Medicina d’urgenza, bando flop: assegnato solo un posto su quattro

I DATI. In Lombardia 47 specializzandi per 181 contratti, numeri in ulteriore ribasso e sotto la media nazionale. Magnone: «I Pronto soccorso non sono più gestibili».

Uno sì, tre no. In metafora numerica, è andata a finire così: per Medicina di emergenza-urgenza, la specializzazione universitaria che forma i futuri medici dei Pronto soccorso, in Lombardia è stato assegnato solo il 26% dei posti, mentre il 74% è andato a vuoto.

«Non è una novità»

In termini concreti, dei 181 posti messi a bando, solo 47 giovani camici bianchi hanno scelto d’imboccare questa strada. «Non è una novità – è lo scoramento di Stefano Magnone, segretario regionale dell’Anaao-Assomed Lombardia, sindacato dei medici ospedalieri –, ma il dato preoccupante è che i numeri sono in ulteriore peggioramento». Anche perché, ed è l’ulteriore cifra di una situazione drammatica, la Lombardia fa peggio della media nazionale: in Italia si è riusciti ad assegnare almeno il 29,8% dei posti, 304 su 1.020, anche se il discorso di fondo resta uguale. Ci sono branche della medicina sempre meno attrattive.

«Serve un territorio che sia molto più ricettivo e bisogna ripensare al ruolo dei medici di medicina generale»

La fotografia è condensata nei dati elaborati a livello nazionale dall’Anaao-Assomed e dall’Als, l’Associazione liberi specializzanti, che hanno tirato le somme sulle scelte delle scuole di specialità espresse nei giorni scorsi dai neolaureati in Medicina che proseguono la propria formazione per poter lavorare poi negli ospedali. «Per Medicina di emergenza-urgenza il tasso di contratti andati a vuoto è aumentato rispetto allo scorso anno – riflette Magnone –. È vero che c’è un problema economico, perché questa specialità, a differenza di altre, non consente veri spazi di libera professione. C’è poi un problema di qualità del lavoro: i Pronto soccorso, soprattutto quelli più piccoli, non sono più gestibili. Bisogna prendere atto della realtà: non si può pensare di tenere aperti i Pronto soccorso più piccoli, che sono praticamente degli ambulatori rinforzati, perché in quelle strutture i medici non vogliono più lavorare. Serve un territorio che sia molto più ricettivo e bisogna ripensare al ruolo dei medici di medicina generale, andando verso la dipendenza (attualmente i medici di base lavorano in regime di convenzione, ndr)».

«Si metterà a rischio il sistema e questo impone scelte radicali a livello di pensiero, ancora prima che di risorse»

Oltre i numeri di queste ultime scelte, c’è la concreta preoccupazione per il futuro. In linea teorica, i posti nelle scuole di specialità vengono calibrati sulla base di previsioni sul fabbisogno futuro. Se gli iscritti di oggi sono così pochi, tra circa tre anni – cioè quando gli specializzandi termineranno il percorso e dovrebbero passare in ospedale a tempo pieno – i numeri dei medici in servizio saranno inferiori a quelli che servirebbero. Acuendo ulteriormente una carenza già ora evidente nei Pronto soccorso. «Si metterà a rischio il sistema – avverte Magnone –, e questo impone scelte radicali a livello di pensiero, ancora prima che di risorse». Quale strategia mettere in campo? L’Anaao-Assomed rilancia alcune proposte: «Revisione della rete ospedaliera a partire dall’emergenza/urgenza, potenziamento della rete territoriale (i pazienti acuti vanno concentrati in ospedali sicuri e multispecialistici, i cronici vanno seguiti sul territorio, spiegando bene a sindaci e cittadini che le due cose sono profondamente diverse), un governo fermo del privato che continua a filtrare i pazienti».

I dati delle università

Proprio nei giorni scorsi, all’affacciarsi della «finestra» in cui i giovani medici potevano effettuare la scelta sulla specializzazione, l’assessore regionale al Welfare Guido Bertolaso aveva lanciato un appello: «Essere medico di emergenza-urgenza e in pronto soccorso è una delle attività più belle, più sfidanti e più avvincenti per chi sceglie di fare medicina, non per soldi ma per passione: venite nei nostri ospedali».

Il responso è stato d’altro tipo, e lo si comprende ancor di più guardando ai dati delle singole università lombarde: se la Bicocca è comunque riuscita ad assegnare il 66,7% dei posti (18 su 27), Pavia si è fermata al 29,6% (8 posti su 27), l’Insubria al 23,5% (4 posti su 17), la Statale di Milano al 20,8% (10 posti su 48), il San Raffaele al 20% (4 posti su 20), Humanitas al 9,5% (2 posti su 21), Brescia appena al 4,8% (un solo posto su 21).

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