Lombardia, il virus «brucia» 20 anni di Pil
Bergamo tra le province più danneggiate

Economia, la stima della Cgia di Mestre: una diminuzione del 10,6%. Peggio ancora la Bergamasca: -11,42% con una perdita pro capite di 3.251 euro.

Il conto è salato, e inevitabilmente lo sarà ancor di più: 3.251 euro. È questo, in media, che ogni bergamasco perderà nel 2020, a causa dei riflessi economici dell’emergenza sanitaria. Un taglio che a livello lombardo pesa ancora di più e, a livello di Pil, riporterà la regione ai livelli di vent’anni fa. La stima arriva dalla Cgia di Mestre, che ha calcolato le perdite di «valore» aggiunto pro-capite (cioè per ogni cittadino) tra lo scorso anno e quello funesto che sta per concludersi; una stima, questa, che peraltro ancora non tiene conto delle ricadute dell’ultimo Dpcm, che ha posto la Lombardia in zona rossa. Secondo l’Ufficio studi dell’associazione degli artigiani e delle piccole imprese, il valore aggiunto pro-capite della provincia di Bergamo scenderà infatti dai 29.082 euro del 2019 ai 25.831 di fine 2020, con un segno negativo dell’11,42%: da questa prospettiva la terra orobica è la quinta provincia italiana a tracciare il calo più consistente, preceduta solo da Milano (-11,6%), Prato e Rimini (-11,4%), e Pisa (-11,3). Guardando ai valori assoluti, Bergamo è all’undicesimo posto nazionale (e al secondo lombardo) di una graduatoria dove primeggia sempre – in negativo – il capoluogo lombardo (-5.575 euro), seguito nelle primissime posizioni da Bolzano (-4.058 euro), Modena (-3.654 euro), Bologna (-3.603 euro) e Firenze (-3.456 euro). Il prezzo complessivo, moltiplicando il valore pro-capite per il numero degli abitanti, per Bergamo arriva a circa 3,6 miliardi di euro.

La media italiana

La media italiana si attesta a quasi 2.500 euro di perdita pro-capite (2.484 euro). Guardando al Paese nella sua complessità, emerge poi una fotografia difforme. La Lombardia perderà il 10,6% del valore aggiunto, pari a un «prezzo» di 3.613 euro per abitante. Il Pil lombardo scenderebbe dai 382 miliardi di euro 2019 ai 343 miliardi di fine anno, con una contrazione di 39 miliardi pari al 10,2%: vuol dire, come dicevamo, che si ritorna ai livelli del 2000, un salto indietro di vent’anni, uno sviluppo di due decenni bruciato dalla pandemia. A livello italiano, invece, si scivola al 1998; il Sud addirittura fino al 1989. «Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo -, rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale: tutto ciò va assolutamente evitato, sostenendo con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, in particolar modo quelle artigianali e commerciali, che, sebbene abbiano la possibilità di tenere aperto, già da una settimana denunciano che non entra quasi più nessuno nel proprio negozio. Solo se riusciremo a mantenere in vita le aziende potremo difendere i posti di lavoro, altrimenti saremo chiamati ad affrontare mesi molto difficili». Nei giorni scorsi, i dati di Prometeia avevano fornito un quadro analogo. Di fronte a questo scenario, si cerca però di reagire. Carlo Mazzoleni, presidente della Camera di commercio di Bergamo, aveva infatti provato a guardare a un orizzonte più ampio, verso la risalita: «Nel breve periodo ci sarà un ulteriore peggioramento, ma credo che la ripresa sia solo rinviata di qualche mese. La nostra provincia può contare su un tessuto imprenditoriale molto forte e differenziato», aveva sostenute allora.

La preoccupazione, conclude l’associazione nel suo studio, «riguarda la tenuta occupazionale. Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d’occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Grazie all’introduzione del blocco dei licenziamenti, quest’anno gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità. Un dato certamente negativo, ma lo sarebbe stato ancor più se la misura non fosse stata introdotta».

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