Pensioni minime, in arrivo 25,8 milioni in più: «Bene, ma non si penalizzi il ceto medio»

In Bergamasca. Questa la cifra annua dell’adeguamento previsto dalla manovra licenziata lunedì 21 novembre dal governo. Peracchi (Cgil): «Non si metta mano alla rivalutazione per gli assegni più alti». Corna (Cisl): «Rischio disuguaglianze».

Norma su norma, pacchetto dopo pacchetto, la prima «manovra» del governo Meloni va a comporre un mosaico di interventi che ha nelle pensioni uno dei capitoli più rilevanti. Tra i punti c’è anche l’aumento delle pensioni minime, che dovrebbero alzarsi di quasi 50 euro al mese. La questione è tecnica, in punta di diritto previdenziale: in attesa di conoscere il testo definitivo (che tra l’altro potrebbe subire delle modifiche in parlamento), il concetto di fondo è che le minime saranno «rivalutate al 120%». Che significa? La rivalutazione delle pensioni – cioè l’adeguamento all’inflazione, che scatta in automatico – dal 1° gennaio 2023 sarà in generale (per le pensioni fino a 2mila euro) del 7,3%, ma appunto per gli assegni minimi sarà maggiorata al 120%: e il 120% del 7,3% si traduce in un +8,76% finale. Questi assegni oggi si attestano a 525,38 euro al mese, il +8,76% le porterà a 571,40 euro con un incremento mensile di 46 euro e 2 centesimi; se invece si fosse applicata la rivalutazione al 7,3%, l’incremento sarebbe stato di 38,35 euro al mese. Si parla di un adeguamento mensile per la Bergamasca di circa 1,98 milioni al mese, ovvero 25,8 milioni l’anno compresa la tredicesima.

Secondo i dati dell’Inps aggiornati al 1° gennaio 2022, in Bergamasca sono in totale 43.124 le «pensioni integrate al trattamento minimo», di cui 31.570 sono pensioni di vecchiaia (la restante parte riguarda assegni di invalidità o per i superstiti); si tratta sia di pensioni totalmente integrate sia di assegni solo parzialmente integrati. Tra l’altro la tendenza è quella di una diminuzione della platea che ne beneficia: nel 2018 le pensioni integrate al trattamento minimo in Bergamasca erano 51.286, di cui 37.583 di vecchiaia; chi va in pensione oggi, in altri termini, ha tendenzialmente dei trattamenti già superiori alla «minima».

Le reazioni

Sul tema pensionistico e in generale sulla legge di bilancio in corso di varo, i commenti dei sindacati sono prudenti. «Sulla manovra complessiva, con la cautela del caso in attesa dei testi definitivi, il giudizio non è soddisfacente», premette Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil di Bergamo: «Per esempio, l’operazione sulle pensioni non convince. Vengono sì alzate le minime, che coprono in gran parte una platea di lavoratori andati in pensione senza varare i contributi, già tutelati dal meccanismo di perequazione automatica. Preoccupa però che si cominci a metter mano al sistema di rivalutazione per le pensioni medio-alte (l’adeguamento all’inflazione si riduce per gli assegni superiori a 2mila euro lordi al mese, ndr), che serva tutelare il ceto medio dall’inflazione. Opzione Donna viene legata invece al numero dei figli: si esclude una parte di donne che dedica comunque energie alla famiglia. Sugli altri punti, l’elevazione a 85mila euro della flat tax per gli autonomi è una discriminazione rispetto ai lavoratori dipendenti e anche ai pensionati, mentre l’eliminazione delle cartelle esattoriali sino a mille euro è un segnale pesante».

Francesco Corna, segretario generale della Cisl di Bergamo, mette l’accento su una distinzione: «È importante distinguere tra previdenza e assistenza. Alzare a 1.000 euro le minime a tutti indipendentemente dai contributi, come era stato proposto da alcuni, rischiava di creare degli svantaggi per esempio per chi ha lavorato 40 anni ma prende ugualmente 900 euro al mese. È positivo che si rivalutino le pensioni più basse e che si sostenga chi è in difficoltà, ma senza confondere i diversi piani. Quota 103? È una soluzione tampone: serve una riforma strutturale che vada a evidenziare le differenze di esigenze tra le diverse mansioni. Ci sono professioni che possono essere svolte fino a una certa età, altre no. È fattibile, basta prendere le tabelle dell’Inail legate alla mortalità, alle malattie professionali e all’aspettativa di vita tra le professioni, e decidere guidati da quei dati». Quanto agli altri punti, aggiunge Corna, «siamo sempre stati contrari alla flat tax: ognuno deve contribuire alla sostenibilità del nostro welfare in proporzione alle proprie disponibilità, la scelta del governo aumenta invece le disuguaglianze». Peracchi promuove invece «l’incremento dal 25% al 35% per la tassazione degli extra-profitti, anche se noi avevamo chiesto di più». Per Corna, è complessivamente positivo «che il taglio del cuneo fiscale sia stato riconosciuto in favore dei lavoratori e non delle imprese».

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