La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 24 Novembre 2024
Una vita di lotta contro i pregiudizi: «Poi ho scoperto di essere gifted»
LA STORIA. Sara Pellizzari, dalle difficoltà scolastiche alle due lauree: la 39enne racconta cos’è la «plusdotazione cognitiva».
«Condannare un giovane di genio alla fatica di una scuola - scrive Coleridge - è come mettere un cavallo da corsa su un tapis roulant». Un’affermazione che si rispecchia nella vita di molti «grandi»: Albert Einstein, per esempio, soffriva di disturbi del linguaggio, al ginnasio i professori lo consideravano uno studente svogliato, e l’astrofisica Margherita Hack al ginnasio fu rimandata in matematica.
È stato così anche per Sara Pelizzari, 39 anni, di Brescia, che solo da adulta ha scoperto di essere «gifted», con una plusdotazione cognitiva, e su questa condizione ora sta svolgendo il suo dottorato di ricerca in Scienze della Persona e nuovo welfare - Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Università di Bergamo. Ha ottenuto due lauree magistrali, in Scienze della Formazione Primaria e in Psicologia Clinica, ma per riuscirci ha dovuto sconfiggere pregiudizi e rigidità di un sistema scolastico che ancora non riconosce pienamente le «intelligenze diverse» e non ne favorisce l’inclusione.
La battaglia contro gli stereotipi
«Non sempre il successo scolastico - sottolinea Sara - è un buon indicatore del potenziale cognitivo di un bambino. Nel campo delle neuro diversità ci sono tantissimi stereotipi da smantellare. Fra loro, per esempio, l’idea che gli studenti con alto potenziale cognitivo debbano necessariamente ottenere performance scolastiche super-brillanti».
Gli anni della sua formazione sono stati un faticosissimo percorso a ostacoli: «A scuola andavo malissimo. Alle elementari me la sono cavata, perché avevo un ottimo rapporto sia con le insegnanti sia con i compagni, mi sono trovata in un contesto molto inclusivo. Alle medie invece è cambiato tutto, avevo moltissime difficoltà. Pensavo che fosse un problema mio, mi sembrava di non capire, arrancavo nello studio e nello svolgere i compiti a casa. Secondo gli insegnanti in un liceo non avrei potuto superare la prima superiore. Mi hanno consigliato un istituto professionale».
L’impatto con le scuole superiori
Lei, però, non li ha ascoltati, e si è iscritta al liceo sociopsicopedagogico a Brescia: «All’inizio ho avuto effettivamente moltissime difficoltà, anche a causa di qualche problema di salute. Ho sofferto di disturbi legati alla celiachia e al sistema immunitario, ci sono stati periodi complicati in cui non riuscivo a frequentare le lezioni con continuità, tanto da dover terminare un anno con l’esame da privatista. Fortunatamente ho incontrato alcuni docenti che hanno capito la situazione e mi hanno aiutato molto».
Ha sperimentato in molti modi la sensazione di essere chiusa nel bozzolo prima di aprire le ali e diventare farfalla: «Mi sentivo sempre, in qualche modo, diversa dagli altri. Faticavo a tenere il passo con il programma scolastico, ma d’altra parte sono sempre stata estremamente curiosa, aperta a nuovi stimoli e scoperte».
Gli studi dopo il liceo
Le persone «gifted», spiega Sara, «hanno spesso una sensibilità spiccata. Come se una televisione avesse decine di antenne per captare i segnali e non solo una». Al termine degli anni del liceo, i professori le hanno sconsigliato di proseguire gli studi: «Ho superato gli esami con una votazione minima, e per un po’ ho pensato che avessero ragione loro, così mi sono cercata un lavoro». C’era una parte di lei, però, in fondo al suo cuore, che non voleva arrendersi e l’ha spinta a cambiare strada: «Fin da piccola sognavo di diventare maestra, non volevo rassegnarmi a metterlo da parte; perciò, ho preso il coraggio a due mani e ho deciso di provare».
La sua famiglia l’ha sempre sostenuta: «I miei genitori al momento di scegliere se proseguire o no, non hanno insistito perché proseguissi gli studi: dando credito al parere dei docenti, temevano che mi trovassi in una situazione di disagio, e non fosse la strada giusta per me. Quando mi sono decisa, però, mi hanno aiutato in tutto». Così Sara si è iscritta alla Facoltà di Scienze della Formazione Primaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, e contro tutti i pronostici, ha avuto una carriera molto brillante: «Tutto ha iniziato a girare per il verso giusto: riuscivo ad affrontare le materie di studio con un metodo personale, elaborato da me, mantenendo i miei ritmi e i miei tempi».
L’emozione del primo esame
È arrivata alla vigilia del primo esame con il batticuore: «La materia che avevo scelto era “Storia della scuola”. Me lo ricordo ancora, sono stata l’ultima ad essere interrogata nella giornata, era una prova solo orale. Era un argomento che mi piaceva molto, perché penso sia molto importante mettere a confronto diversi stili educativi e capire come mai in Italia abbiamo un certo tipo di sistema scolastico, diverso da quello di altri Paesi europei. È andato molto bene, e questa è stata per me la conferma di aver preso la decisione giusta». Così Sara piano piano si è riconciliata con le brutte esperienze del passato: «Sono riuscita col tempo a dare il giusto peso a ciò che era accaduto. Quando mi sono trovata a lavorare con i bambini come docente, ho capito la responsabilità e il peso di certe decisioni ed esperienze». Sara si è laureata a pieni voti, poi ha iniziato a lavorare in una scuola primaria di Brescia: «Per dodici anni ho continuato a fare la maestra, ma nel frattempo ho iniziato a pensare che sarebbe stato bello proseguire gli studi e specializzarmi in ambito psicologico».
Il nuovo percorso di studi a Bergamo
Questa volta ci è voluta una determinazione ancora più forte per prendere la decisione di cercare qualcosa di diverso, che rispondesse al desiderio di ampliare gli orizzonti ed esprimere meglio le proprie potenzialità: ma Sara si è messa in gioco ed è ripartita da zero iniziando il corso triennale di Scienze e tecniche psicologiche a Bergamo: «Mentre studiavo ho iniziato a ragionare su me stessa e sull’esperienza difficile che avevo vissuto. Ho iniziato a pormi un po’ di domande e a cercare nuove risposte».
La scoperta del Mensa e il test del QI
Quasi per caso ha sentito parlare del Mensa, associazione internazionale senza scopo di lucro, che riunisce persone ad alto potenziale; il solo requisito richiesto per diventarne membri è rientrare nel 3 per cento della popolazione mondiale con il più alto Quoziente Intellettivo (QI). I soci in Italia sono circa 2500. «Ho fatto il test nel 2019, poco prima che scoppiasse la pandemia. Dopo averlo superato mi sono sentita confusa, mi sono venuti molti dubbi, e con essi il desiderio di approfondire. Frequentando l’associazione ho imparato molto e ho incontrato persone con cui è facile confrontarsi e scambiarsi esperienze. Mi è stato di grandissimo aiuto».
Nel frattempo, Sara ha ottenuto la laurea triennale e si è iscritta al corso magistrale: «Dopo la laurea con lode mi è stata presentata l’opportunità di proseguire gli studi con il dottorato. Mi frenava molto il pensiero di dover lasciare il lavoro di maestra e i miei alunni, provavo un po’ di dispiacere ma anche tante aspettative verso questa nuova sfida da affrontare. Alla fine ho deciso di preparare il mio progetto di ricerca sulla giftedness, cioè l’alto potenziale cognitivo».
Il dottorato a Bergamo
È riuscita a vincere il bando e ora sta proseguendo la sua ricerca: «Ho una passione smisurata per questo argomento perché ho sperimentato sulla mia pelle quanto sia importante. Sto scoprendo moltissime cose e ho avviato nuove collaborazioni, compresa quella con il Mensa. Desidero offrire il mio contributo - anche se piccolo - per migliorare la condizione scolastica dei bambini e adulti con alto potenziale cognitivo e rendere la loro vita più facile».
Quest’anno è stata eletta come prima rappresentante dei dottorandi nel Senato Accademico dell’Università di Bergamo. «Nel periodo in cui ho insegnato mi è capitato di incontrare tanti allievi con bisogni educativi speciali, fra loro ce n’era qualcuno con alto potenziale cognitivo. Mi sono resa conto di quanto sia delicato il compito dei docenti: le loro parole possono diventare profezie, che si autoavverano, modificare il destino dei ragazzi. Una responsabilità che va gestita nel modo migliore possibile, pensando al bene degli studenti». Nel frattempo si è avviato l’iter di esame in Parlamento del disegno di legge 180 (ora in Senato) che contiene disposizioni per il riconoscimento degli alunni con alto potenziale cognitivo, l’adozione di piani didattici personalizzati e la formazione del personale scolastico: «Finalmente questo provvedimento inserisce a pieno titolo i bambini con alto potenziale cognitivo tra i bisogni educativi speciali, con la possibilità di stilare piani didattici personalizzati, istituisce corsi di formazione per gli insegnanti e prevede fra l’altro che ogni scuola di ogni ordine e grado abbia un referente specifico per la giftedness, anche se riguarda una piccola minoranza. Questo può essere d’aiuto anche per far emergere le capacità e le difficoltà di quegli studenti “doppiamente eccezionali”, che associano all’alto potenziale cognitivo un disturbo dell’apprendimento o del comportamento (come iperattività, Adhd, spettro autistico) o disabilità. Tra l’altro spesso una delle due condizioni tende a nascondere e mascherare l’altra».
Le fragilità nascoste
Questo provvedimento migliora quindi le possibilità di inclusione dei bambini gifted, che spesso sperimentano solitudine e difficoltà scolastiche, fino ad alte percentuali di abbandono: «Quando si parla di alto quoziente intellettivo - commenta Sara - si pensa che riguardi solo persone con performance altissime, fino a sembrare addirittura non umane. Non è così: ascoltando le loro storie, come accade con la mia, emergono moltissime fragilità». Scoprire l’origine delle sue difficoltà scolastiche per Sara è stato come inserire la tessera mancante nel puzzle della sua vita: «Mi ha aiutato a gettare luce su periodi bui, a capirne molti altri aspetti, mi ha permesso di proseguire la mia vita più serenamente, di accettarmi così come sono, di pensare al mio futuro con fiducia».
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