L’allarme delle associazioni di soccorso: «I volontari sono sempre meno»

L’INCHIESTA. I corsi sono impegnativi, durano 120 ore, e il 30% non arriva alla fine. Presti (Croce Blu): «I giovani non si sacrificano più come una volta».

I volontari non si trovano più, i giovani latitano e gli anziani sono scoraggiati da corsi sempre più impegnativi, responsabilità e infinita burocrazia. È il grido d’allarme delle associazioni di volontariato che si occupano di emergenza e soccorso sanitario, in particolare quelle più piccole.

«Il problema nasce da una serie di fattori – spiega Omar Presti, direttore della Croce Blu Basso Sebino, che conta 140 soci –: da una parte c’è una richiesta sempre maggiore dei nostri servizi, e dove prima bastavano cinque volontari adesso ne servono venti. Dall’altra si va in pensione sempre più tardi e si ha meno tempo da dedicare agli altri. Adesso è anche venuto a mancare, soprattutto dopo il Covid, quello spirito altruistico che ha sempre animato i nostri volontari. Si è in genere più egoisti: i giovani preferiscono passare il sabato o la domenica sera con gli amici o i fidanzati invece che sulle ambulanze, mentre i pensionati hanno figli e nipoti di cui occuparsi. Inoltre oggi al volontario è richiesto un alto livello di professionalità, bisogna seguire corsi di 120 ore e la gente a 60-65 anni non ha più voglia di mettersi a studiare e avere a che fare con la compilazione di documenti, fogli di viaggio o dialogare con le “macchinette infernali” che ci sono negli ospedali, oltre che doversi assumere pesanti responsabilità». Eppure in tanti si presentano ai corsi, il problema è che molti abbandonano prima di arrivare alla fine.

Adesso è anche venuto a mancare, soprattutto dopo il Covid, quello spirito altruistico che ha sempre animato i nostri volontari. Si è in genere più egoisti

«I giovani in particolare sono attratti dal mondo del 118, guidare le ambulanze “fa figo”, poi si scontrano con la dura realtà che è fatta di studi, impegno e sacrifici. Anche quando andiamo a parlare nelle scuole, vediamo che non riusciamo più a coinvolgerli. Noi siamo 140 ma sono gli anziani che tirano il carro: facciamo fatica a rispondere a tutti e diamo priorità alle urgenze: il trasporto dei dializzati, le ambulanze, per ultimo quello che deve essere accompagnato a Milano per fare una visita oculistica. Anche perché ci siamo accorti che spesso il servizio dei volontari viene scambiato per un servizio taxi gratuito, per evitare di far spostare i figli o i parenti che magari devono chiedere il permesso al lavoro».

Settore penalizzato dal Covid

«Il problema cronico è che fare volontariato non è così facile», sottolinea Massimo Marchesi, presidente del Comitato di Treviglio della Croce Rossa che oltre alla sede ha anche 6 delegazioni ad Arcene, Pontirolo, Fara d’Adda, Canonica, Inzago e Pozzuolo Martesana. «Il Covid a Bergamo ha penalizzato molto il nostro settore, togliendo oltre il 30% dei volontari. Oggi inoltre si va in pensione più tardi e le nuove generazioni non sono predisposte a questo genere di impegno. Arrivano, si interessano, il corso però è lungo e impegnativo, sono 120 ore di cui 42 per il trasporto sanitario e 78 per i servizi extra ospedalieri. Adesso ne abbiamo tre da 30 persone ciascuno, ma 3-4 su dieci non arrivano alla fine perché si accorgono che devono studiare e bisogna essere preparati. Poi tra quelli che lo finiscono c’è chi sale in ambulanza e gli tremano le gambe, chi si sposa e fa figli e non ha più tempo da dedicarci, chi va a studiare o a lavorare fuori provincia. Noi siamo 320 volontari ma 150-160 lavorano all’atto pratico, quelli che fanno trasporto sanitario hanno tra i 65 e i 75 anni e quelli che fanno il 118 dai 20 ai 50. Ma bisogna fare le notti, i sabati e le domeniche, lavorare nelle festività e si fa sempre più fatica a trovare volontari. Serve un ricambio generazionale, altrimenti non riusciremo a garantire lo stesso servizio».

Per avere un volontario formato per l’emergenza ci vuole mediamente un anno e alla fine i ragazzi spariscono

Il 30% dei corsisti si ritira

Annibale Lecchi è il presidente del Comitato Cri di Bergamo Hinterland, che ha sedi ad Alzano Lombardo, Bergamo (sede amministrativa), Calcinate, Capriate San Gervasio, Dalmine, Entratico (Val Cavallina), Grumello del Monte, Martinengo (Bassa BG Est), Ponte Nossa (Alta Val Seriana), Romano di Lombardia, Seriate, Urgnano, Valgandino (Casnigo) e Vilminore di Scalve. Anche lui soffre degli stessi problemi dei colleghi: «Nella realtà della Cri abbiamo sempre i corsi pieni e più della metà dei partecipanti sono giovani, ma durano poco e c’è un turnover elevatissimo. Per avere un volontario formato per l’emergenza ci vuole mediamente un anno e alla fine i ragazzi spariscono. E da noi oltre al corso classico di 120 ore di Areu ce n’è anche uno di accesso che dura un mese, perché vogliamo che la gente faccia anche soccorso. I giovani preferiscono l’emergenza, ma alla fine il 30% si ritira o non ce la fa. Inoltre se un tempo l’obiettivo era cercare lavoro vicino a casa, adesso si spostano e quindi non riescono più a garantire la disponibilità. Un altro grosso problema è che l’attività classica si concentra nei fine settimana e si fa fatica a trovare volontari: oltre al 118 nei weekend ci sono eventi sportivi, manifestazioni, spettacoli che richiedono la nostra presenza. Noi abbiamo 13 sedi che coprono il 60% della popolazione con 1.500 volontari , ma se non fosse per i veterani faremmo fatica a coprire i turni. Forse un incentivo per le nuove generazioni sarebbe quello di utilizzare l’attività di volontariato per avere crediti formativi, ma sono poche le scuole che lo fanno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA