L’intervista a don Gino Rigoldi: «Il carcere costruisca futuro»

L’INTERVISTA. Don Gino Rigoldi, «storico» cappellano del «Beccaria»: «La detenzione offra opportunità, altrimenti fa morire la speranza. Lavoro e relazioni per evitare le recidive».

Una vita dentro il «Beccaria» di Milano per essere al fianco dei giovani detenuti che per le tristi vicende della vita finiscono in carcere. Lì è stato nominato cappellano nel 1972 e lì c’è ancora, anche se da qualche mese don Gino Rigoldi - classe 1939 - ha rassegnato le dimissioni per lasciare il posto a don Claudio Burgio, un amico più che un collega, con cui da diciotto anni si occupa dei problemi delle carceri e si interroga su cosa fare per dare agli istituti di pena un minimo di umanità.

Promotore di moltissime iniziative e altrettanti progetti, don Rigoldi è considerato da sempre un «faro» quando si parla di carceri, di detenuti e dei problemi in cui il sistema penitenziario del nostro Paese annaspa ormai da anni. Dopo l’approvazione del decreto carceri da parte del governo, è a lui che abbiamo chiesto di tracciare «lo stato dell’arte» del sistema carcerario italiane. «Se il carcere è un portone che si apre quando entri e si chiude alle tue spalle quando esci, allora non serve a niente, se non a togliere la speranza a chi tieni dentro - spiega -. Se cominciassimo a puntare seriamente su formazione e lavoro, la situazione migliorerebbe sensibilmente in tutte le carceri».

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Leggi l’intervista integrale su L’Eco di Bergamo del 24 agosto

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