La famiglia è sempre più piccola: una su tre è di una sola persona

I DATI. In 50 anni il nucleo-tipo in Bergamasca ha perso un componente (da una media di 3,41 a 2,3). In città quelli unipersonali sono il 46,7% del totale. La Cisl: servono risorse e politiche incisive.

Le famiglie si restringono, la natalità cala, la popolazione invecchia. Tutto si tiene, in questa rivoluzione demografica, secondo una dinamica senza inversioni di rotta. L’ultima fotografia è quella scattata dal Dipartimento Welfare della Cisl di Bergamo, che partendo dai dati dell’Istat ha analizzato il «pianeta famiglia» del territorio orobico, con confronti sul lungo e medio periodo. Partendo appunto dall’ampiezza dei nuclei familiari. Al censimento del 1971, in media una famiglia era composta da 3,41 componenti: tipicamente, la sintesi matematica di un nucleo formato da madre, padre e uno-due figli. Via via però il dato si è fatto più piccolo: 3,03 componenti in media nel 1981, 2,8 nel 1991, 2,57 nel 2001, 2,43 nel 2011, quindi 2,3 nel 2022; in metafora, in circa cinquant’anni (dal 1971 al 2022) è come se la famiglia-tipo bergamasca avesse perso un componente, visto che si è scesi appunto da 3,41 a 2,3 persone.

Perché? Per due motivi: perché aumentano le persone sole e perché si fanno meno figli. «Le famiglie, anche a Bergamo e in provincia, sono sempre più sole, più piccole e più povere, soprattutto di relazioni – rileva la Cisl nell’analisi –. Le modalità attraverso le quali si forma una famiglia si modificano nel tempo a seconda dei cambiamenti nel sistema di valori, nei modelli culturali e nelle opportunità offerte dal contesto»

Perché? Per due motivi: perché aumentano le persone sole e perché si fanno meno figli. «Le famiglie, anche a Bergamo e in provincia, sono sempre più sole, più piccole e più povere, soprattutto di relazioni – rileva la Cisl nell’analisi –. La struttura sociale si è evoluta e i riflessi di una condizione fortemente mutata hanno impattato necessariamente sul tradizionale modello familiare traghettandolo verso nuove forme di convivenza tanto variegate e flessibili da figurare nella loro complessità come un arcipelago di forme familiari. Le modalità attraverso le quali si forma una famiglia si modificano nel tempo a seconda dei cambiamenti nel sistema di valori, nei modelli culturali e nelle opportunità offerte dal contesto».

Le trasformazioni

Oggi (o meglio al 2022, data di riferimento dell’ultima rilevazione completa dell’Istat) infatti «la tipologia familiare maggiormente rappresentata è quella composta da un’unica persona», sottolinea la Cisl. Su 478.067 nuclei familiari, 163.676 sono «unipersonali», cioè formati da una sola persona, come anziani soli o giovani indipendenti: il 34,23% (in sostanza una famiglia su tre), mentre al censimento del 2001 erano invece il 24,18%. Di contro, oggi le famiglie con due componenti sono circa il 28,24% del totale, quelle con tre componenti il 17,97%, quelle con quattro componenti il 14,41%, per poi crollare al 3,7% dei nuclei con cinque componenti e all’1,45% di quelli con sei o più componenti. Curiosa però la controtendenza nei nuclei con sei o più componenti, cresciuti dall’84% dal 2001 (erano 3.757) al 2022 (diventati 6.914).

Da un’altra prospettiva, calibrando cioè i nuclei unipersonali sul totale dei residenti in Bergamasca (1.106.303 a fine 2022), queste 163.676 persone che vivono da sole rappresentano il 14,8% della popolazione; a livello territoriale, l’Ambito provinciale con il più basso numero medio di componenti per ogni famiglia è quello di Bergamo (2,06), quello con il dato maggiore Grumello del Monte (2,54). In città, addirittura, i nuclei unipersonali sono addirittura il 46,7% del totale.

«La geografia delle famiglie risente dei tanti fattori che hanno attraversato il Paese negli ultimi decenni: fattori di costume, culturali, socio-economici, sessuali, valoriali – premette Angelo Murabito della segreteria provinciale della Cisl Bergamo –. Il calo della natalità, come elemento di analisi rispetta al tema famiglie, evidenzia che il sistema va verso livelli di tensione e di potenziale collasso che non si può ignorare»

È una trasformazione profonda, che incide in tutti gli indicatori demografici. Il tasso di natalità della provincia di Bergamo nel 2004 si attestava a 11 nuovi nati ogni mille abitanti, nel 2023 è precipitato a 6,6 nati ogni mille abitanti (-40%), mentre il tasso di fecondità (il numero medio di figli per donna in età fertile) è passato dall’1,47 del 2004 all’1,24 del 2023. Sale anche l’età media al parto, dai 30,6 anni del 2004 ai 32,4 anni del 2023, altro segno dei mutamenti nei progetti di vita, ma anche nelle condizioni socio-economiche – stabilità lavorativa, indipendenza abitativa – dei giovani. Intanto il fenomeno non conosce soste: nel primo semestre 2024, il saldo tra nascite e decessi in provincia di Bergamo è stato negativo per 1.730 unità.

«Responsabilità collettiva»

«La geografia delle famiglie risente dei tanti fattori che hanno attraversato il Paese negli ultimi decenni: fattori di costume, culturali, socio-economici, sessuali, valoriali – premette Angelo Murabito della segreteria provinciale della Cisl Bergamo –. Il calo della natalità, come elemento di analisi rispetta al tema famiglie, evidenzia che il sistema va verso livelli di tensione e di potenziale collasso che non si può ignorare. Il “degiovanimento” produce peraltro anche una significativa contrazione di donne in età fertile, quelle su cui contare per il ricambio generazionale».

Le proposte

Dal sindacato arrivano alcune proposte: «La denatalità ha bisogno da un lato di essere declinata con attenzione e richiede sempre più politiche incisive ed un potenziamento delle risorse messe a disposizione delle famiglie per sostenerle in un processo di crescita e dall’altro bisogna combinare i trasferimenti monetari con il potenziamento dei servizi sul territorio verso le famiglie, per facilitare la vita quotidiana, sia nella tutela dei minori sia nell’assistenza agli anziani che sono a carico delle famiglie stesse, perché senza questo tipo di sostegno difficilmente le persone si avventano nell’allargare la famiglia» rimarca Murabito. «La Cisl – prosegue – ha il dovere d’investire nella contrattazione e rafforzarla sempre di più rispetto al tema della conciliazione: sui congedi; sulle possibilità di articolare meglio gli orari, legare la contrattazione aziendale con quella territoriale e armonizzare il welfare aziendale con il welfare territoriale arricchendolo sempre di più d’interventi a sostegno delle famiglie. Il tema della famiglia chiama in causa una responsabilità diffusa, una responsabilità collettiva che include l’insieme degli attori territoriali con misure coerenti, condivise e organiche: parti sociali, società civile, imprese, istituzioni per risposte mirate che siano in grado di integrare, accrescere e innovare i perimetri delle misure nazionali».

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