«No ai tamponi a tutti, ognuno va per conto suo. Qui è come al fronte»

Le chat . Tra febbraio e marzo 2020, in pieno lockdown i pareri erano discordanti sull’uso massiccio dei test. Gallera a Saffioti: «In guerra con le scarpe di cartone».

«Il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa». È il 22 febbraio del 2020, l’indomani della scoperta del «paziente 1» a Codogno, e il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, si dice scettico sull’uso dei tamponi a tappeto. Emerge da una chat di Whatsapp, ora agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo sul Covid: il numero uno dell’Iss scrive a Francesco Curcio, direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio a Udine.

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In quel periodo la valutazione era non procedere con l’«uso massiccio dei tamponi», anche se da Londra era stato comunicato che «oltre 2/3 dei portatori sani provenienti dalla Cina sono rimasi “undetected” e hanno avuto il tempo di diffondere il virus», come emerge dalla perizia di Andrea Crisanti. Poco meno di un mese dopo, il 15 marzo 2020, in pieno lockdown e con Bergamo piegata dalla pandemia, Ranieri Guerra, allora numero due dell’Organizzazione mondiale di Sanità, scriveva a Brusaferro: «Ma fare tamponi a tutti adesso è la c... del secolo». Al presidente dell’Iss Guerra aveva chiesto se fosse vera la decisione «di fare tamponi a tappeto». «No, è che ognuno va per conto suo», la risposta. «Ho parlato con Galli – replicava Guerra – e gli ho detto di desistere dal proporre scemenze come tamponi per tutti. Ha convenuto, spero...». Dalle chat di quelle concitate settimane emerge la confusione: «Sta succedendo di tutto: pareri del comitato difformi da Conte e ministro, ripensamenti sollecitati, gente richiamata a venire qui, la guerra mondiale», scriveva Giuseppe Ruocco, ex segretario generale del ministero della Salute, a una funzionaria ministeriale il 29 febbraio 2020: «Mancano le maschere, Conte ci fa cambiare le misure per la prossima settimana (chiusure/aperture) mano a mano che sentono le Regioni; ci chiedono di ipotizzare ospedali da campo» e «linee guida per la gestione sub intensiva dei pazienti». Dagli atti emerge che le chat tra il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, e Silvio Brusaferro tra il 26 marzo e il 15 maggio 2020 mostrano «dal punto di vista tecnico, le lungaggini e la farraginosità delle procedure di Iss».

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Sul fronte regionale, l’allora assessore al Welfare Giulio Gallera il 24 marzo 2020 rispondeva «ci hanno fatto andare in guerra come gli italiani in Russia, con le scarpe di cartone» all’ex consigliere regionale azzurro bergamasco Carlo Saffioti, del tutto estraneo all’inchiesta e che, oltre a gestire la comunità psichiatrica di Verdello, era stato volontario all’ospedale da campo alla Fiera e poi in campo per i vaccini a Treviglio e al «Papa Giovanni». Saffioti gli aveva evidenziato che la Bergamasca «è allo stremo. Si è investito tutto sugli ospedali che hanno fatto miracoli, ma il territorio è rimasto abbandonato a se stesso». «Il problema è l’assoluta insufficienza dei dpi – rispondeva Gallera –. Fin da subito non siamo riusciti a distribuire sul territorio mascherine, camici, visiere, perché non ce n’erano. I pochi che abbiamo vengono giustamente destinati agli ospedali. Questo ha fatto saltare protocolli che erano attivi e che avrebbero dovuto essere un presidio di sanità».

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