«Noi del Dopolavoro ferroviario, come una famiglia»

STAZIONE. Domenica 9 febbraio l’ultimo pranzo per dire addio alla sede, che sarà demolita per realizzare il nuovo scalo ferroviario. In 50 a tavola ricordando feste, viaggi e iniziative culturali: «Speriamo arrivi presto una risposta sui nuovi spazi».

L’atmosfera che si respira è calda e accogliente. Sembra, senza retorica, di stare in famiglia. Un bicchiere di vino, un buon piatto di pasta e tanti sorrisi. L’ultimo pranzo dei soci del Dopolavoro ferroviario di Bergamo nella sede della stazione è gioioso anche se, dice Michele Iania, «la lacrimuccia non si vede ma c’è».

Abbandonare il luogo che è stato casa per quasi cent’anni, da quando negli anni Trenta è nata l’associazione dei ferrovieri, non è facile. Ma la tristezza non intacca questo gruppo di donne e uomini che, parrà strano, sono in prevalenza estranei al mondo ferroviario: semplici persone che in questo gruppo hanno trovato la bellezza dello stare insieme e di condividere esperienze. «Speriamo che gli articoli usciti in questi giorni smuovano un po’ le acque e di avere una risposta a breve. È solo l’ultimo pranzo qui – commenta Luigi Azzariello proponendo il brindisi iniziale –. Ci vediamo nella nuova sala».

A tavola tra sapori e ricordi

Si sono ritrovati circa in 50 domenica 9 febbraio per una tavolata nel salone. In molti affamati dopo una lunga camminata nella mattinata per visitare il castello di Valverde con la guida turistica: una delle tante iniziative culturali che il Dlf promuove durante l’anno. A ristorarli ci hanno pensato le cuoche. Mogli di ex capitreno, come Anna Cairo, compagna di Michele Iania, o di ex macchinisti, per esempio Teresa Finazzi, moglie di Pierluigi Gotti, per tutti Chicco.

Protagonista indiscussa la pasta all’amatriciana di Anna, che ne ha serviti in totale 6 chili con l’aiuto delle amiche Mary Di Gennaro, Oliva Rigamonti, Lucia Ruocco e Lara Drago. Ore di lavoro ai fornelli, come spesso capita al Dopolavoro. «Abbiamo festeggiato diversi capodanni nel salone. Tutti gli anni ci troviamo 5 o 6 volte tra feste dei tesseramenti, Natale, San Valentino e Giornata internazionale della donna», racconta Michele Iania.

Alla ricerca di una nuova sede

Occasioni come queste, in cui si ha un grande spazio per ritrovarsi, saranno complicate da ripetere. L’associazione è alla ricerca di una nuova sede, ma anche quella più papabile, ovvero una saletta nell’Urban Center, sarebbe troppo piccola e limitata solo alle attività istituzionali. «Mette un po’ di tristezza pensare che è l’ultimo pranzo», dice Anna Cairo. Ma non è solo per i pranzi, perché di attività se ne sono fatte tante nel tempo, tra svago e cultura. Oltre ad ospitare la scuola di tango Milonga – che si esibirà l’ultima volta al Dopolavoro il 15 febbraio, con l’ipotesi di uno spostamento anche per questa realtà, forse, all’Urban Center – e ad organizzare viaggi di gruppo (dalle vacanze in Calabria, Puglia o Sardegna, all’appuntamento annuale a Ischia) «abbiamo messo in piedi alcuni spettacoli. La corrida, il “Tale e quale”, e anche opere teatrali tra cui La giara di Pirandello», spiega Ezio Criscenzo, il «direttore artistico» del Dopolavoro.

«Sono finito a fare il ferroviere per caso – racconta –. Lavoravo in teatro in Sicilia. Mi vennero a chiamare durante uno spettacolo per dirmi che ero stato preso per lavorare in ferrovia a Bergamo. Mia madre mi minacciò e dovetti andare». I ricordi sono tanti e per qualcuno, come Pierluigi Gotti, i migliori sono quelli delle Messe: «Personalmente sono legato alle Messe che organizzavamo per i defunti, perché in quelle occasioni potevi vedere anche tutti i colleghi che durante l’anno non riuscivi a incontrare».

«Come una seconda famiglia»

La socializzazione insomma è sempre stata la colonna portante. Anche per chi, giovanissimo, è entrato da poco nell’associazione, ma vi ha sempre gravitato attorno: «Mio padre e mio nonno sono ferrovieri e lo sono anch’io, mi occupo di trasporti eccezionali – dice Francesco Schiavone, 25 anni –. Sono entrato nel Dlf da un anno e mezzo, ma sono cresciuto con loro. Per me è come fossero tutti degli zii. Qui mi sento come in una seconda famiglia».

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