Medici di base, cresce il carico di lavoro: «Molti sono vicini ai 2.000 assistiti»

SANITÀ . In media ogni camice bianco ha in capo 1.575 pazienti: Bergamo quinta in Italia. Marinoni: «Nuove leve scoraggiate». E i sindacati: «La nostra medicina di territorio provata».

Sulle spalle si portano l’equivalente di un piccolo comune: 1.575 persone. Da ascoltare, da visitare, e poi i certificati da compilare, le telefonate a cui rispondere, le visite e le medicine da prescrivere, le incombenze burocratiche.

I dati: ogni medico ha 1.575 assistiti

In media, ogni medico di medicina generale della provincia di Bergamo ha in capo 1.575 assistiti: è il quinto dato più alto tra le aziende sanitarie locali in cui è suddivisa l’Italia. Il rapporto, riferito alla situazione del 2023, è stato calcolato dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ramo del ministero della Salute, nell’ambito del monitoraggio sulle «performance delle aziende sanitarie territoriali». Solo quattro Asl hanno numeri più alti di Bergamo: al primo posto c’è l’Asl di Oristano (1.781 assistiti in media), poi l’Ulss Marca Trevigiana (1.593 assistiti in media), l’Ats Città metropolitana di Milano (che comprende anche la provincia di Lodi, 1.591 assistiti in media) e l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale (Pordenone e dintorni, 1.585 assistiti).

Un dato, quello del carico di lavoro sui medici di base in Bergamasca, che in tempi recenti è salito costantemente verso l’alto: nel 2021 – primo anno di questa rilevazione dell’Agenas – la media in Bergamasca era di 1.470 assistiti per ogni medico di base, nel 2022 è diventata di 1.526, nel 2023 appunto una cinquantina di assistititi in più; dal 2021 al 2023, in altri termini, i medici di base bergamaschi hanno visto aumentare del 7% i propri pazienti. La normativa «storica» fissa a 1.500 il massimale di assistiti per ciascun professionista: un tetto che è stato ormai portato a 1.800 su base volontaria, e che in diversi casi è ulteriormente oltrepassato.

Il cortocircuito che scoraggia le nuove leve

In questa statistica, è la lettura di Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, «c’è la conferma del forte carico di lavoro a cui fanno fronte i medici di medicina generale e delle carenze di organico. E il numero anomalo di pazienti è legato al fatto che non ci sono medici che vogliono fare il medico di medicina generale». Scorrono i problemi ben noti, «come il sovraccarico di burocrazia inutile, il malfunzionamento informatico, l’assenza di infermieri, la retribuzione non attrattiva», ricorda Marinoni: e così, come in un cortocircuito, meno medici di base ci sono e più cresce la pressione su quelli in servizio, in un mix che finisce per scoraggiare le nuove leve. «Già prima di questa fase di carenze – ricorda Ivan Carrara, medico di base a Sotto il Monte e segretario della Fimmg Bergamo, sindacato di categoria –, Bergamo aveva numeri elevati: ora la tendenza è aumentata ulteriormente, molti sono vicini ai 2.000 pazienti. Il carico per singolo medico è molto alto, e bisogna considerare poi la presenza di pazienti “orfani”, quelli non assistiti da un medico di base. La nostra medicina di territorio è molto provata, e ancora per due-tre anni la situazione potrebbe anche peggiorare». «La nostra – ragiona anche Marco Agazzi, medico di base a Ponte San Pietro e presidente dello Snami Bergamo, sindacato dei medici di categoria – è una carenza destinata di acuirsi ancora per un paio d’anni almeno».

«La crisi non è nel numero di medici, ma alcune discipline»

A fronte di questa tendenza, la quotidianità dei professionisti è faticosa: «È impossibile far bene il nostro lavoro senza avere una segretaria– prosegue Agazzi –. Abbiamo bisogno di una burocrazia più semplice, di supporto amministrativo e anche infermieristico. Perché sia così c’è bisogno di fondi che rendano più capillare l’affiancamento di segreteria e infermiere al medico». E il futuro? «La mancanza di medici sarà temporanea: con le nuove immissioni ai corsi di Medicina, ormai con 21mila posti ogni anno, si arriverà paradossalmente a un eccesso di medici – riflette Marinoni -. La crisi non è tanto nel numero dei medici, ma riguarda alcune discipline dove c’è più necessità: oltre alla medicina di base vale anche per la medicina di emergenza-urgenza, per la medicina interna e la geriatria, tutte specialità che fanno da front office, con maggiori carichi di lavoro».

«Tra i giovani – racconta Marinoni – paiono esserci dei segnali di controtendenza: parlando con i neolaureati sembra che l’orientamento stia un po’ cambiando».

«Si spera di rimediare al più presto alle carenze attuali, ma il pericolo è sempre quello di arrivare a una pletora medica, senza sbocchi, per via del superamento del test d’ingresso e del numero chiuso – concorda Agazzi -. Serve programmazione». In termini di azioni, «è fondamentale pensare a forme di supporto – ribadisce Carrara -: occorre incentivare la presenza di personale amministrativo e infermieristico. Da solo con 1.500 o 1.800 pazienti, un medico va in grossa difficoltà». Qualche segnale di fiducia però c’è: «Tra i giovani – racconta Marinoni – paiono esserci dei segnali di controtendenza: parlando con i neolaureati si incontra più spesso chi vuole fare il medico di medicina generale, l’anestesista, il medico di pronto soccorso. Sembra che l’orientamento stia un po’ cambiando».

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