Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 12 Luglio 2021
Pianta esotica ustionante, allarme anche sulle Orobie
Il «Panace di Mantegazza» dal Caucaso alla Valle Camonica. Alta fino a dieci metri. Il suo veleno, al sole, provoca grosse bolle sulla pelle.
Una pianta originaria del Caucaso che, importata in Italia a scopo ornamentale, si sta diffondendo nei boschi e lungo i corsi d’acqua delle Orobie bergamasche e bresciane, ma che si è rivelata tossica e pericolosa per la salute umana. È il «Panace di Mantegazza», una specie esotica invasiva di cui una direttiva europea, un decreto legislativo del governo italiano e una delibera di giunta di Regione Lombardia vorrebbero contenere la diffusione fino ad arrivare, possibilmente, alla sua eradicazione. Tuttavia, la sua presenza, individuata per la prima volta in valle Camonica nel 2007, si sta allargando e ha già toccato i territori di otto comuni bresciani (Vione, Vezza d’Oglio, Edolo, Sonico, Malonno, Capo di Ponte, Ceto e Breno) molto frequentati dagli escursionisti bergamaschi specialmente d’estate, il periodo in cui il Panace di Mantegazza fiorisce e diventa più pericoloso.
«La pianta – spiegano infatti i botanici – contiene, in tutte le sue parti, sostanze fototossiche che, attraverso i succhi vegetali, possono entrare in contatto con la pelle umana, e nel caso questi vengano “attivati” dalla luce solare, provocare reazioni simili a ustioni». I sintomi possono comparire già nel giro di 15 minuti e dopo 24 ore trasformarsi in grosse bolle. La pelle può restare arrossata per mesi e rimanere più sensibile alla radiazione solare per alcuni anni. Anche gli animali (cani, gatti e cavalli, giusto per citare quelli da compagnia per l’uomo) rischiano di risentirne pesantemente.
È quindi fondamentale saper riconoscere questa pianta e segnalare la sua presenza alle autorità in modo che possano intervenire per sradicarla dal terreno con tutte le precauzioni del caso: servono pesanti tute e grosse guanti, vanghe e picconi, in alcuni ruspe e camion. La caratteristica più evidente di questa pianta è infatti la sua dimensione: in ambienti favorevoli raggiunge i quattro metri di altezza, con un diametro del fusto fino a 10 centimetri simile a quello del carciofo, e foglie lunghe un metro. Sulla pagina inferiore delle foglie e alle ascelle fogliari si sviluppano sottili peli attraverso i quali la pianta rilascia le proprie sostanze tossiche. I semi possono restare nel terreno per più anni conservando la propria capacità germinativa. La pianta cresce in boschi aperti, ai bordi delle radure e in habitat parzialmente ombreggiati; si trova anche in ambienti semi naturali o degradati, lungo le sponde dei fiumi, sul ciglio di strade, ferrovie, prati e pascoli.
«Stiamo parlando – osserva Enzo Bona, botanico – di una pianta estremamente pericolosa e dalla velocità di diffusione preoccupante. Il Panace di Mantegazza causa anche forti impatti sull’ambiente formando densi popolamenti quasi impenetrabili che impediscono la crescita di altre specie autoctone, riducendo in tal modo la biodiversità».
Per questa ragione nei giorni scorsi la Comunità montana di valle Camonica e il Parco dell’Adamello hanno rilanciato l’allarme, rimbalzato in particolare sui social network tra le comunità di appassionati di montagna e di escursionismo. Se qualcuno dovesse avvistare la pianta, può segnarne la presenza con una mail a [email protected] accompagnata se possibile da qualche fotografia e dalla localizzazione Gps. Le autorità raccomandano di non toccarla, se non muniti di guanti protettivi per sostanze chimiche e occhiali antispruzzo.
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