Cronaca / Bergamo Città
Martedì 07 Novembre 2023
Negozi, 25 chiusure in centro in 9 mesi. «Ma c’è il turnover»
COMMERCIO. Ascom: 2023 difficile, solo 18 le aperture. Il Duc: non c’è ricambio generazionale ma il cuore della città attrae, in un anno un’attività su tre cambia pelle.
Panetterie, oreficerie, negozi di fiori, scarpe e vestiti. Si va allungando la lista dei cosiddetti «negozi di vicinato» – più o meno storici, considerati i 40 anni di attività richiesti dalla Regione per ottenere il riconoscimento – che nel centro di Bergamo hanno abbassato per sempre le saracinesche.
Ascom ne ha contati 25 da gennaio a settembre, a fronte di 18 aperture. «La questione è delicata – ammette Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo –. E non può prescindere da due aspetti: la mancanza di ricambio generazionale nella gestione dei negozi storici e la difficoltà di sostenere attività commerciali nelle aree centrali della città, dove gli affitti restano alti a fronte di rendite in calo».
I numeri del 2022
Il 2022 è stato un anno record per le chiusure delle attività commerciali, e le associazioni di categoria temono « che il 2023 andrà nello stesso modo, peggio addirittura del 2020». Pesano il rincaro delle materie prime e le previsioni di ridimensionamento delle spese. «Certo, la crisi del commercio interessa tutte le città italiane, grandi e piccole – riconosce Fusini – ma il dato nuovo riguarda il settore della somministrazione, che inizia a segnare il passo dopo anni di espansione. Flettono anche i pubblici esercizi, i bar e i ristoranti, un fenomeno più evidente in provincia, che ora inizia interessare anche la città». Il turnover c’è, ma va letto con attenzione, sostiene il direttore di Ascom, «a fronte di attività storiche che tendono a ridursi, quelle nuove possono essere più attrattive ma hanno fatturati più bassi di chi chiude, teniamo presente che chi parte è in startup e non è detto superi la fase iniziale, come dimostra la velocità di turnover nelle strade dello shopping».
Le considerazioni dei commercianti
«È sempre una ferita la chiusura di attività storiche, non solo per lo spegnersi di un’attività imprenditoriale di lunga data, ma anche per la perdita di identità dei luoghi, sempre più uguali dentro e fuori i centri storici – commenta Filippo Caselli, direttore di Confesercenti Bergamo –. A livello lombardo, nel 2023, ogni giorno per 11 saracinesche alzate se ne abbassano 20. A questo si aggiunga il calo delle nuove aperture; non c’è più quella propensione all’imprenditorialità che si riscontrava negli anni passati, almeno per quanto riguarda le attività commerciali tradizionalmente intese, a iniziare dal comparto dell’abbigliamento, quello che soffre di più». Come intervenire? «Prendere coscienza di quanto accade significa prevedere a più livelli interventi diversi: a livello governativo occorre pensare a fiscalità di vantaggio per i primi cinque anni di attività e mettere mano alla disciplina del commercio, al fine di consentire a tutti gli operatori di competere ad armi pari: oggi ci sono troppe asimmetrie e poca attenzione alle regole». A livello locale la valorizzazione del ruolo sociale delle attività di vicinato passa invece attraverso politiche urbanistiche mirate, «quello per cui abbiamo lavorato con l’amministrazione di Bergamo e il Distretto urbano del commercio (Duc). Purtroppo la scala territoriale comunale può non essere sufficiente se appena fuori città regna il “laissez faire”», sottolinea Caselli.
Dice «no all’operazione nostalgia» Nicola Viscardi, presidente del Distretto urbano del commercio. «Spiace che un’insegna storica chiuda – spiega – ma il tema del ricambio generazionale va considerato. Chi chiude per andare in pensione non lo fa perché il centro di Bergamo ha perso attrattività, anzi, i lavori di riqualificazione l’hanno migliorato. Oggi pochi giovani scelgono di portare avanti l’attività di famiglia, ma il turnover c’è, a Bergamo siamo al 30%, in un anno un negozio su tre cambia pelle. Mutano i generi commerciali, lo spostamento in atto riguarda il food, la somministrazione, l’artigianato alimentare. E per reggere la concorrenza dei player online che vendono sottocosto bisogna saper innovare». Ma non basta – dice Viscardi – i giovani imprenditori sono in difficoltà per via delle troppe tasse e della concorrenza sleale, «vanno trovate soluzioni strategiche a livello centrale che riguardino innanzitutto la fiscalità, perché le amministrazioni comunali da sole possono fare ben poco».
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