Omicidio di Valbrembo, addio a Muttoni. I famigliari: «Speriamo sia fatta giustizia»

L’ULTIMO SALUTO. A Valbrembo la cerimonia per ricordare il 58enne ucciso in casa da due giovani. Il gip: volontà omicida.

«Speriamo sia fatta giustizia per tutto il male che gli hanno fatto»: i famigliari di Luciano Muttoni si sono stretti in una cerimonia riservata, lontana dalle telecamere, per dare l’addio al 58enne brutalmente ucciso da due giovani di 25 e 23 anni per una rapina finita in tragedia nella sua casa di Valbrembo. All’uscita dalla chiesa di Ognissanti al cimitero di Bergamo, dove si sono celebrati i funerali nella mattinata di sabato 15 marzo, i parenti di Luciano Muttoni lo hanno ricordato come «una bravissima persona». «Ci mancherà» hanno aggiunto ricordandolo insieme, lui ultimo di nove fratelli, una famiglia numerosa e unita.

«Morto da innocente»

Nell’omelia padre Marco Bergamelli, frate della chiesa di Ognissanti, ha ricordato il sacrificio di Gesù sulla Croce: «Anch’Egli è morto da innocente come Luciano». «Gesù ha avuto la forza di perdonare i suoi carnefici» ha dichiarato il religioso nel corso di una cerimonia molto sentita e sofferta. «Tutti noi coltiviamo semi di violenza nel nostro orticello - ha ricordato fra Bergamelli riprendendo il pensiero del cardinale Carlo Maria Martini -, ci facciamo prendere dalla vendetta, siamo indifferenti alle disgrazie altrui, ci risvegliamo solo quando ci toccano da vicino».

Sotto effetto di droghe

«Per il Signore siamo tutti suoi gioielli, anche i due giovani che si sono macchiati di questo delitto, poi la giustizia farà la sua parte» ha concluso padre Bergamelli riferendosi al 25enne di Bergamo e il complice di 23 anni di Monza fermati per l’omicidio di Muttoni. «In previsione di quello che volevo andare a fare, avevo assunto delle droghe e ne ero ancora sotto l’effetto» ha raccontato proprio ieri - venerdì 14 marzo - il 25enne davanti al giudice Alessia Solombrino. Per il magistrato il suo stato di alterazione però non ha influito sulla sua volontà omicida, anzi lo definisce un elemento «in alcun modo valorizzabile... trattandosi di una condizione di alterazione che il predetto indagato ha consapevolmente procurato a se stesso proprio per inibire qualsivoglia controllo nella realizzazione di una efferata spedizione punitiva». A questo si aggiunge «che proprio le condotte perpetrate immediatamente prima e subito dopo la condotta (desumibili in particolare dalla lucidità delle condotte successive, evidentemente finalizzate ad occultare le prove dell’omicidio) inducono ad escludere elementi sintomatici di un discontrollo emotivo idoneo ad incidere quantomeno sull’atteggiamento psicologico dell’indagato».

Il ruolo del giovane monzese

Non da meno il coinvolgimento nel delitto del monzese, che «pur rivestendo un ruolo di minore rilievo e quasi esecutivo rispetto all’iniziativa criminale del complice, ha comunque attivamente partecipato al drammatico pestaggio, alimentando con la propria condotta i propri e gli altrui impulsi criminogeni, in un crescendo di tensione e aggressività del tutto sproporzionato rispetto al profitto perseguito». Anche lui dovrà rispondere di omicidio volontario aggravato dal nesso teleologico e dall’ora notturna «essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione di carattere estemporaneo all’opera del correo originariamente ignaro dei propositi altrui».

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