Cronaca / Bergamo Città
Sabato 29 Gennaio 2022
La pillola anti-Covid in Italia da febbraio, l’Istituto Negri: «È per i fragili, eviterà casi gravi»
Intervista ad Antonio Clavenna, farmacologo, responsabile del laboratorio di Farmacoepidemiologia dell’Istituto Mario Negri: «È uno strumento importante, l’antivirale aiuterà a ridurre sensibilmente il rischio di ospedalizzazione e morte nei positivi soggetti a maggior rischio. Ci aspettiamo che il farmaco sia efficace anche contro la variante Omicron».
La pillola anti-Covid targata Pfizer arriverà in Italia nella prima settimana di febbraio. Ad annunciarlo nelle scorse ore il commissario Francesco Figliuolo: giovedì il Ministero della Salute ha finalizzato un contratto di fornitura di 600mila trattamenti per il 2022, di cui i primi 11.200 saranno distribuiti alle Regioni già nei prossimi giorni. L’annuncio segue il via libera concesso da Ema alla pillola Paxlovid, questo il nome commerciale: dai dati comunicati, il preparato riduce dell’89% il rischio di ospedalizzazione e morte nelle persone risultate positive al virus. «È uno strumento importante, l’antivirale aiuterà a ridurre sensibilmente il rischio di ospedalizzazione e morte nei positivi soggetti a maggior rischio - spiega Antonio Clavenna, farmacologo, responsabile del laboratorio di Farmacoepidemiologia dell’Istituto Mario Negri -. Peraltro ci aspettiamo che il farmaco sia efficace anche contro la variante Omicron, attualmente dominante».
Come funziona Paxlovid?
«È un farmaco antivirale che blocca la replicazione del virus. È composto da due principi attivi: il primo ha proprio l’obiettivo di impedire al virus di replicarsi, il secondo, già noto per essere stato utilizzato in alcuni farmaci contro l’Hiv, agisce per potenziare effetto e durata del primo principio attivo».
A chi potrà essere somministrato?
«A tutte le persone risultate positive al Covid soggette a fattori di rischio: fra gli altri, età avanzata, obesità, diabete. In questo senso non è un farmaco per tutti: non è somministrabile a chiunque risulti positivo, ma proprio perché sappiamo che solo in alcuni casi, appunto in presenza di fattori di rischio, l’infezione porta ad un’evoluzione grave della malattia».
I principali punti di forza di Paxlovid?
«L’efficacia, che se confermata sul campo è molto alta, ma anche le modalità di somministrazione. I pazienti potranno assumerlo a casa: il protocollo prevede 6 pillole al giorno per 5 giorni. Non è un vantaggio da poco: l’altra arma che abbiamo avuto fino ad ora sul fronte delle cure è rappresentata da alcuni anticorpi monoclonali, che però possono essere somministrati solo per via endovenosa».
Vede qualche limite, invece?
«Il principale è rappresentato dalla tempestività dell’assunzione: va somministrato entro cinque giorni dai primi sintomi, cosa che rende la velocità di diagnosi fondamentale».
I medici di base potranno prescrivere Paxlovid?
«Va ancora verificato. Se Aifa manterrà le stesse indicazioni fornite per l’antivirale della Merck, i medici di medicina generale non potranno prescrivere direttamente il farmaco ma potranno segnalare il paziente ai centri di riferimento identificati dalle Regioni per la prescrizione».
Gli studi sul farmaco sono stati messi a punto quando ad essere dominante era la variante Delta. Che garanzie ci sono che sia efficace anche contro Omicron?
«Il farmaco impedisce la replicazione del virus bloccando un suo enzima specifico, le proteasi. Ecco, fino ad oggi non ci risulta che questo enzima abbia accumulato mutazioni significative, nemmeno nella variante Omicron. Ci attendiamo quindi che la sua efficacia molto alta sia confermata».
A proposito di Omicron, sono molti gli scienziati ad auspicare la formulazione di un vaccino che agisca contro tutti i coronavirus. Uno scenario verosimile?
«Direi una sfida piuttosto complessa. Va infatti individuato un bersaglio comune a tutti i coronavirus che abbia la proprietà di mutare molto poco. Ripeto: un’impresa non semplice».
I più restii alla vaccinazione potrebbero vedere nell’antivirale appena approvato un’arma in più nelle loro mani.
«Non è così. Contro il Covid-19, il vaccino vince a mani basse rispetto a qualsiasi terapia. In primis, chi ha ricevuto tre dosi ha grandi chance, attorno al 70%, di non contagiarsi e quindi di non trasmettere il virus: queste chance chi non si vaccina non le ha. Secondo, il vaccino ha un’efficacia ancora più alta degli antivirali nel prevenire forme gravi di malattia e, terzo, dosi di antivirali a disposizione per tutti, al momento, non ce sono. Di vaccini, invece, sì».
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