Iniziò con i volontari: oggi il 118 gestisce 700 chiamate al giorno

I 30 ANNI DEL SERVIZIO. A fine 1993 in campo c’erano solo
le associazioni che si muovevano senza coordinamento. Valoti: «con la centrale unica preparazione e iter uniformi».

A raccontarla sembrano passati secoli e, non fosse che si sta parlando di soccorso pubblico, farebbe anche un po’ sorridere. Invece succedeva «solo» poco più di trent’anni fa, nell’epoca precedente alla nascita del servizio di 118. Oggi è normale, quando si assiste a un incidente stradale, chiamare l’ormai noto numero unico 112 (che riceve le telefonate anche di 112, 118 e 115) e, se a telefonare sono più persone per lo stesso fatto, l’«evento» viene gestito come unico.

«Fino alla fine degli Anni Novanta, invece, ogni associazione che gestiva un’attività di soccorso in città veniva chiamata tramite il suo numero della linea urbana e nell’assoluta discrezione del chiamante – spiega Oliviero Valoti, direttore dell’Articolazione aziendale territoriale del 118 di Bergamo –. Così poteva accadere, ed è accaduto anche spesso, che arrivassero sullo stesso incidente più ambulanze delle differenti “croci” chiamate dai cittadini, i cui volontari si contendevano letteralmente il malato. Una situazione che oggi sembra assurda, per fortuna».

«Le origini del servizio a Bergamo risalgono al novembre del 1993, affidato a medici e infermieri dell’allora Ospedale Maggiore – ricorda Valoti –: i “padri fondatori” furono il neurochirurgo Albino Fascendini e l’allora caposala Enrica Bonzi, oggi sindaco di San Giovanni Bianco»

Prima vigeva il «fai fa te»

E che sembra appartenere – perché di fatto lo è – a un’altra epoca. Una sorta di «fai-da-te» del soccorso, che poteva contare sulla presenza capillare di associazioni di assistenza pubblica sul territorio bergamasco, ora quasi tutte inglobate nel servizio – coordinato e professionale – del 118. Che ha tagliato il traguardo dei trent’anni di attività e la cui centrale operativa, la Soreu delle Alpi all’interno dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, riceve qualcosa come 700 chiamate al giorno in media, con punte fino a 900: trent’anni fa erano 200, di cui il 30% falsi allarmi (oggi «scremati» a priori dalla centrale del numero unico 112): «Le origini del servizio a Bergamo risalgono al novembre del 1993, affidato a medici e infermieri dell’allora Ospedale Maggiore – ricorda Valoti –: i “padri fondatori” furono il neurochirurgo Albino Fascendini e l’allora caposala Enrica Bonzi, oggi sindaco di San Giovanni Bianco. Io sono arrivato nel 1998 e sono poi subentrato a Mauro Signore, purtroppo prematuramente mancato il 3 settembre 1999. I pionieri, diciamo così, misero in atto quelle che erano le indicazioni regionali, conseguenti all’entrata in vigore di un decreto del Presidente della Repubblica datato 27 marzo 1992 che prevedeva la creazione di reti di soccorso centralizzate e coordinate a livello regionale».

La Lombardia e l’Emilia furono le prime regioni a concretizzare l’idea. In città c’erano principalmente due croci, la Bianca e la Rossa, che erano ben distinte e senza coordinamento. «Ciascuna aveva un suo numero di telefono e spesso arrivavano entrambe sui luoghi dei soccorsi, con inutile spreco di tempo e di energie. Inoltre erano tutti volontari, senza alcuna preparazione medica. Svolgevano un compito che era ribattezzato “carica e vai”, verso l’ospedale più vicino. Oggi per fortuna non si ragiona più così: la mentalità è cambiata, senza tra l’altro grandi difficoltà perché le novità vennero accolte da tutti in maniera positiva, e si porta il ferito, per esempio, all’ospedale più attrezzato per quel tipo di emergenza e non a quello più vicino».

A fine 1993, inizio 1994 a Bergamo e provincia esistevano numerose associazioni di volontari e ognuna faceva da sé: «È stato un patrimonio fondamentale per andare a costituire quello che è l’attuale servizio di 118 – rileva Valoti – perché rappresentavano risorse diffuse e radicate. Certo si è poi lavorato per elevare il livello di preparazione e professionalità in modo che diventasse uguale per tutti. Alcune realtà che gestivano invece sia servizi di soccorso sia servizi di onoranze funebri sono state vietate. Non c’è stato alcun ostruzionismo: anzi, tutti hanno lavorato perché si creasse quello che è oggi il 118».

Nel 1998, all’arrivo di Valoti, i medici dediti all’emergenza erano 8 e le postazioni alla centrale operativa erano tre. Oggi sono 10: quattro ricevono le chiamate dalla centrale del 112 (che è a Varese), tre gestiscono la flotta (6 automediche, 5 auto infermierizzate e una cinquantina di ambulanze) e tre – con medici e infermieri si interfacciano con i soccorritori sul posto

La prima centrale nei vecchi Riuniti

La prima centrale operativa del 118 fu ricavata all’ultimo piano dell’ex abitazione delle suore ai Riuniti, dov’è rimasta fino al trasferimento al Papa Giovanni nel 2012. Nel 1998, all’arrivo di Valoti, i medici dediti all’emergenza erano 8 e le postazioni alla centrale operativa erano tre. Oggi sono 10: quattro ricevono le chiamate dalla centrale del 112 (che è a Varese), tre gestiscono la flotta (6 automediche, 5 auto infermierizzate e una cinquantina di ambulanze) e tre – con medici e infermieri si interfacciano con i soccorritori sul posto. Il tutto si ripete in media per 700 volte ogni giorno solo per la Bergamasca: la Soreu Alpi di Bergamo coordina infatti anche i mezzi del 118 sui territori di Brescia e Sondrio.

A Bergamo i dipendenti Areu sono ormai una sessantina: è escluso il personale sanitario, che è rimasto per scelta dipendente degli ospedali del territorio

Casa successe il 2 gennaio 2000

Un’altra data fondamentale per il servizio 118 a Bergamo fu il 2 gennaio 2000: quel giorno venne infatti attivato l’elisoccorso, affiancato agli altri quattro velivoli di soccorso lombardi (a Milano, Como, Sondrio e Brescia). «Il perché è presto detto – spiega Valoti –: la posizione centrale di Bergamo in Lombardia. E fu un’occasione per reclutare nuovo personale». Dal 2008 il 118 fa parte di Areu, l’Azienda regionale emergenza urgenza, che coordina a livello regionale l’attività di soccorso. A Bergamo i dipendenti Areu sono ormai una sessantina: è escluso il personale sanitario, che è rimasto per scelta dipendente degli ospedali del territorio. «Le quattro sale operative regionali sono interscambiabili – spiega orgoglioso Valoti –: nel malaugurato caso del crash di una, in un’ora le altre potrebbero subentrarne nel servizio e coprire il relativo territorio».

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