Un anno nella prigione tunisina
Scarcerato il curatore indagato

L’odissea giudiziaria: Stefano Ambrosini era stato arrestato il 23 ottobre 2019 a Tunisi per essere estradato. Il ping-pong delle autorità.

Dodici mesi senza una visita in carcere, senza vedere un legale, senza sapere perché la procedura d’estradizione in Italia fosse sempre al punto di partenza. Poi, martedì notte, d’improvviso, Stefano Ambrosini, 58 anni, si è trovato nello spiazzo fuori dalla prigione di Mornaguia, a 14 chilometri da Tunisi, il più grande «reclusorio» della Tunisia, dove era entrato il 23 ottobre 2019 su mandato d’arresto internazionale. Da solo, al freddo,con il nuovo status di uomo libero. In attesa che un amico lo andasse a prendere e lo riportasse dalla moglie Habiba Fradj in Ambrozini (come registrato sul passaporto di lei), rimasta ad aspettarlo con l’amico «Enrico», un misterioso siciliano con cui Ambrosini avrebbe condiviso due anni di latitanza a Susa, sulla costa del Sahel. Dove sia ora il ragioniere commercialista, curatore e liquidatore fallimentare, accusato di essersi intascato 1,5 milioni dalle società decotte affidategli dal tribunale ed evaso dai domiciliari nella sua (ex) villa di Torre Boldone nel settembre 2017, non è noto. Chi lo conosce lo definisce «avvelenato», di fronte ha un bivio: tornare in Italia e affrontare il processo per peculato, falso e autoriciclaggio (l’udienza preliminare il 27 gennaio); sparire di nuovo ed essere giudicato da «latitante», con la prospettiva di una condanna-macigno.

L’ordinanza

Il provvedimento che lo ha rimesso in libertà è l’ordinanza di revoca della misura cautelare firmata dal gip Alessia Solombrino, il 21 agosto, su richiesta della Procura. Motivata dal misterioso silenzio delle autorità tunisine sulle condizioni di Ambrosini, in carcere a dispetto della richiesta d’estradizione. «Non soltanto non è dato conoscere attraverso le vie ufficiali lo stato del procedimento di estradizione, ma risulta precluso l’accertamento di titoli autonomi di detenzione emessi dalla Tunisia», scrive il gip ritenendo cessate le esigenze cautelari, improbabile il rischio di reiterazione del reato dato che «appare ragionevole escludere che eventuali suoi spostamenti non risultino tracciati». E impossibile avere notizie certe e ufficiali sullo stato di salute del curatore, già precario prima dell’arresto in Tunisia.

Abbandonato in carcere

Una teoria di domande senza risposta e di buchi neri diplomatici. Dall’ingresso in carcere alla liberazione Ambrosini non ha ricevuto visite. Nè da un legale tunisino nè dalle autorità consolari italiani, nonostante la pressione esercitata dall’avvocato Carolina Manganiello, legale del curatore. A partire da febbraio la corrispondenza tra il legale e le autorità italiane a Tunisi diventa fittissima, ma alle richieste dell’avvocato fanno da contraltare mesi di silenzio e risposte evasive che chiamano in causa le autorità tunisine. La visita consolare invocata a febbraio resta lettera morta sino a fine maggio quando l’ambasciata riferisce di aver interessato gli Affari Esteri già a fine gennaio. Ma solo ai primi di settembre l’ambasciata informa di aver comunicato al ministero degli Esteri tunisino l’ordine di scarcerazione emesso dal tribunale di Bergamo e ricevuto dal Ministero della giustizia. Fino all’ultima comunicazione, del 6 ottobre, con la quale l’ambasciata italiana notifica che «grazie alle pressioni esercitate il cittadino è stato rilasciato». Pressioni su chi? Che ci sia stato un cortocircuito nella macchina giudiziaria, un ritardo nelle comunicazioni da parte delle autorità italiane o un «lassismo politico» da parte delle autorità tunisine, la vicenda Ambrosini resta «un pasticcio» come è stata definita nei palazzi di giustizia. «Posso confermare la notizia della scarcerazione arrivata dall’ambasciata italiana, con la quale c’è stato un intenso scambio epistolare», ha commentato ieri l’avvocato Manganiello. Silenzio da parte della famiglia del curatore. All’orizzonte di Ambrosini c’è anche un processo per evasione nel 2022. Ma quello è quasi un dettaglio in questa odissea giudiziaria.

© RIPRODUZIONE RISERVATA