Avere il futuro nelle proprie mani, letteralmente. Perché se sarà questa la direzione che imboccherà una tecnologia ormai senza più frontiere, Mattia Coffetti è un pioniere. Informatico, 35 anni, bresciano di Rodengo Saiano ma legato a Bergamo per l’impegno nell’associazione «Bergamo in the Middle» (che organizza da 5 anni l’evento «No Hat», convegno sulla sicurezza informatica che si tiene al Centro congressi in città), Coffetti porta con sé, impiantati nelle mani, cinque microchip sottocutanei: grazie a questi mini-dispositivi può ad esempio pagare contactless (è il primo italiano con questo tipo di chip), autenticarsi nell’home banking, aprire delle porte a sblocco elettronico, timbrare il badge. Tutto a portata di mano. «È qualcosa di vicino al concetto di simbiosi tra corpo e tecnologia», spiega Coffetti, raccontando l’essenza del «transumanesimo», movimento culturale che ha fatto breccia anche in Italia.
«Si tratta di microchip diversi – spiega Coffetti, a proposito di ciò che porta nelle mani –. Il primo che ho installato è fra l’indice e il pollice della mano sinistra, un doppio chip diviso in due: una parte è un Nfc, come se fosse una chiavetta Usb con una memoria limitata, su cui è però possibile caricare delle informazioni sui propri dati personali, o un biglietto da visita, e che in futuro potrebbe avere applicazioni anche mediche, per esempio per salvare dei dati utili in caso di necessità (una sorta di fascicolo sanitario elettronico, ndr). L’altro è un Rfid, un codice con un identificativo che serve per aprire delle porte, come un badge aziendale». Poi «fra indice e pollice della mano destra ho un chip che funziona come fosse una password, un Otp, uno di quei codici che permette di autenticarsi ad esempio sulla propria banca online», prosegue Coffetti.
C’è poi quello più recente, installato un mesetto fa sul dorso della mano sinistra: «Permette di pagare», collegato allo smartphone, e Coffetti è il primo italiano con questo tipo di chip. Gli altri due – e così si arriva a quota 5 – sono più legati alla «body modification»: uno è un «semplice» magnete, una calamita utile per alcune attività quotidiane, e l’altro è un led, che avvicinato a una fonte di elettricità s’illumina. I costi, attorno al centinaio di euro o poco più; l’installazione è simile a quella dei piercing.
Ma qual è l’utilità? «Al di là dei chip, c’è una questione più profonda – riflette Coffetti –. Ciò che spero e siamo già sulla buona strada con Neuralink (azienda Usa che ha tra i fondatori Elon Musk, ndr), è che un domani queste tecnologie possano svilupparsi nella direzione della ricerca sulle malattie neurodegenerative: potrebbero andare a collegarsi direttamente con i recettori del cervello, agendo in maniera più efficace rispetto ai farmaci. Si potrà cambiare anche il modo in cui facciamo medicina, per una vita più sicura. Se mi sento tracciato? No, macché», sorride Coffetti.
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