Jacopo e la bellezza dell’imperfezione
«Perchè siamo tutti un’opera d’arte»

Jacopo Gualtieri e la sua storia. La tenacia di una mamma e l’estro di un ragazzo: «Così la diversità diventa una ricchezza per tutti».

«Simba, lascia che ti dica una cosa che mio padre disse a me. Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti». Jacopo, 16 anni ad agosto, guarda il cielo a caccia di stelle e si abbraccia, si cinge le spalle da solo, in quel ninnarsi delicato. Poetico. Recita Mufasa, dal cartone Disney del «Re Leone», e quelle parole, in queste ultime settimane, sono state il ponte solido e bellissimo che ha unito ragazzi, sguardi, mondi tra loro diversi.

Parole a teatro che sono state recitate durante un saggio organizzato su più date (la prossima è il 7 giugno alle 18 all’oratorio di San Paolo, a Bergamo) dove Jacopo Gualtieri, affetto da un «disturbo pervasivo dello sviluppo» che gli è stato diagnosticato poco dopo la nascita, è salito sul palco con alcuni compagni del Liceo Artistico Manzù, progetto teatrale che ha chiuso in bellezza un laboratorio organizzato nell’istituto scolastico e coordinato dalla regista Silvia Barbieri.

«“Io sono un’opera d’arte” è il titolo dello spettacolo, ambientato nel Regno della perfezione artistica – spiega la regista –. Un mondo dove una pittrice, Egle, non rispetta canoni e armonie, e viene quindi cacciata. Attraverso il “Taglio” di Fontana si troverà catapultata in un altro Regno, caotico e senza regole: qui comincerà un nuovo viaggio nel ritrovare la sua vera inclinazione, per riconoscersi essa stessa opera d’arte, al di fuori degli stereotipi accademici».

Dentro questo regno senza regole prestabilite, l’incontro con Jacopo è fulcro di passaggio: «Motore fondamentale di un lavoro teatrale e testuale che parte dal riprodurre i suoi comportamenti e favorire le sue inclinazioni artistiche e comunicative per costruire una trama che restituisca il valore artistico unico di ogni individuo» spiega Barbieri, che ha costruito la drammaturgia nel rispetto della poetica di ciascuno, e soprattutto di Jacopo, risorsa attiva e vitale: «Nel lavoro in cerchio, capitava che Jacopo si alzasse per infilarsi in un angolo. Ho detto ai ragazzi che ciascuno cercasse il proprio angolo».

E poi ancora: «Jacopo durante le prove, improvvisava versi di canzoni dei cartoni animati, o sceglieva nuovi spazi da esplorare. Ho lasciato che i ragazzi lo seguissero a loro volta, con contributi personali che sono diventati performance nella performance. Siamo così tutti passati attraverso la fenditura, il “taglio” di Fontana, perché siamo tutti un po’ rotti, dentro o fuori, e siamo tutti opere d’arte».

Il baricentro si sposta: «Non è stato Jacopo a integrarsi, è il gruppo che si è integrato alle sue sollecitazioni, mettendosi in ascolto, riflettendo che la diversità è un’opportunità per vedere le cose da altri punti di vista».

E Jacopo ha apprezzato, ha riso parecchio e ha capito che si era creato un nesso, un nuovo modo per comunicare. «Senza stereotipi, senza fatiche aggiuntive: semplicemente cercando di trovare la giusta poetica per presentare noi stessi, a qualcuno disposto ad ascoltarci» continua la regista, mentre fuori dalle prove c’è una mamma che in questi 16 anni ha sempre cercato questo: linguaggi diversi, relazioni nuove, per un ascolto attivo della solitudine, del bisogno di fare rete. Di credere a un figlio «che è meraviglioso, perché unico, fiducioso, appassionato» dice la mamma, Silvia Galimberti che racconta di Jacopo che «canta le sigle dei cartoni animati, che conosce tutti i dialoghi dei film – sorride –, che sa usare il cellulare meglio di me».

Jacopo che scende con lo snowboard, che recita su un palco. In bilico tra la concretezza del reale e i voli della sua mente, senza un tempo e uno spazio preciso, «senza restare per forza ancorato a questa nostra quotidianità».

Ha raccontato molto bene il ragazzo Adriana Lorenzi, «profe per dieci giorni» di Jacopo, durante la terza media all’Amedeo di Savoia: «È stato bello affacciarmi sul tuo mondo e trovare il modo per scioglier tensioni, ansie, preoccupazioni. E un linguaggio utile per esprimersi e comunicare. Me ne sono andata con la sensazione di aver dato e ricevuto pezzi di umanità – scrive in una lettera la docente e scrittrice con la delicatezza che la contraddistingue –. Il primo sabato che abbiamo passato insieme mi hai detto che il male viene sconfitto e il bene trionfa, quindi non bisogna avere paura. Io ti ho risposto che basta non invitare la paura a farci visita, ma lasciarla sempre fuori dall’aula, dalla vita, per permettere al bene di trionfare. Il bene trionfa sempre perché è più forte del male, anche se a volta fatichiamo a crederlo». Adriana Lorenzi spiega: «Jacopo abita il mondo attraversandolo. E ci vuole coraggio per attraversare il mondo. Il coraggio non è che la paura superata».

Ci sono così i genitori, la scuola, gli educatori, gli amici. E soprattutto ci sono stati in queste ultime settimane questi attori per caso, compagni di scuola, non per forza di classe. «Jacopo ama follemente stare con gli altri ragazzi. Gli piace stare in relazione. Un ponte solido, dove la diversità una volta tanto è stata davvero la ricchezza. Una risorsa» continua Silvia Barbieri. «La bella notizia è Jacopo e quello che è stato per noi in queste settimane di progetto teatrale» spiegano i ragazzi durante le prove dello spettacolo: «Ci ha affascinato e stimolato: in qualche modo siamo tutti perfetti e imperfetti – spiegano Laura, Camilla e Federica –. Ci ha anche destabilizzato, è vero, ma ci ha dato quella marcia in più per percepire nuovi input, guardarci e guardare gli altri con nuovi occhi». Tanti punti di vista che vivono Jacopo, da sempre circondato di persone, all’insegna del fare. «La sua vita è un incastro di progetti su cui lavorare, di obiettivi. Ma soprattutto di relazioni» spiega la mamma.

Grande risorsa l’oratorio, propositivo e accogliente: a San Paolo è nata nel 2017 «San Paolo in Bianco», associazione culturale che organizza attività che passano dal canto all’arte, dalla danza alle arti circensi fino allo sport, con tanto di giornate sulla neve. «Don Alessandro Locatelli è stato il sostegno per creare nuovi stimoli, per creare relazioni, a sostenere le diversità di ciascuno, creando confronto e condivisioni» continua la mamma di Jacopo, promotrice dell’associazione.

Sono organizzati laboratori e corsi con cui il ragazzo si interfaccia a nuovi mondi, partendo sempre da progetti artistici e con approcci mirati, nuove persone che gravitano attorno a lui: «Penso allo snowboard e alla passione che ci mette, ma anche al corso di cucina o di danze popolari. Tutto stimoli, tutte sfere da scoprire, che riempiono la vita» continua Silvia Galimberti.

Jacopo esce dalle prove di teatro, zaino in spalle e il cellulare in mano con gli immancabili cartoni animati che guarda e ascolta. Accanto a lui c’è Loretta Cattaneo, appassionata, ma anche ferma nell’educazione: «Il progetto teatrale ha dato a Jacopo la libertà di essere quello che è, di mostrarsi con le sue passioni, il suo animo, la sua sensibilità. È un ragazzo incredibile: ironico, geniale, in una sua sfera fatta di colori, forme, musiche, parole».

Loretta Cattaneo è l’assistente educatrice di Jacopo, in un progetto di due pomeriggi alla settimana con la Cooperativa sociale Ser.E.Na.: «Ci sono laboratori scolastici a cui abbiamo partecipato, come quello di mosaico e c’è un progetto sull’autonomia che stiamo facendo insieme: andiamo a fare la spesa e Jacopo si occupa di cosa comprare e quanto spendere. Si chiama “Progetto Euro”, agganciato ai progetti educativo del Manzù, utilizzando concretamente i soldi e imparando a utilizzare semplici strumenti di geo-localizzazione per arrivare a una destinazione prefissata» spiega Loretta Cattaneo.

E da alcuni mesi c’è Mattia Rota. Fa il personal trainer alla palestra Perform di Bergamo, quella del Papu Gomez, e ha 27 anni. «Quando mi sono trovato davanti a Jacopo per la prima volta ho subito capito che sarebbe stata una collaborazione che mi avrebbe arricchito: ho capito che sarebbe stato lui la mia palestra». Jacopo e Mattia lavorano insieme, nella sala pesi, tutti i venerdì pomeriggio: «Il tempo insieme aumenterà, ci stiamo dedicando a un percorso di autonomia e di allenamento per rinforzare gli arti inferiori».

Jacopo ha risposto positivamente al nuovo progetto sportivo: «È sereno, positivo, ha subito accettato di lavorare con me ed è molto autonomo – continua Mattia –. Non gli servono gli schemi degli esercizi, ricorda tutto a memoria. Stare con lui mi ha dato una visione nuova delle relazioni con gli altri: Jacopo mi dona leggerezza e positività. Mi ha fatto capire di allargare la mente, anche rispetto alle reticenze che potevo avere, al non fermarmi alla prima impressione».

Mai dare per scontato che le cose siano come prestabilito, perché uscire dai bordi a volte permette di creare dei capolavori, se li si riesce a guardare bene. Il mondo che gravita attorno a Jacopo lo ha capito meglio ora, anche per quel pezzo di monologo che, ad ascoltarlo, ci rende tutti più reali, ma anche più leggeri: «Mi piacete voi – recita Egle nel nuovo mondo che scopre –, così imperfetti, così veri, così vivi».

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