Omicidio di Mamadi Tunkara, la svolta nelle indagini: «Sì, l’ho ucciso per gelosia»

IL DELITTO. Un uomo di 28 anni, del Togo, preso sabato 4 gennaio al confine con la Svizzera. Ha confessato: voleva che Mamadi ammettesse di frequentare la sua ex.

«Ammettilo che stai con lei!». «Ma cosa vuoi?». E via con degli insulti reciproci. Devono essere state all’incirca queste le parole che alle 15,20 di venerdì 3 gennaio sono riecheggiate nel caos dello shopping della galleria di passaggio Cividini. Pochi istanti dopo Mamadi Tunkara è stramazzato a terra, ucciso con diverse coltellate. Nello stesso istante è cominciata la fuga del suo assassino, che ha prima vagato per Bergamo, poi in serata è salito sul treno per Milano e, da lì, su un altro convoglio per Lugano. Dove non aveva contatti con qualcuno che lo potesse in qualche modo aiutare, ma dove pensava di sfuggire alla giustizia italiana. Ma dove non è mai arrivato. Sabato 4 gennaio a Chiasso la polizia elvetica lo ha infatti controllato sul treno – una routine su quella tratta – e, trovandolo senza documenti e senza immaginare che da questa parte della frontiera fosse ricercato perché «armato» e «pericoloso», lo ha consegnato ai colleghi italiani di Como, come prevede in tal senso l’accordo internazionale.

Il riconoscimento a Como

E i poliziotti comaschi, confrontando la foto del dispaccio di «rintraccio urgente» diramato dal pomeriggio precedente dai colleghi della Mobile di Bergamo, hanno capito chi avevano davanti: Sadate Djiram, 28 anni, nato in Togo, incensurato. Sarebbe stato lui a uccidere, il pomeriggio prima, il trentaseienne del Gambia. E lo avrebbe fatto per gelosia, come ha confessato ieri pomeriggio in questura, dove gli è stato formalizzato il fermo per omicidio volontario. Era infatti convinto che la sua compagna – un’italiana che l’aveva ospitato in casa per qualche mese, da quando si erano conosciuti dopo l’arrivo a Bergamo –, dopo averlo lasciato avesse iniziato una relazione proprio con Mamadi, l’addetto alla vigilanza del Carrefour di via Tiraboschi che la coppia aveva visto e conosciuto nei mesi scorsi proprio per la loro frequentazione del supermercato come clienti.

Nei giorni precedenti un tentativo di confronto

Sadate – è stato spiegato sabato 4 gennaio in questura durante la conferenza stampa del procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, del questore Andrea Valentino e del capo della Mobile Marco Cadeddu – voleva in sostanza che Mamadi ammettesse la relazione. Già nei giorni precedenti c’era stato un tentativo di confronto in tal senso, sfociato però soltanto nella violenza verbale. Venerdì 3 gennaio al pomeriggio Sadate è tornato alla carica. Stavolta portando con sé un coltello da cucina in ceramica con 14 centimetri di lama e 13 di manico (aspetto che, per ora, non è stato però sufficiente per contestargli l’aggravante della premeditazione). Arriva al Carrefour a piedi e si fionda dentro per cercare Mamadi. Sono le 15,04.

Solo un minuto dopo le telecamere lo inquadrano mentre esce: svolta a sinistra e imbocca il vicino passaggio Cividini. Lì si trova davanti quello che considera l’uomo che gli ha portato via la compagna e che sta andando proprio al lavoro in sella alla sua bici. I due, fino a quel momento per certi versi, se vogliamo, molto simili – entrambi arrivati in Italia per cercare un futuro migliore, tanto da impegnarsi negli studi, nel migliorare la lingua italiana, nel far di tutto per integrarsi (compreso, preciseranno in Questura, frequentare una compagna italiana) e stabilirsi a vivere a Bergamo – stanno per trasformarsi uno in assassino e l’altro in vittima.

L’aggressione e la fuga

Sadate affronta Mamadi: volano insulti e spunta il coltello. Sarà l’autopsia, programmata per martedì, a chiarire quanti fendenti raggiungono Mamadi e dove: probabilmente tra i quattro e i sette. È impossibile salvargli la vita. Mamadi stramazza a terra sotto gli occhi di una telecamera e di tante persone impietrite. Tranne due – un italiano e uno straniero – che si mettono a inseguire Sadate, lanciato in una fuga disperata che lo porterà da via Tiraboschi a Chiasso. A piedi scappa in via Ghislanzoni – dove, per alleggerirsi, getta a terra zaino e giubbetto, con tanto di carta d’identità (che sarà poi fondamentale per identificarlo e rintracciarlo) – poi imbocca via D’Alzano e via Paglia: qui, al civico 22, getta il coltello in una delle aiuole di un cortile (ritrovato ieri mattina e posto sotto sequestro dalla Scientifica). Poi scappa ancora: le telecamere subito visionate dalla Mobile lo intercettano in via Moroni, in via Carducci e poi sempre più a ovest, fino in via Martin Luther King, dove viene perso di vista dagli occhi elettronici. In serata – ricostruiranno gli inquirenti – andrà in stazione per andare a Milano e da lì, ieri mattina, sale sul treno diretto a Lugano. Alle 13,30 è di nuovo a Bergamo, in questura, scortato fin qui dalla Mobile. Difeso dall’avvocato d’ufficio Micaela Viscardi, inizialmente si avvale della facoltà di non rispondere. Poi, quando il fermo è formalizzato – sono le 14,25 – e sta per essere portato in carcere, cambia idea e dice di voler confessare. Nel tardo pomeriggio fa le prime ammissioni e parla appunto del movente sentimentale.

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