«Siti pedofili, sei indagato: paga o vai in cella». Ma è una truffa

L’INCHIESTA. Italiano che vive in Cina sborsa 117mila euro, poi denuncia. Aveva ricevuto atti giudiziari contraffatti. Otto indagati nella Bergamasca.

Hanno inviato una mail (rigorosamente in lingua inglese), citando atti (rigorosamente falsi) da parte dell’autorità giudiziaria italiana, in cui comunicavano a un manager italiano da qualche tempo di stanza in Cina che era accusato di pedopornografia online. Con la stessa mail, che riportava il logo della polizia postale e la firma di un funzionario sì esistente, ma in pensione, invitavano il sedicente indagato a pagare subito una multa per evitare la prosecuzione del procedimento penale.

Preoccupato per gli effetti che un’accusa così infamante - anche se non vera (dagli accertamenti è emerso che in realtà l’uomo non aveva nessuno scheletro nell’armadio) -, avrebbe avuto sulla sua reputazione, la vittima ha pagato una prima «multa» di 7.800 euro. Dopo pochissimo tempo, ha ricevuto ulteriori e-mail contenenti altri finti atti giudiziari che intimavano il pagamento di ulteriori sanzioni in conseguenza di decisioni assunte da una fantomatica Corte d’appello. Infine, è stata recapitata un’ulteriore richiesta di cauzione per poter rimanere a piede libero.

Risultato: il malcapitato, dopo mesi di minacce e vessazioni, ha finito per sborsare la bellezza di 117 mila euro. A quel punto, ha deciso di sporgere denuncia al centro operativo per la sicurezza cibernetica della polizia postale della Lombardia.

Le indagini dopo al denuncia

Dalla denuncia dell’estorto hanno preso le mosse le indagini coordinate dalla Procura di Bergamo. Già, perché della dozzina di persone ora indagate in concorso per estorsione aggravata e riciclaggio nell’ambito dell’operazione ribattezzata «Polo Est», otto risultano residenti in provincia di Bergamo: si tratta di 7 nigeriani - 2 di Ponte San Pietro, uno di Alzano, uno di Verdellino, uno di Trescore, uno di Almè e uno di Bergamo - e di un senegalese residente a Osio Sopra. Alcuni di loro hanno precedenti, in taluni casi anche specifici.

Le perquisizioni eseguite nei confronti degli indagati (tra di loro figurano anche una donna di Reggio Calabria e altri tre nigeriani tra milanese, Campania e Veneto) hanno consentito di rinvenire una copiosa documentazione inerente alle movimentazioni di denaro provenienti dalla vittima, nonché quelle riferibili all’attività di riciclaggio dei proventi illeciti. Quindi, l’analisi dei dispositivi informatici ha riportato a galla le conversazioni tra gli appartenenti al gruppo criminale, nonché quelle con il manager italiano in Cina.

«Che insegnamento imparare da vicenda come questa?», spiega il vicequestore della polizia postale della Lombardia Rocco Nardulli. «Che mai in nessun caso comunicazioni ufficiali e notifiche di atti giudiziari o amministrativi (come, appunto, sanzioni pecuniarie) sono effettuate utilizzando la posta elettronica, né tantomeno mediante comunicazioni telefoniche, ancorché provenienti da numeri di telefono corrispondenti a quelli reali».

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