Longuelo piange Matteo Rinaldi: «Per gli altri, fino all’ultimo»

BERGAMO. Morto a 51 anni per un sarcoma. Anche durante la malattia non ha mai perso il suo «carattere estremamente positivo e solare».

La chiesa di Longuelo piena, anche se il calendario segnava il 13 agosto. Il bene che Matteo Rinaldi ha seminato era tutto lì, tangibile nei tanti amici (anche compagni delle elementari) che martedì mattina hanno voluto esserci per salutare quel «ragazzo» di 51 anni - Matteo sì, aveva il cuore giovane e d’oro - partito troppo presto. Lui che amava i viaggi: a marzo era andato a Budapest con figlia, fratello e nipote; il 22 maggio, invece, con il check in per Parigi già in tasca, aveva dovuto rinunciare, perché il respiro faticava e la gamba doleva troppo. Proprio dalla gamba, sei anni fa, era arrivato il segnale che qualcosa non andava: una ciste, poi gli approfondimenti e la diagnosi del sarcoma, che non gli ha dato tregua, minando il corpo ma mai lo spirito.

Amava la montagna (aveva trasformato un piccolo rudere di sassi in una splendida casetta ai confini del bosco, quel luogo dove ha cercato serenità e pace), anche se pian piano aveva dovuto ridurre le camminate che gli piacevano tanto, per via dell’operazione alla gamba.

«La malattia non l’ha accartocciato su se stesso – il tratto descritto dal parroco don Massimo Maffioletti –, ma consapevole, ha tenuto viva la rete dei rapporti con gli altri, è stato un “io per gli altri”». Un filo ripreso dai ricordi dei familiari. «Matteo aveva il sorriso sempre stampato in faccia – raccontano i fratelli maggiori Angelo e Antonella –. Se qualcuno aveva un problema, era il primo a prodigarsi per risolverlo». Anche durante la malattia non ha mai perso il suo «carattere estremamente positivo e solare»: «Fino all’ultimo, nonostante i dolori sempre più forti, ha cercato di restare indipendente, per non pesare sui suoi cari. Ha sempre voluto sapere tutto della sua situazione clinica, affrontandola con grande dignità».

Chi era Matteo Rinaldi

Matteo era conosciuto e benvoluto nel quartiere di Longuelo, che lo ha visto praticamente crescere (a 16 anni aveva iniziato a lavorare al supermercato di via Puccini) e dove ancora viveva. Con la moglie Monica e la figlia diciottenne Perla, si era infatti trasferito nella casa sopra quella dei genitori Lucia e Pasquale. «Papà ha 90 anni, mamma 83, era Matteo che li seguiva. La domenica, come sempre, ci ritrovavamo tutti insieme per il pranzo», proseguono i fratelli Angelo e Antonella. Di lavori Matteo ne aveva cambiati tanti (si era diplomato geometra alle serali), amava la montagna (aveva trasformato un piccolo rudere di sassi in una splendida casetta ai confini del bosco, quel luogo dove ha cercato serenità e pace), anche se pian piano aveva dovuto ridurre le camminate che gli piacevano tanto, per via dell’operazione alla gamba.

«Nelle giornate no, quando il dolore si faceva più forte, era solito farsi e farci coraggio: “Oggi è andata così e così, domani andrà meglio”» raccontano gli amici.

«Dopo l’intervento, Matteo era sotto controllo, sembrava che tutto procedesse bene. Invece dopo due anni il sarcoma si è ripresentato, questa volta al polmone, ed è stato fatale». In una lettera commossa, ai funerali, la cognata Chiara ha tratteggiato la personalità di Matteo: «Ci sono persone speciali, persone che mettono gli altri al centro della propria vita. Matteo era così, di una bontà e generosità infinita». Gli altri al centro, anche negli ultimi giorni: «Quando è arrivato all’Hospice, si è stupito per la camera, commentando: “È bellissima, è tutta per me? Sembra di stare in hotel”. I suoi amici più cari per giorni come delle guardie non si sono staccati da lui». E ancora: «Era lui che ci rincuorava. Nelle giornate no, quando il dolore si faceva più forte, era solito farsi e farci coraggio: “Oggi è andata così e così, domani andrà meglio”». Un messaggio di amore per la vita. «Perché ognuno di noi – continua la cognata Chiara – pensando a lui, possa comprendere l’importanza di vivere pienamente e sempre con il sorriso».

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