Papa Giovanni: «Entro l’anno 500 interventi in più per recuperare le liste d’attesa»

Fabio Pezzoli, direttore sanitario: è il nostro obiettivo per recuperare le liste d’attesa: «Aumenteremo di un’ora al giorno anche le attività ambulatoriali. Ma se i contagi saliranno, salterà tutto»

«La situazione dei ricoveri di malati Covid è sotto controllo, con aumenti e diminuzioni che oscillano a seconda dei giorni, ma sostanzialmente anche se abbiamo assistito a una crescita negli ultimi tempi il carico rimane gestibile. E questo, per il momento, ci permette di avviare il programma per aumentare prestazioni di diagnostica, visite specialistiche e interventi chirurgici così da snellire le liste d’attesa che sono progressivamente cresciute nei mesi scorsi, con l’aumentare della pressione dei ricoveri per Covid». Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo illustra come verrà innestata la «marcia in più» per raggiungere l’obiettivo che la Regione Lombardia ha fissato: produrre il 105% delle prestazioni fino a dicembre, nell’esercizio 2021, in sostanza, superare del 5% il 100% del volume di attività effettuate nello stesso periodo del 2019, cioè in era pre pandemica.

Le risorse «Non è un obiettivo facile da raggiungere, richiede senza dubbio una nuova organizzazione del lavoro e della programmazione delle attività e soprattutto bisogna fare conti precisi con le risorse di personale che si hanno a disposizione - rimarca Fabio Pezzoli -. La Regione consente la possibilità di assumere nuovo personale se si è a numeri inferiori rispetto al personale che era disponibile nel 2019, ma la strada più praticabile è quella del pagamento extra lavorativo delle ore in più che vengono richieste a medici e infermieri. Abbiamo una carenza in particolare di anestesisti, ma con un bando appena lanciato a settembre è davvero difficile che si possa pensare di avere personale nuovo entro dicembre. Per questo si ricorrerà alla cosiddetta “area a pagamento”, siamo certi che nessuno si tirerà indietro, anche se bisogna mettere in conto che il personale, dopo un carico di lavoro come quello affrontato nell’ultimo anno e mezzo, è particolarmente stanco e può darsi che qualcuno preferisca limitarsi al suo orario di lavoro, rinunciando a una remunerazione extra per ore aggiuntive.

La Regione Lombardia, comunque, per tutta la nostra operazione di recupero delle liste d’attesa entro l’anno ha messo a disposizione circa due milioni e mezzo di euro». Le patologie L’obiettivo, in sintesi, per l’area chirurgica è di arrivare ad almeno 20 interventi in più a settimana, con una nuova programmazione che preveda sedute di sala operatoria anche al sabato mattina. «Complessivamente, noi puntiamo a 500 interventi in più entro l’anno - illustra Pezzoli - . La recente circolare della Regione Lombardia, diffusa in questi giorni, chiede che le priorità negli interventi siano date a quelle patologie indicate nel Piano nazionale per le liste d’attesa (si va, per fare qualche esempio, dagli interventi per tumore al seno, alla prostata, al colon, all’utero, per melanoma, ma anche angioplastiche, interventi di protesi d’anca, coronarografie, biopsie del fegato ndr) , ma ci consente anche di inserire nella nuova programmazione anche altri tipi di intervento». Incognita della riapertura «Per quanto riguarda invece l’attività ambulatoriale, aumenteremo la disponibilità per visite specialistiche e prestazioni diagnostiche di un’ora al giorno, prevalentemente nella fascia oraria del tardo pomeriggio, ma non si esclude di allargare anche al sabato. Si punta ad effettuare almeno 4 prestazioni in più al giorno, ma anche su questo occorrerà fare il punto sulla disponibilità delle risorse umane.

Partiremo nel giro di pochi giorni. Con una estrema attenzione a quanto accadrà nei prossimi giorni con la riapertura delle scuole, e quindi l’aumento degli utenti del trasporto pubblico: la preoccupazione nel mondo sanitario è altissima, per questa ripartenza: il timore che i contagi possano risalire c’è, è inutile nasconderlo. Ed evidentemente, se con l’aumento dei nuovi casi di contagio dovessero salire sensibilmente i ricoveri nei reparti ordinari e nelle Terapie intensive, tutto il programma per l’accelerazione dell’attività ospedaliera anche per altre patologie crollerebbe: potremmo essere costretti a rallentare di nuovo. E ne soffrirebbero le centinaia di malati che sono stati costretti a rinviare o ad accedere alle cure in ritardo». Rispetto all’anno scorso, però, a fare muro contro il Covid e l’incubo contagi stavolta c’è un’arma che allora non c’era ancora: il vaccino. Ricoverati non vaccinati «Senza dubbio, ed è l’unica arma che attualmente abbiamo per contrastare la pandemia - rimarca il direttore sanitario dell’Asst Papa Giovanni -. In Lombardia e nella Bergamasca i giovani stanno dimostrando un grande senso di responsabilità, perché il numero di ragazzi che decidono di vaccinarsi sta aumentando.

E questo è un dato molto positivo, vista l’imminente riapertura delle scuole. E su tutta la popolazione abbiamo un’alta percentuale di vaccinati, ma restano ancora “sacche” numerose di persone che non hanno ricevuto neppure una dose. E sono le persone più in pericolo: al “Papa Giovanni”, che in Bergamasca è l’unico ospedale che accoglie malati di Covid, abbiamo poco meno di 30 malati, tra Malattie infettive e Terapie intensive: sono tutte persone che non hanno ricevuto il vaccino, con un’età media di 45 anni. Sono dati che dovrebbero far riflettere molto: chi non si è ancora protetto con le somministrazioni dell’unica arma in grado di far evitare il pericolo di una malattia grave, rischia molto, e nessuno può e deve sentirsi al sicuro. L’età media dei nuovi casi ricoverati in ospedale si è abbassata sensibilmente e pensare di non appartenere a una “categoria a rischio” non deve far sentire tranquillo nessuno. Oltretutto, vaccinarsi è anche un gesto di aiuto per altre persone che hanno bisogno di cure per patologie diverse dal Covid, spesso gravi: se i contagi aumentano, e quindi anche i ricoveri, e i casi più delicati intasano le Terapie intensive, si rischia di sottrarre ad altre persone anche in condizioni gravi l’opportunità di cure tempestive. Il gesto di vaccinarsi deve essere letto anche come un contributo sociale. E un aiuto a chi per lavoro deve curare gli altri: mettere tutti nelle migliori condizioni per fornire e ricevere le terapie necessarie è importante. Anzi, è vitale».

© RIPRODUZIONE RISERVATA