«Terra Santa, sofferenza sentita a Bergamo forse più che altrove»

DA ASSISI. Il vescovo Francesco Beschi: «Il Patriarca Pizzaballa è uno dei nostri. Le sue comunità sono le nostre. Nelle parrocchie bergamasche la preghiera è incessante».

Ha appena finito di ascoltare le parole drammatiche del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, in diretta tv con l’Assemblea dei vescovi italiani. Mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, racconta il suo stato d’animo straziato per le comunità della Terra Santa e dice che sono «anche nostre quelle comunità». È una riflessione sulla guerra la sua, che non dimentica la follia di chi oggi la ritiene normale, giusta e quasi opportuna, movimento di opinione pubblica sempre, purtroppo, più diffuso.

Eccellenza, anche a Bergamo è così?

«Per fortuna no. Le radici della pace, anzi direi di più, di una razionalità che ritiene la guerra, come diceva Roncalli, aliena alla ragione, sono forti e ben salde nel nostro popolo e nella terra bergamasca. Invece le vedo indebolirsi un po’ dappertutto in altri settori della società e della cultura italiana».

La sofferenza della Terra Santa è particolarmente sentita Bergamo?

«Sì, forse più che altrove. Il Patriarca Pizzaballa è uno dei nostri. Le sue comunità sono le nostre. E la nostra sofferenza cresce con il passare dei giorni, così come la condivisione. La preghiera delle nostre comunità, in tutte le parrocchie, è incessante. Qui ad Assisi ho visto che in tutti i vescovi c’è grande preoccupazione per una drammatica situazione globale, dall’Ucraina alla Palestina e Israele, fino alla guerra dimenticata, ma altrettanto tragica, in Sudan. Ma per noi tutto è più denso per il legame che abbiamo con il Patriarca di Gerusalemme. Era a Bergamo per l’assegnazione della cittadinanza onoraria il giorno degli attacchi terroristici di Hamas. E questa circostanza ha ulteriormente rafforzato il legame tra Bergamo e la Terra Santa, tra noi e palestinesi e israeliani».

Cosa c’è di straordinario in Pizzaballa?

«L’amore per la verità e la vicinanza alle persone, tutte le persone, che soffrono. Ho immediatamente diffuso nelle nostre parrocchie la sua lettera scritta appena dopo il riesplodere del conflitto, perché, ripeto, le sue comunità sono anche le nostre. E ho visto una risposta impressionante di preghiera, di vicinanza e di attenzione anche geopolitica della gente bergamasca al dramma, che quelle popolazioni stanno vivendo».

E poi?

«C’è molta preoccupazione per una situazione globale di conflitto. I bergamaschi se ne rendono conto molto bene. Non mi sento di dire che si sta diffondendo un sentimento esplicito di paura, ma di timore e angoscia, che porta ad una maggiore responsabilità nelle azioni di tutti, quello sì».

Quanto conta l’insegnamento di Roncalli sulla pace?

«Da noi fa parte della vita. Abbiamo con convinzione quest’anno ricordato i sessant’anni della Pacem in terris, avvertendone tutta la sua profonda attualità. Il magistero recente dei Papi è un magistero di pace. Ma quello di Roncalli è stato più vigoroso, energico e penetrante. I quattro pilastri della pace e cioè verità, giustizia, libertà e amore, e il suo richiamo al disarmo, fanno parte del vissuto di questa terra e della sua gente, che sa di aver una responsabilità in più nella ricerca della pace proprio perché qui è nato Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris».

La sua visione oggi come è compresa?

«Sono indicazioni profetiche che oggi qualcuno guarda con sufficienza o addirittura con irrisione. C’è chi le definisce irrealistiche e giustifica la guerra come se fosse scelta naturale, perfino necessaria. Roncalli non ha mai messo la guerra tra le opzioni possibili. E’ una lezione da non dimenticare. I conflitti esisteranno sempre, ma dobbiamo essere convinti, come lo era Roncalli, che le guerre non sono lo strumento per risolverli».

Guerre e profughi. Bergamo ha accolto molti profughi dall’Ucraina. Come è ora la situazione?

«La nostra accoglienza continua e sarà sempre cordiale. Alcuni sono tornati in patria, altri lo vogliono fare, altri rimarranno da noi. I ragazzi frequentano le nostre scuole. Abbiamo predisposto appartamenti, canoniche, oratori. Ma il tempo si prolunga e vorremmo vedere qualche indicazione e qualche orientamento da parte del governo relativamente alla situazione di queste persone. Ma noi non verremo meno all’impegno dell’accoglienza e dell’aiuto umanitario che coinvolge tutta la società bergamasca, comprese le sue strutture produttive. Fa parte della nostra cultura solida e consistente in un mondo sempre più fluido e frammentato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA