La sanità di chi ha un reddito basso. «Due su tre rinunciano a curarsi»

SALUTE. Lo studio Cisl: nel 2023 è accaduto al 66% degli iscritti lombardi che guadagnano meno di 15mila euro l’anno . A Bergamo le criticità pesano più che nelle altre province. «Le liste d’attesa il problema più sentito».

La salute è anche una questione di tasche, di portafogli, di possibilità. Il bene più prezioso dipende anche da questo: più è basso il reddito familiare, più è alta la probabilità di rinunciare alle cure.

Lo raccontano le risposte di 11.520 tesserati della Cisl Lombardia (di cui oltre 2.100 bergamaschi), che ieri ha presentato gli esiti di una ricerca curata da BiblioLavoro, il centro studi del sindacato. E la rinuncia alle cure è uno dei problemi più gravi, specie per le fasce più deboli della popolazione: tra chi ha un reddito familiare inferiore ai 15mila euro, il 66% ha rinunciato alle cure nell’ultimo anno (due persone su tre); si scende invece al 52,6% per i redditi tra i 15mila e i 30mila euro, al 35,1% per i redditi 30-50mila euro e al 20,3% per i redditi oltre i 50mila euro (solo una persona su cinque).

Ragioni economiche e tempi d’attesa

Ma perché si rinuncia alle cure? Principalmente per ragioni economiche, per i lunghi tempi d’attesa o per la scomodità della struttura disponibile, motivazioni che possono essere messe a fattore comune. Qui la fotografia entra anche nel dettaglio provinciale, con un dato particolare per Bergamo: sul totale delle persone che hanno rinunciato alle cure, «la provincia di Bergamo mostra i valori maggiori del numero di rispondenti che hanno rinunciato qualche volta o spesso alle cure per tutte e tre le motivazioni», scrive la Cisl, come in una sorta di combinazione (im)perfetta che renderebbe più difficile che altrove l’accesso alla sanità. Tra i bergamaschi che hanno rinunciato alle cure, infatti, il 40,9% ha segnalato ragioni economiche (terzo dato più alto tra le province lombarde), il 68,8% lo ha fatto per via dei lunghi tempi d’attesa (dato più alto in Lombardia) e il 46% per la scomodità delle strutture (secondo dato più alto).

A livello regionale, otto intervistati su dieci hanno effettuato nell’ultimo anno almeno una visita specialistica: di questi, la metà ha optato per visite a pagamento

A livello regionale, otto intervistati su dieci hanno effettuato nell’ultimo anno almeno una visita specialistica: di questi, la metà ha optato – per scelta o necessità – per visite a pagamento. Analogamente, tra chi ha effettuato un esame diagnostico nel corso del 2023, quasi uno su quattro lo ha fatto privatamente. Guardando al dato bergamasco, chi sceglie di rivolgersi al privato lo fa soprattutto perché i tempi d’attesi sono più brevi: lo segnala il 77% di chi ne ha fatto ricorso per le visite specialistiche e il 78,7% di chi necessitava di esami diagnostici.

Gli intervistati lombardi hanno speso in media 951 euro/anno per visite, esami e ricoveri

Curarsi costa, lo dicono appunto i dati: gli intervistati lombardi hanno speso in media 951 euro/anno per visite, esami e ricoveri, però con una forbice che va dai 666 euro dei redditi più bassi (meno di 15mila euro annui) ai 1.517 euro dei più abbienti (redditi oltre i 50mila euro); quanto alle altre spese sanitarie, cioè quelle per farmaci, dentista, visite fisioterapiche et similia, la media è di 1.184 euro l’anno (con un ventaglio che va dagli 878 euro dei redditi più bassi ai 1.588 euro dei tempi più alti). Qualche nota positiva per Bergamo c’è: ad esempio, qui come a Brescia e Milano, in pochi sono costretti ad andare fuori provincia per visite, ricoveri ed esami grazie «all’ampia offerta sanitaria nel territorio». Capitolo pronto soccorso: in media gli intervistati hanno indicato un’attesa di 3,9 ore (ma con picchi fino a 12 ore) tra l’ingresso in Pronto soccorso e la visita, mentre tra la visita in Pronto soccorso e il successivo ricovero passano in media 7,1 ore (con picchi fino a 26 ore). Valori nella media regionale.

«Difficile accedere alla sanità»

«Le liste d’attesa sono emerse come una delle criticità più sentite dai cittadini», rimarca Fabio Nava, segretario generale aggiunto della Cisl Lombardia. Per Roberta Varia, segretaria regionale della Cisl Lombardia, «l’indagine ci ha permesso di ottenere un quadro chiaro e strutturato delle criticità vissute dai nostri iscritti, fornendoci dati concreti e attendibili da utilizzare durante i confronti ai tavoli regionali dandoci la possibilità di formulare proposte concrete». Su scala locale, «dall’indagine emerge che a Bergamo molte persone sono preoccupate di non poter più contare sul Servizio sanitario nazionale – interviene Angelo Murabito, della segreteria provinciale della Cisl –. È chiaro come sia diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella propria provincia a causa delle liste di attesa sempre più lunghe». Il personale resta uno dei nodi alla base di tutto: «La grande emergenza è la carenza di professionisti sanitari – rimarca Murabito –, e per questo chiediamo di definire un adeguato piano di assunzione sia dei medici sia del restante personale sanitario, sottoscrivere rapidamente i contratti nazionali, rafforzare i meccanismi di valorizzazione del personale, estendere ai lavoratori della sanità pubblica le agevolazioni fiscali sui premi di risultato al pari dei lavoratori del privato».

Bertolaso: stipendi da aumentare

Il rilancio della sanità passa dal capitale umano. Ne è convinto Guido Bertolaso, assessore regionale al Welfare, che ha commentato i risultati della ricerca Cisl: «Possiamo criticare ospedali, attrezzature, invocare Cup unici, ma in primo luogo dobbiamo dare retribuzioni giuste. La buona notizia che emerge dall’indagine è che c’è un problema di liste d’attesa, ma come accoglienza, come attrezzature e come qualità dei servizi non ce ne sono».

«Il nostro personale sanitario è stremato e questa è una vera emergenza»

Bertolaso approfondisce questo ragionamento: «Sarei stato preoccupatissimo se fosse stato al contrario, perché sulle liste d’attesa si può lavorare, in quanto sono causate da due problemi: il primo è che i nostri medici e infermieri non ce la fanno più, e la madre di tutte le battaglie del sistema sanitario italiano è che il nostro personale sanitario è stremato e questa è una vera emergenza. Il secondo è che dobbiamo aumentare gli stipendi, perché se ci limitiamo ai ringraziamenti questi fanno le valigie e vanno in Svizzera. Il problema della carenza di medici non è un problema nazionale, ma mondiale: i medici italiani sono molto più bravi e ricercati degli altri a parità di candidature».

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