«Prepariamoci a siccità e alluvioni»

L’INTERVISTA. Grammenos Mastrojeni: il cambiamento climatico rende imprevedibile il ciclo dell’acqua. «Il Mediterraneo si riscalda più velocemente. Agricoltura e infrastrutture rischiano impatti ingestibili».

«Nel Mediterraneo ci sentiamo relativamente sicuri. In realtà siamo nel bel mezzo di una possibile bomba geostrategica dovuta al cambiamento climatico». Il diplomatico Grammenos Mastrojeni, segretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo e docente di Ambiente e Geostrategia, non usa mezzi termini. «Non c’è solo la siccità. Possiamo avere anche le alluvioni. Uno scenario veramente ingestibile non solo per l’agricoltura ma anche per tutte le infrastrutture. Le acque del Mediterraneo sono quelle che si riscaldano più velocemente, con impatti inquietanti, dall’innalzamento del livello del mare molto rapido a 250 milioni di persone che rischiano la scarsità idrica. Il mare si sta innalzando non tanto per la fusione dei ghiacciai, quanto perché l’acqua più calda si dilata, fino a oltre un metro entro la fine del secolo, già una ventina di centimetri entro una quindicina d’anni. Una minaccia non solo alla fragilità di meravigliose città costiere come Venezia ma per la risalita del cuneo salino, come sanno bene nel Delta del Po. I Romani osservavano che, per soggiogare un popolo, non bastava batterlo in battaglia ma bisognava spargere sale sui suoi campi. Il 40 per cento della produzione agricola della regione mediterranea si svolge sulle piane costiere. Nel Delta del Nilo l’innalzamento di venti centimetri del mare manda in tilt la sicurezza alimentare di un Paese con più di 100 milioni di abitanti. Ma c’è una minaccia persino maggiore».

Qual è?

«L’identità dell’Europa non si deve solo alla storia comune ma al clima, governato dalla stabilizzazione operata dalla grande massa d’acqua mediterranea. Il mare ha reso i cicli del clima più prevedibili. Se si sa quando piove, si può pensare a seminare. Per questo motivo è iniziata qui la più grande rivoluzione della storia umana, quella agricola, diecimila anni fa. Ora, invece, il Mediterraneo accumula una quantità enorme di calore, che poi rilascia in atmosfera, invertendo la propria funzione da stabilizzatore a motore di caos e imprevedibilità, tant’è che stiamo vedendo gli uragani mediterranei, con piogge distruttive e trombe d’aria. Non solo. Il mare, avendo molta energia, fa oscillare il sistema climatico, portandoci sia le alluvioni sia la siccità. Non andiamo solo progressivamente verso una maggiore scarsità d’acqua, come se fosse un fenomeno lineare, per cui sappiamo che, piano piano, la nostra agricoltura deve diventare quella di una zona arida, le nostre città devono organizzarsi come città di una zona arida. Se fosse così, pur con dei costi, possiamo farcela. Di fronte, invece, a un sistema che inizia a oscillare in maniera imprevedibile abbiamo veramente un problema ancora più grosso».

«Nel 2015, quando è stato siglato l’Accordo di Parigi, abbiamo negoziato sulla base del dato scientifico di un aumento della temperatura media globale di 0,8 gradi. Oggi siamo a più 1,2».

Lo stiamo già vedendo nel nostro territorio.

«Sì, perché tutto progredisce in maniera esponenziale. Nel 2015, quando è stato siglato l’Accordo di Parigi, abbiamo negoziato sulla base del dato scientifico di un aumento della temperatura media globale di 0,8 gradi. Oggi siamo a più 1,2. C’è una differenza di 0,4 gradi, che non sembra molta ma, in pochi anni, corrisponde alla metà del riscaldamento avvenuto negli ultimi due secoli. Solo dieci anni fa il cambiamento climatico non era ancora nell’esperienza diretta del cittadino comune. Si assisteva a qualcosa qui e là. Oggi è assolutamente visibile a tutti e ogni anno lo sarà sempre di più, perché sia il fenomeno sia i suoi impatti progrediscono in maniera esponenziale».

Ma sono scenari previsti dai rapporti dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico. Anche l’incremento della siccità agricola ed ecologica.

«Ampiamente previsti. Anche la nostra organizzazione ha preparato un rapporto sugli effetti del cambiamento climatico sul Mediterraneo, con un capitolo importante dedicato all’acqua. È stato redatto da un gruppo di scienziati, non solo del clima ma anche ecologi, biologi, molti dei quali sono al tempo stesso dell’Ipcc. L’aspetto più triste di tutti è che noi conosciamo questi effetti da moltissimo tempo: le prime allerte sui giornali su quanto sarebbe successo risalgono al 1912».

Sì, è noto da tempo che le emissioni di CO2 causate dai combustibili fossili aumentano la temperatura terrestre. L’ultimo rapporto dell’Ipcc che cosa aggiunge?

«Vere e proprie martellate. Ci dimostra che abbiamo pochissimo tempo per invertire la rotta ma che ancora potremmo farcela. I mezzi ci sono, sia economici sia tecnologici. Ma se continuiamo ad aspettare siamo fritti».

Stiamo assistendo a un’accelerazione rispetto agli scenari prospettati? In Pianura Padana la siccità continua dal dicembre 2021.

«Sappiamo da circa quarant’anni che la soglia di tracollo si situa al 2030. Ogni segmento di degrado ha il proprio trend. Se tutti si sommano, interagiscono, amplificandosi a vicenda, fino al punto di esplosione della disgregazione del sistema. Non abbiamo bisogno solo di comunicare la verità ma di mobilitare le persone a prendersi le proprie responsabilità. Continuare a insistere sul pericolo che si sta aggravando, la soglia sempre più vicina può avere un effetto immobilizzante, proprio il contrario di quanto serve. A me piace la parte dell’ultimo rapporto che dice: il naufragio è vicinissimo ma abbiamo ancora tempo. Basta che ognuno faccia la propria parte».

«All’inizio del secolo gli investimenti dei grandi portafogli connotati dalla sostenibilità erano l’1%, ora sono più del 26%, con la dichiarata intenzione di andare al 60% entro pochissimi anni. Non solo per salvare il mondo ma proprio perché questi investimenti rendono le imprese più competitive. Si sono sempre trattate le attenzioni alla società e all’ambiente come se fossero iniezioni di costi che rendevano le imprese non competitive. Invece si è scoperto che è proprio il contrario».

Abbiamo ragioni di speranza?

«È come una gara tra due corridori: bisogna vedere quale arriva per primo al traguardo. Da un lato abbiamo l’accelerazione del degrado e siamo vicini a una soglia oltre la quale dovremo concepire un mondo con equilibri decisamente ostili a un’umanità organizzata, pacifica, che progredisce. Dall’altro le soluzioni stanno accelerando. L’economia sta iniziando a virare nella direzione giusta, perché ha scoperto che non solo la gestione sostenibile degli investimenti salva il futuro ma garantisce anche ritorni maggiori e più solidi nel tempo. All’inizio del secolo gli investimenti dei grandi portafogli connotati dalla sostenibilità erano l’1%, ora sono più del 26%, con la dichiarata intenzione di andare al 60% entro pochissimi anni. Non solo per salvare il mondo ma proprio perché questi investimenti rendono le imprese più competitive. Si sono sempre trattate le attenzioni alla società e all’ambiente come se fossero iniezioni di costi che rendevano le imprese non competitive. Invece si è scoperto che è proprio il contrario. La trasformazione verde è l’unico orizzonte per far scattare un nuovo ciclo di crescita. Tant’è che la Commissione europea definisce il Green Deal un piano di sviluppo, non di sobrietà per evitare l’apocalisse. Il messaggio è che quanto dobbiamo fare ci porta a vivere con maggior benessere e a tutelare meglio la nostra salute. Il tutto con più soldi in tasca. Dobbiamo smettere di essere prigionieri delle inerzie. Andiamo incontro al disastro perché non vogliamo essere più ricchi e felici?».

Il suo nuovo libro, annunciato per luglio, si intitola «Vola Italia. Ridare le ali a un paese insostenibile».

« Tutti i provvedimenti europei e le loro declinazioni italiane sono strumenti per ottenere una conversione sostenibile dell’economia. La sostenibilità non è attenzione all’ambiente, è una maniera diversa di calcolare costi, rischi e risultati. Ci siamo infilati in un sacco di guai perché facciamo questo calcolo in modo settoriale. Essere sostenibili significa iniziare a valutare l’impatto delle proprie azioni, al di là del settore in cui incidono, in tutta la catena di conseguenze. Senza essere troppo pesantemente tecnico, con un’ottica scientifica, né di destra né di sinistra, il libro spiega come l’Italia sia il Paese del mondo che trarrebbe maggiori profitti da una conversione sostenibile dell’economia. Siamo ricchissimi delle risorse che rendono forte un’economia sostenibile. Purtroppo abbiamo una mentalità che ne frena l’applicazione per molte ragioni, storiche, culturali, anche ambientali. Il primo essenziale provvedimento è lavorare sulla cultura, anche in senso antropologico. Nel libro porto questo esempio. In Italia se la villa del mio vicino è in rovina, tendo ad essere contento. In altri Paesi lo sono se è più bella, perché di riflesso aumenta anche il valore della mia; tutta l’amministrazione pubblica è gestita in un altro modo. Il procedimento autorizzativo edilizio italiano è basato sulla sfiducia, in quello olandese i comitati di quartiere sono chiamati ad avallare i progetti: quando vedono che abbelliscono il patrimonio comune, danno una mano».

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