Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 10 Gennaio 2022
«Tamponi, una crescita esponenziale. Allarme forniture: il sistema è a rischio»
Claudio Farina, primario di Microbiologia all’Asst Papa Giovanni: problema mondiale, troppe richieste. «Omicron a Bergamo è al 90%. Attenzione ad affidarsi a test inappropriati: i contagi aumentano anche per questo».
Migliaia di tamponi esaminati, centinaia di sequenziamenti per individuare varianti e tutta la diagnostica non legata al virus Sars-Cov2: è, in estrema sintesi, il lavoro del laboratorio di Microbiologia dell’Asst Papa Giovanni di Bergamo che, dallo scoppio della pandemia a oggi, è uno dei presidi in prima linea nella lotta al virus. Un lavoro immane che avviene quasi nell’ombra ma che è cruciale per la salute di tutti. Claudio Farina, direttore della Microbiologia e Virologia dell’Asst Papa Giovanni di Bergamo, prova a raccontarlo.
Quando si dice «ho fatto il tampone» non si pensa al lavoro che c’è per arrivare al risultato che si sta aspettando. E a quante migliaia di altri tamponi, a Bergamo, come nel resto del mondo, vengono processati in quel momento. Riusciamo a fornirne un’idea?
«Il nostro laboratorio di Microbiologia e Virologia è una struttura che studia le infezioni e le malattie definendo il microrganismo - batterio, parassita, fungo o virus - che è responsabile del quadro patologico che ognuno presenta. Ci si avvale di metodi diversi: alcuni manuali e ancora artigianali (non perché a Bergamo “siamo indietro”, ma perché queste metodiche sono il gold standard operativo), altri automatizzati. Le diverse tecnologie si applicano a varie tipologie di indagini: per il trattamento in laboratorio dei tamponi per Sars-Cov2 si utilizzano piattaforme operative che servono anche per la ricerca di altri patogeni. Certo, se si usano per Sars-Cov2 non sono utilizzabili per altro. E questo è un problema, stante che l’ospedale non ricovera solo malati di Covid. Sta di fatto che la nostra Microbiologia rileva un’incrementata attività generale: i carichi di lavoro sono di gran lunga superiori rispetto all’epoca pre Covid anche per diagnostiche non necessariamente correlate al Covid. E per il Covid anche il nostro laboratorio da tempo ormai è attivo tutti i giorni, sette giorni su sette, 24 ore su 24. Cerco di dare un’idea. Quando abbiamo iniziato a “fare tamponi” il 3 marzo 2020, ci sembrava di farne tantissimi: 200 al giorno. Oggi siamo a 1.600 al giorno. E garantiamo la diagnostica anche per altro, con le possibilità di cui disponiamo. Siamo centro per tutta la Bergamasca per la diagnosi di tubercolosi, di malattie come la salmonellosi, di epatite e di infezioni da Hiv e di infezioni fungine. Tornando al Sars-Cov2, c’è anche il lavoro di ricerca delle varianti, sequenziamo il virus, monitoriamo i tamponi antigenici, e ci apprestiamo a introdurre altre diagnostiche che consentiranno di meglio inquadrare i casi, una volta passata questa nuova ondata. E ancora: il 20 dicembre abbiamo processato quasi 400 tamponi, il 21 dicembre quasi 1.200. Il 20 dicembre i positivi erano poco più del 9%, il 21 dicembre erano il 17%, il 30 dicembre quasi il 43%. L’incremento di attività è stato improvviso e drammatico».
È noto che il problema è mondiale: incide su questo anche la difficoltà di reperimento, a causa della pandemia, delle materie prime?
«La Microbiologia è davvero una disciplina globale, perché si occupa delle infezioni in modo trasversale, ma è anche una disciplina globalizzata, quindi sì, ci sono difficoltà comuni a tutti i laboratori del mondo. Perché i materiali che si utilizzano sono ovunque dello stesso tipo, molto spesso forniti dagli stessi produttori. E la richiesta di prodotti per la diagnosi di Sars-Cov2 eccede largamente l’offerta. Lo vediamo bene soprattutto in questi giorni: tutti chiedono i “tamponi”, tutto il mondo li chiede. Il mercato non riesce a star dietro alle richieste, contingenta le forniture. Così il sistema rischia di saltare. Poi, c’è anche il problema della carenza di materie prime: il petrolio non serve solo per generare i carburanti. Anche le provette, i tappi, i filtri, i sacchetti per il recupero dei rifiuti sono fatti con i derivati del petrolio. Non solo per il Sars-Cov2, anche per la diagnosi di altre infezioni, purtroppo».
Questa difficoltà mondiale dovrebbe spingere a evitare di fare tamponi «inutili». Forse non lo si dice abbastanza? Serve un appello?
«Nella Microbiologia c’è una parola che definisce la bontà - e l’affidabilità - di quello che si fa. La parola è “appropriatezza”. Il suo contrario si può riassumere in “inutilità”. Anzi, il suo contrario è anche peggio: si può parlare di “pericolosa inutilità”. Perché? Perché se un esame diagnostico non è fatto in modo appropriato alla fine dà risultati che sono comunque ininterpretabili, e confondenti. I tamponi per Sars-Cov2 sono necessari - e gratuiti - per capire se una persona con sintomi sospetti ha acquisito il virus, oppure per capire se chi ha avuto contatti con un positivo si è infettato, oppure per capire se un malato o un infetto possono essere dichiarati liberi perché negativi. Chi non rientra in queste categorie e fa un tampone preventivo per poi dedicarsi ad attività ludiche e di svago o per curiosità fa un tampone per motivazioni pericolosamente inutili. E il tampone deve essere fatto bene, si deve provare fastidio, si può lacrimare: questa è la prova che il tampone è eseguito correttamente. Non si può banalizzare quello che è l’unico test che consente la diagnosi di un’infezione così infida: ok, ho fatto il tampone e sono a posto. No, il prelievo nel nasofaringe eseguito con tampone deve essere fatto bene: altrimenti, tutto il lavoro che segue è inutile e il risultato del test sarà quasi per definizione molto probabilmente negativo. Da qui la pericolosità cui facevo cenno prima. Uno fa il test - o, peggio, si auto-fa il test - ha un esito negativo perché il prelievo è fatto in modo inappropriato, cioè male, è contento di non avere il Covid, poi sta meno attento nei suoi comportamenti e incontra persone che sanno che lui è negativo e anche per questo stanno meno attente. Una pacchia per il virus. Anche per questo i contagi aumentano».
Ma allora, come si fa?
«Credo sia importante ribadire che non è utile – anzi può essere anche dannoso – avere fede assoluta nei tamponi, in quelli fai-da-te soprattutto. Rimangono centrali due cose che devono essere assolutamente messe in atto da tutti, indipendentemente dal tampone eseguito o no: vaccinarsi o rivaccinarsi e comportarsi bene, educatamente vorrei dire, cioè stare distanziati, usare la mascherina, lavarsi le mani».
Quanti sequenziamenti eseguite?
«Eseguiamo 96 sequenziamenti a settimana. Finora ci hanno dato una mano indispensabile i colleghi del laboratorio di Ematologia che dispongono della strumentazione. A giorni potremo raddoppiare le capacità di esecuzione con l’acquisizione di altri analizzatori. In Lombardia sono una ventina i laboratori che eseguono il test di sequenziamento: al «Papa Giovanni» lo eseguiamo con la tecnologia Ngs, Next Generation Sequencing, oggi in assoluto la più performante. Non sono tanti i laboratori che ne dispongono. Fino a qualche settimana fa riuscivamo a sequenziare tutti i campioni positivi che riscontravamo: oggi ne dovremmo fare anche 400 al giorno, ed è impossibile farcela. Per questo sempre più interesse hanno le iniziative nazionali che l’Istituto Superiore di Sanità coordina ormai a cadenza quindicinale in tutte le regioni: si tratta di survey di grandissimo significato».
La Omicron è ormai dominante? Ci sono altre varianti all’orizzonte?
«Sì, la Omicron è decisamente la variante dominante. Il 6 dicembre le survey hanno evidenziato che in Italia Omicron rappresentava solo lo 0,32%, oggi sappiamo che c’è quasi solo lei. A Bergamo era lo 0% il 6 dicembre, il 50% circa il 20 dicembre e più del 90% il 3 gennaio. Adesso aspettiamo i risultati della survey in corso proprio in questi giorni. L’attività di sequenziamento serve ad individuare anche le sottovarianti. Adesso si parla della B.1.640, chiamata IHU dai colleghi di Marsiglia che l’hanno identificata in soggetti camerunensi. Se ne sa ancora poco, ed è Variant Under Monitoring» .
Ci racconta le fasi di lavorazione di un tampone?
«Per il tampone molecolare disponiamo di 4 piattaforme analitiche che si articolano in una decina di strumenti. Ogni piattaforma garantisce tempi di risposta differenti: da meno di un’ora a quasi 4 ore per seduta. A seconda della piattaforma si possono sottoporre ad analisi campioni singoli oppure sedute di 12 o 72 campioni per volta. Con altre la processazione è in continuo. Questo ci garantisce di graduare i tempi di risposta sulle esigenze cliniche individuali: cerchiamo di lavorare, per quanto possibile, in modo personalizzato. Per la ricerca delle varianti ci avvaliamo di due di queste piattaforme, mentre per il sequenziamento la procedura è decisamente più complessa, richiede 3 giorni di lavoro da quando si inizia l’analisi a quando si hanno i risultati. Ma mi piace rimarcare che il lavoro del microbiologo è un lavoro di squadra. Le fasi sono tante, e tutte hanno pari dignità; tutti sono indispensabili: dagli amministrativi che gestiscono tutta la fase che precede l’arrivo del tampone agli ausiliari, fino ai tecnici che danno l’anima ormai da due anni in tutte le operazioni che li vedono coinvolti: chi prende in carico – necessariamente uno per uno – ogni campione verificandone preliminarmente la processabilità, chi procede alla fase di analisi gestendo il magazzino, la manutenzione strumentale, la qualità delle fasi tecniche di estrazione e di amplificazione, il buon esito della seduta, l’interpretazione dei risultati. Fino ai medici e i biologi che valutano i risultati, rendicontando anche - giorno per giorno - i risultati alle numerose fonti informative che internamente oppure a livello dell’Ats, della Regione o dell’Iss necessitano di questi dati che poi servono a registrare l’andamento della pandemia. Per questo voglio ringraziare tutti coloro che, nell’ombra e quasi nell’anonimato, si mettono in gioco tutti i giorni: da Marco Arosio che coordina le attività della Virologia, a Gavino Napolitano che è il tecnico coordinatore, e indistintamente quanti lavorano a testa bassa, con disponibilità e competenza».
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