Cronaca / Bergamo Città
Domenica 19 Novembre 2023
Malattie professionali, a Bergamo il record di denunce in Lombardia
LAVORO. Dal 2018 in provincia oltre un caso su quattro del totale regionale. I sindacati: «Territorio a rischio, ma sorveglianza e controlli più meticolosi». L’edilizia tra i settori più esposti al fenomeno. L’approfondimento su L’Eco di Bergamo di domenica 19 novembre.
Quando quella pratica arriva sul tavolo dell’Inail, è l’evidenza recente di un problema che parte da lontano. Una questione di anni trascorsi sul posto di lavoro facendo movimenti ripetitivi, usuranti, oppure operando quotidianamente in un ambiente che – alla lunga – dà conseguenze sulla salute. Ma è anche la fotografia di un lavoro di diagnosi accurato e costante, che consente l’emersione del problema.
Bergamo è costantemente la prima provincia lombarda per numero di denunce presentate all’Inail per «malattia professionale», quelle patologie per cui s’ipotizza – e poi si certifica, in caso di accoglimento della denuncia – «un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia». Stando ai dati Inail, la Bergamasca rappresenta infatti costantemente più di un quarto di tutte le denunce presentate in Lombardia: nei primi nove mesi di quest’anno sono state presentate 777 denunce (+12% sullo stesso periodo del 2022), e la proiezione sull’intero anno indica che si supereranno le mille denunce, tornando in linea con i valori del pre-Covid (durante gli anni della pandemia c’è stato un calo delle pratiche legato ai rallentamenti delle attività). Nel 2019 erano state infatti 1.185 le denunce presentate in Bergamasca, nel 2018 se n’erano contate 1.145: considerando gli ultimi cinque anni «pieni», dal 2018 al 2022, si arriva a 4.757 denunce di malattia professionale.
«Due facce della medaglia»
Questa mole rilevantissima di denunce sottende però anche un riflesso positivo: il sistema-Bergamo ha una migliore capacità di denuncia e di diagnosi. Lo s’intuisce guardando alla provincia di Brescia, territorio paragonabile da un punto di vista demografico e soprattutto produttivo, che invece ha registrato 3.449 denunce tra il 2018 e il 2022 (1.308 in meno di Bergamo, -27,5%) e 616 nei primi nove mesi di quest’anno (161 in meno di Bergamo, -20,7%).
Le più recenti analisi dell’Inail – stavolta su scala regionale – danno il quadro dettagliato dei lavoratori che denunciano malattie professionali: delle 2.922 pratiche presentate tra gennaio e settembre, 2.004 (il 68,6%, più di due terzi) riguardano uomini; 1.817 denunce su 2.922 (il 62,2%) sono per «malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo», seguite – queste le casistiche principali – da 260 malattie del sistema nervoso, 242 malattie dell’orecchio e 226 tumori.
«Condizioni di lavoro e capacità di denuncia e diagnosi sono due facce della stessa medaglia – osserva Angelo Chiari, responsabile delle Politiche su Salute e Sicurezza della segreteria della Cgil Bergamo -. A Bergamo si denuncia di più anche grazie all’esperienza legata alla bilateralità, che nel corso degli anni, soprattutto in edilizia, ha introdotto una sorveglianza sanitaria di massa che ha permesso di far emergere un maggior numero di malattie professionali: l’edilizia è il settore con i dati più rilevanti, seguita dalla manifattura. Dall’altro lato, siamo però anche una delle province a maggior rischio di agenti cancerogeni e chimico-cancerogeni. Pensiamo a quale era la diffusione dell’amianto nei decenni passati: quelle conseguenze si manifestano ancora oggi, perché i tempi di latenza stanno aumentando e abbiamo diagnosi di cancro anche tra lavoratori che erano stati esposti all’amianto ben trent’anni fa».
L’intreccio tra i due fattori è evidente anche per Danilo Mazzola, che nella segreteria della Cisl Bergamo si occupa di sicurezza e mercato del lavoro: «Bergamo è una delle province con il più alto numero di malattie professionali denunciate, aspetto importante in quanto evidenzia come sul tema i medici del lavoro pongano attenzione, ma è anche un segnale che la popolazione lavorativa invecchia, con tutte le conseguenze del caso, e che sussistono ancora attività che portano a sviluppare negli anni malattie dovute al lavoro svolto».
Età e «rimedi»
Incide anche quest’ultimo fattore: con una popolazione lavorativa sempre più anziana – sia per le dinamiche demografiche, sia per l’innalzamento dei requisiti per la pensione – emergono più malattie professionali e nuove patologie. «Da studi effettuati – aggiunge Mazzola – si evidenzia come la capacità di lavoro fisico di un lavoratore in buona salute di 65 anni sia la metà di quello di uno di 25 anni, con una riduzione fisica che si evidenzia dopo i 50 anni. Basterebbe questo per comprendere al meglio il tema, con una situazione che cambia in base all’attività e alla mansione svolta e al tempo che si è dedicato nello svolgere un lavoro considerato gravoso o usurante». «Sugli ambienti di lavoro ci si ammala – rimarca Chiari -. L’età incide, guardiamo ai casi concreti: i nostri padri andavano in pensione a 50 anni dopo 35 anni di lavoro, oggi la maggior parte dei lavoratori va in pensione attorno a 60 anni lavorandone 40 o 42, senza dimenticare chi è costretto ad andare in pensione a 67 anni. Più lunga è la carriera lavorativa in certi settori e più è forte l’esposizione ai fattori di rischio».
Ma cosa si può fare, per contenere il fenomeno? «Un aspetto fondamentale è quello della progettazione degli ambienti di lavoro, che devono essere adeguati. Un altro ambito a cui prestare attenzione – segnala Chiari – è quello delle serre, considerati i prodotti che vengono utilizzati». «Sicuramente la tecnologia, in particolare nelle mansioni ripetitive e faticose – ragiona Mazzola -, ha dato una mano, ma è impensabile che un lavoratore edile o una lavoratrice addetta al lavoro di cura presso una Rsa possa lavorare fino a 67 anni. Questo è un tema su cui le aziende devono investire di più, in primis perché ammalarsi di lavoro è inaccettabile. Nei posti di lavoro si sta più a lungo di prima: è un aspetto che le aziende devono tenere in considerazione attraverso interventi organizzativi e sorveglianza sanitaria».
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