto che ciò che è presente nei vaccini, in particolare il mercurio, sarebbe una ragione dello sviluppo di forme di autismo. In realtà s’è poi scoperto che chi ha scritto quel lavoro scientifico aveva sottomesso dei dati falsi e fraudolenti: Lancet (rivista scientifica internazionale, ndr) ha poi ritirato quel lavoro perché chiaramente alterato, le autorità inglesi hanno ritirato all’autore di quello sciagurato studio la licenza per esercitare la professione medica. Gli studi hanno chiaramente documentato come non ci fossero correlazioni tra la vaccinazione e l’autismo».
Si parla tanto di vaccinazioni antimorbillo. Ma perché sono importanti tutte le vaccinazioni?
«Il morbillo ha una contagiosità paragonabile alle varianti più infettive del Covid, come Omicron, e può causare polmoniti, encefaliti o un quadro più raro come la panencefalite sclerosante subacuta. È vero ad esempio che la rosolia dà raramente manifestazioni gravi, ma è grave se acquisita da una donna nel primo trimestre di gravidanza, perché porta allo sviluppo di aborti spontanei, di bambini che decedono poco dopo la nascita o di bambini con sordità congenita, cecità, invalidità neurointellettive o patologie del miocardio: nel 2019 nel mondo ci sono stati 32mila casi di manifestazioni cliniche motivate dall’infezione da rosolia in gravidanza».
«La campagna vaccinale anti-Covid sarà indicata prioritariamente per i soggetti fragili, le persone immunodepresse, gli over 70. Tutte queste persone dovrebbero riflettere bene sull’importanza di vaccinarsi, così come si raccomanda l’antinfluenzale»
A proposito di altri virus. Il Covid è un’emergenza alle spalle, ma il Long Covid è ancora da comprendere pienamente.
«È una storia sanitaria ancora in via di totale definizione. È utile aggiungere un dato sugli effetti positivi della vaccinazione: uno studio ha stimato che nei soli Stati Uniti la vaccinazione abbia permesso di evitare costi sanitari pari a un miliardo e 150 milioni di euro».
Come proseguirà la campagna vaccinale anti-Covid?
«Sarà indicata prioritariamente per i soggetti fragili, le persone immunodepresse, gli over 70. Tutte queste persone dovrebbero riflettere bene sull’importanza di vaccinarsi, così come si raccomanda l’antinfluenzale».
Come sta, oggi, il nostro Servizio sanitario nazionale?
«Continua ad avere performance assolutamente competitive a livello internazionale, per la qualificazione dei professionisti che vi lavorano. Ma c’è oggettivamente un problema di persone che rinunciano a curarsi: si stima che un anziano su quattro rinunci a una visita ogni anno, per difficoltà di accesso ai servizi o per difficoltà a sostenere visite private. Il rischio è che si accentui la disparità socioeconomica: la Corte dei Conti ha calcolato che nel 2022 la spesa dei cittadini per le cure private sia stata pari al 21% dell’intera spesa sanitaria, a fronte dell’8,9% della Francia e dell’11% della Germania. Esiste un indubitabile tema di sottofinanziamento del nostro sistema sanitario: in valore assoluto è cresciuto, nessuno lo nega, ma l’evoluzione tecnologica e i cambiamenti demografici portano a costi più elevati. Tutto ciò si traduce anche in differenze regionali».
In che senso?
«Prendiamo alcuni indicatori. In Campania la speranza di vita è di tre anni inferiore a quella di Bolzano. La mortalità perinatale in Toscana è di 1,2 ogni mille nati vivi mentre in alcune regioni meridionali aumenta di circa tre volte, e questo è intollerabile».
L’autonomia differenziata può ampliare questa forbice?
«Il rischio concreto c’è. Le regioni del Mezzogiorno, caratterizzate da redditi più bassi e minor gettito fiscale, senza una redistribuzione delle risorse potrebbero non avere mezzi sufficienti per garantire servizi e cure adeguate; avere retribuzioni differenziate fa correre il rischio che le persone più qualificate tendano a concentrarsi nelle regioni dove sono pagate di più. Questo mina l’articolo 32 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività».
Come si può agire sulle liste d’attesa?
«Il tema s’è acuito con la pandemia, ci sono ritardi non ancora smaltiti adeguatamente. La scelta di attivare visite specialistiche anche al sabato e alla domenica va nella direzione di affrontare il tema: chiaro però che servano delle risorse, sennò si rischia di non avere incisività. Sul personale la vera emergenza è la carenza di personale infermieristico, si stima la mancanza di 80mila infermieri in Italia. Il numero di medici e di neolaureati in rapporto alla popolazione è invece in realtà superiore alla media europea: qui il tema è la non adeguata copertura di alcuni ambiti, come la medicina d’emergenza-urgenza, la microbiologia, l’anatomia patologica e i medici di medicina generale».
Cosa si può fare per i medici di medicina generale?
«È tempo di riportare la loro formazione in un alveo accademico, per evitare abbandoni che arrivano a interessare anche un terzo di chi si iscrive ai corsi di formazione regionale. Sulle liste d’attesa c’è poi un tema di inappropriatezza prescrittiva, a volte motivata da logiche di medicina difensiva. Un piccolo contributo lo può dare ognuno di noi comunicando tempestivamente se rinuncia a una visita prenotata. In tutto ciò, l’importante è che vi sia la determinazione a tutelare in maniera fermamente convinta quel patrimonio unico che abbiamo la fortuna di avere: il Servizio sanitario nazionale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA