«Nel 2022 diremo addio al green pass, ma per ora manteniamo le mascherine»

Il microbiologo Guido Rasi, consulente del generale Figliuolo: l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi. «Per togliere il certificato verde: circolazione frenata del virus e assenza di varianti che eludano i vaccini».

In coda, fuori dalle farmacie. A ingrossare le fila dei lavoratori bergamaschi intenti a effettuare tamponi ogni 48 ore, ci sono anche centinaia di cittadini di origine straniera vaccinati con preparati non approvati dall’Ema, European medicines Agency. Badanti e autotrasportatori per lo più, immunizzati con vaccini russi e cinesi: prodotti che, non avendo ricevuto il via libera dall’Agenzia di controllo europea, non danno diritto al Green pass. Un tema da giorni sul tavolo del ministero della Salute, e che riguarda da vicino anche Bergamo. «Vista la bassa circolazione del virus in queste settimane, credo che il rischio che si potrebbe correre garantendo il Green pass anche a chi è immunizzato con vaccini non approvati dall’Ema sia, in questa fase, modesto». Ne è convinto Guido Rasi, professore di Microbiologia all’Università Tor Vergata di Roma, già direttore dell’Ema (2011-2020) e dell’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, oggi consulente scientifico del generale Francesco Figliuolo.

Quindi, professore, crede arriverà un via libera al Green pass per chi è vaccinato con Sputnik o Sinovac?

«A marzo, quando avevamo un’incidenza attorno ai 400 casi ogni centomila abitanti, non se ne sarebbe nemmeno parlato. Oggi invece, con il virus che circola in maniera frenata, può essere un’opzione percorribile. Il ministero ha tutti i numeri per valutare il rischio connesso a quest’operazione, che ritengo limitato. Personalmente però prediligerei un’altra strada: visto che parliamo di persone che hanno accettato di vaccinarsi, se sono già trascorsi sei mesi dal richiamo proponiamo loro una dose booster con uno dei nostri composti, e a quel punto concediamo il Green pass».

Cosa preoccupa maggiormente di questi due vaccini?

«Certamente chi è vaccinato con questi due composti un minimo di protezione ce l’ha. Tuttavia, per quanto riguarda il vaccino cinese, sembra abbia un’efficacia relativa, attorno al 50%. Diverso il discorso per Sputnik: potenzialmente è un ottimo vaccino, con un’efficacia dichiarata al 90% anche se in un unico studio, ma in questo caso c’è un problema di qualità della produzione: alcuni siti produttivi sparsi per il mondo non hanno soddisfatto gli standard di qualità. Tanto che qualche ente regolatorio straniero non se l’è sentita di approvarlo».

Quando crede potremo dire addio al green pass, in Italia?

«Realisticamente nel corso del 2022, ma solo alla presenza di almeno due condizioni. La prima è una stabile, e sottolineo stabile, circolazione frenata del virus sull’intero territorio nazionale. L’indicatore cardine è l’incidenza sulla popolazione: credo che un’incidenza fra i 10 e i 15 casi ogni centomila abitanti sia il parametro a cui aspirare» .

Un parametro che la Bergamasca aveva raggiunto a metà ottobre. Ma quali sono le altre condizioni?

«L’assenza di varianti e sottovarianti del virus in grado di eludere la protezione dei vaccini».

La Delta-plus, riscontrata in Inghilterra, lo è?

«Le sottovarianti vanno monitorate, in generale. Ma quest’ultima mutazione riscontrata in Inghilterra non sembra avere le caratteristiche per aggirare i vaccini».

A proposito di Inghilterra, la recente esplosione dei contagi - circa 50mila al giorno - potrebbe non deporre a favore dell’efficacia dei vaccini.

«È vero il contrario, e i dati lo dimostrano. A parità di casi, a gennaio 2021 - quando la popolazione non era ancora protetta - l’Inghilterra contava qualcosa come 1.400 morti al giorno. Oggi, un centinaio. Il problema è che Oltremanica hanno preso una serie di decisioni nefaste: hanno ritardato il lockdown, allungato i tempi fra prima e seconda dose favorendo la nascita della variante Delta, e oggi ci ricascano omettendo di imporre mascherine e distanziamento, creando così il terreno per le sottovarianti. È un dato che l’Inghilterra stia facendo da porta di ingresso alle varianti in Europa».

L’Italia non corre gli stessi rischi?

«Il confronto è sotto gli occhi di tutti, e non solo con l’Inghilterra. Il nostro Paese se la cava meglio di molti altri , perché non ha scommesso sul pilastro della vaccinazione. Pur essendo senza dubbio determinante, da solo non sarebbe bastato. Bene abbiamo fatto a mantenere mascherine e distanziamento, e a introdurre il Green pass».

Ancora sul green pass: che garanzie dà il tampone?

«Dal punto di vista scientifico, il tampone ci assicura la negatività di una persona per, all’incirca, sei ore. Chi ha un tampone negativo alla mattina, a metà pomeriggio potrebbe infatti risultare positivo. Questo perché, una volta avvenuto il contagio, scatta la replicazione del virus: e in 5 ore una sola particella ne può produrre fino a 500mila. Perché si diventi contagiosi ne serve qualche milione, di particelle. Dunque, le 48 ore di validità rappresentano un tempo ragionevole, u n rischio calcolato».

A Bergamo e in tutto il Paese s’è superato il traguardo dell’80% di vaccinati con doppia dose. La variante Delta ci proibisce di festeggiare?

«Diciamo che ci costringe ad alzare l’asticella, e a guardare con attenzione ai giovani, che con questa variante si contagiano anche in maniera seria. Ma il risultato raggiunto in Italia è straordinario. Certo: dobbiamo lavorare perché la copertura salga ancora di più» .

A proposito di bambini, entro dicembre l’Ema si esprimerà sul vaccino Pfizer per la fascia 5-11 anni. È una fascia strategica?

«Negli Stati Uniti stiamo osservando un trend purtroppo stabile di casi, anche seri, nelle fasce pediatriche. Succede negli Stati con i tassi inferiori di vaccinazione. Dovremo guardare a questi numeri per capire se e quando immunizzare anche questa fascia. In ogni caso avere un preparato pronto per proteggere i bambini è fondamentale».

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