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Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 17 Febbraio 2025
«La missione allarga i cuori e le menti contro il rischio di ripiegarsi su se stessi»
L’INTERVISTA. Il Vescovo Beschi di ritorno dal pellegrinaggio in Costa d’Avorio per il 50° della presenza diocesana. «Bergamo ha una forte identità, ma non deve chiudersi. Cresciuto il contributo dei laici: sarà la direzione del futuro».
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«La missione allarga i cuori e le menti, aiuta a vincere la tentazione di ripiegarsi su se stessi e di chiudersi, marcando i confini e le differenze»: il Vescovo Francesco Beschi ripercorre così il viaggio appena concluso in occasione del 50° anniversario della missione diocesana in Costa d’Avorio, mettendo in evidenza i numerosi frutti che anche la diocesi di Bergamo può raccogliere da questa lunga storia, verso un futuro in cui la cooperazione continuerà ad avere un ruolo di primo piano, anche se in forme diverse.
«È un mondo in cui Dio e tutte le forze che appartengono a Dio o al mondo del male sono presenti in maniera evidente. Il passaggio alla città comporta un modo diverso di vivere l’esperienza spirituale, perciò anche la vita cristiana assume forme che si trasformano nel tempo»
Che cosa è cambiato in Costa d’Avorio rispetto al suo primo viaggio, quindici anni fa?
«Ho notato una forte crescita delle città, sia della capitale Abidjan sia di Agnibilekrou, dove ha sede la missione diocesana. Mi colpisce come si modifichino rapidamente la popolazione, le attività, il movimento, lo stesso modo di pensare e di vedere la vita. Lo spostamento delle persone dai villaggi alle città caratterizza tutto il continente, e in qualche modo potremmo dire che caratterizzi le dinamiche sociali del mondo. Questo ha un significato importante anche dal punto di vista religioso; il clima del villaggio, soprattutto in Africa, è fortemente connotato dalla religiosità. È un mondo in cui Dio e tutte le forze che appartengono a Dio o al mondo del male sono presenti in maniera evidente. Il passaggio alla città comporta un modo diverso di vivere l’esperienza spirituale, perciò anche la vita cristiana assume forme che si trasformano nel tempo. Oggi l’adesione alla fede scaturisce sempre di più da scelte molto consapevoli. Un fatto che impressiona in modo particolare è la giovinezza di queste comunità. Adulti e anziani hanno sicuramente un ruolo importante, ma il volto che prevale è quello dei giovani, capaci di esprimere una fede che rimane legata a fondamenti molto chiari e certi».
«Ho notato una forte crescita delle città, sia della capitale Abidjan sia di Agnibilekrou, dove ha sede la missione diocesana. Mi colpisce come si modifichino rapidamente la popolazione, le attività, il movimento, lo stesso modo di pensare e di vedere la vita»
Quali sono i tratti più importanti della missione diocesana oggi?
«La nostra presenza, frutto di cinquant’anni di storia, continua a essere molto significativa. Devo ringraziare per questo i sacerdoti oggi presenti nella parrocchia di Saint Maurice ad Agnibilekrou, don Marco Giudici e don Luca Pezzotta, perché con il loro stile rappresentano un punto di riferimento ed esprimono una vera autorevolezza morale, spirituale, pastorale, del modo con cui vivere il sacerdozio. Oggi siamo tornati in Costa d’Avorio con don Gianni Gambirasio, missionario a Saint Maurice per 38 anni, e con lui altri missionari: don Giuseppe Belotti, primo a partire per la Costa d’Avorio, don Giandomenico Epis e don Gigi Ferri, i laici Francesco Paravisi e Alberto Vavassori, che rappresentano ancora un punto di riferimento. Ma stiamo anche fruendo a Bergamo del servizio di un sacerdote della diocesi di Abengourou e di un sacerdote della diocesi di Bondoukou che in settori specifici stanno rappresentando la cooperazione tra le due Chiese, che rappresenta l’attualità della missione».
Sono sicuramente aumentati negli anni i sacerdoti, ma anche la consapevolezza e il ruolo dei laici
Quali sono i frutti della missione, sia per la Costa d’Avorio sia per Bergamo?
«Bergamo ha una forte identità, e questo è un aspetto positivo in un tempo di sfilacciamento e disorientamento sociale e delle relazioni. C’è però il rischio di ripiegarsi su se stessi e di chiudersi, di marcare i confini e le differenze. La missione ci mette nella condizione di poter superare questa tentazione, perché allarga i cuori e anche le menti. Uno dei modi in cui avviene questo allargamento è l’informazione che passa attraverso i canali missionari, che permette di conoscere il mondo da un punto di vista che nessun altro offre. Tengo a ribadire questa originalità della comunicazione e dell’informazione attraverso i canali e i viaggi missionari, l’esperienza che i missionari portano da noi e che noi possiamo conoscere quando visitiamo le loro opere. Un altro frutto, poi, ci sta provocando: siamo in una condizione in cui la fede è sottoposta a prove non indifferenti, tutti siamo consapevoli della diminuzione dei numeri. Raccogliendo l’esperienza di questa Chiesa si viene provocati dalla fede che esprime. Sono sicuramente aumentati negli anni i sacerdoti, ma anche la consapevolezza e il ruolo dei laici. Ci sono ancora nella parrocchia di Saint Maurice ad Agnibilekrou villaggi molto lontani e difficilmente raggiungibili, collegati da strade sterrate, e in essi si manifesta una responsabilità laicale, in cui i battezzati non sostituiscono i preti ma esercitano forme di servizio che alimentano, sostengono e promuovono la fede lì dove il sacerdote non è presente tutti i giorni. Questa promozione di una responsabilità laicale è uno dei frutti che dovremo raccogliere a partire da un’esperienza reale che si vive nella missione. Un altro aspetto che può essere molto interessante per noi è il catecumenato. Qui il battesimo dei bambini non è praticato, se non in misura minoritaria. L’esperienza molto seria del catecumenato degli adulti può rappresentare un utile modello sul quale riflettere anche per la vita della chiesa di Bergamo. All’inizio in questa terra l’obiettivo è stato offrire una presenza religiosa e sacerdotale, arricchita dal desiderio di testimoniare concretamente la fede nell’organizzazione della parrocchia e nelle opere messe in atto, soprattutto di carattere educativo e di promozione sociale, con vicinanza e aiuto ai più poveri. Questo ci vede tuttora in prima linea con una forte motivazione: non rappresentiamo solo un servizio di promozione umana, ma una comunità credente che promuove l’uomo».
«La visita che abbiamo fatto ci ha messo di fronte alla bellezza di questo modo di testimoniare il Vangelo e questa originale, necessaria risposta a un bisogno concreto. Vedere che questi bambini, che sono portatori anche di situazioni sofferte, possono guardare con maggiore serenità al futuro è un dono per noi come noi speriamo di essere dono per loro».
Come immagina il futuro?
«Negli ultimi anni è cresciuto il contributo dei laici, che fanno esperienza di missione per periodi più o meno lunghi. Questa sarà anche la direzione dello sviluppo futuro, con lo stile della cooperazione, che metterà in primo piano la competenza, i valori interiori e la fede di laici che intendono dedicare la loro vita alla missione. Ad Agnibilekrou c’è un’esperienza che ha il sapore del germoglio, che sta crescendo, che si manifesta in un’attenzione particolare alla disabilità. Cultura, storia, povertà di mezzi, la mancanza di una piena consapevolezza delle istituzioni nei confronti di questa condizione della persona umana fanno sì che questa situazione meriti una particolare attenzione. I sacerdoti, le religiose (ricordo la presenza delle Suore delle Poverelle e delle Figlie del Sacro Cuore) e alcuni laici molto competenti - in particolare ricordo Walter Negrinotti, laico missionario - stanno avviando processi di promozione e accompagnamento di bambini anche molto piccoli che rischiano la totale emarginazione. I nostri missionari stanno promuovendo così una storia nuova. La visita che abbiamo fatto ci ha messo di fronte alla bellezza di questo modo di testimoniare il Vangelo e questa originale, necessaria risposta a un bisogno concreto. Vedere che questi bambini, che sono portatori anche di situazioni sofferte, possono guardare con maggiore serenità al futuro è un dono per noi come noi speriamo di essere dono per loro».
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