In ospedale reparti senza medici
«Via i vincoli di spesa e più ricerca»

Miliardi, tanti, per aiutare la sanità italiana: sono i fondi europei previsti dopo la batosta del Covid. Non è chiaro se arriveranno con il Mes, con il Recovery Fund, ma mentre il mondo politico si incontra e si scontra sui tempi e i modi dell’erogazione, sono già tante le aspettative.

E gli addetti ai lavori, nel mondo della sanità bergamasca, hanno idee piuttosto chiare. Le priorità: incremento del personale, riprogrammazione della medicina territoriale, più sostegno alla ricerca.

«Se penso al Paese spero che si arrivi a potenziare gli ospedali così che ognuno possa ricevere le migliori cure possibili vicino a casa sua. Vorrei che i fondi servissero a evitare l’alto livello di mobilità sanitaria che abbiamo ora – illustra Maria Beatrice Stasi, direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo – . Non servono erogazioni a pioggia, ma una revisione strutturale e programmata della rete ospedaliera e dei servizi. Ed è urgente una riorganizzazione della medicina territoriale: vanno modificati anche qui in Lombardia il modello organizzativo e le regole di ingaggio dei medici di medicina generale; penso a un’assistenza garantita 24 ore su 24, che consenta un accesso più diretto agli ambulatori di medicina territoriale, a un potenziamento della medicina a domicilio, dotando i medici di medicina generale di strumenti e attrezzature che consentano controlli a distanza e a migliori connessioni con l’ospedale. Questo alleggerirebbe gli accessi al pronto soccorso, scongiurando i costi di ricoveri ed esami inappropriati». I progetti di Maria Beatrice Stasi sono anche più locali: «Spero in meno vincoli per il personale: noi da troppo tempo siamo penalizzati perché obbligati a rispettare i tetti di spesa del 2014 per il personale. Ma a noi servono più medici e infermieri, vorremmo consolidare competenze professionali, potenziare il pronto soccorso, ampliare letti di terapia intensiva. E poi ho un sogno, per il Papa Giovanni: abbiamo tutte le specialità pediatriche e siamo all’avanguardia nelle cure neonatali: vorrei caratterizzare questo ospedale come ospedale del bambino. Anche dal punto di vista strutturale: gli spazi ci sono».

Un’ottava torre dedicata a tutte le specialità pediatriche? Maria Beatrice Stasi non ne parla, ma il Papa Giovanni di fatto è progettato proprio per ospitare una torre in più. «Un’ultima cosa, non da poco – rimarca Stasi – i fondi europei devono servire a potenziare la ricerca: andrebbe finanziata non solo quella degli ospedali universitari e degli Irccs, ma anche di ospedali come il nostro. Un esempio su tutti: Bergamo ha fatto e fa ricerca importante sulle Car-T. E molto altro».

Su medicina territoriale e personale da potenziare insiste anche Fabiano Di Marco, direttore della Pneumologia del Papa Giovanni: «C’è bisogno di più personale medico e infermieristico. A Bergamo il problema è pressante: veniamo da anni di mancato turnover. La medicina del territorio va ripensata: non è più concepibile un sistema che vede professionisti non legati agli ospedali, vanno annessi nello stesso sistema». Luca Lorini, direttore dell’Area critica del Papa Giovanni, i medici di base li metterebbe proprio dentro l’ospedale: «Ce l’ha mostrato anche la pandemia Covid: i medici di base devono lavorare con gli ospedalieri, è antistorico e anche poco efficace che siano isolati nei loro studi; se fosse per me, ricaverei spazi in una torre per loro. Iperbolico? L’idea di spazi connessi anche dal punto di vista informatico con gli ospedali di riferimento non è campata per aria. Spero, comunque, che alle decisioni sull’utilizzo di fondi europei si arrivi dopo una programmazione studiata: il nostro sistema sanitario è il più bello del mondo ma va adattato alle nuove esigenze. È necessario studiare, in modo statistico, epidemiologico, storico, economico e medico quale sarà l’Italia dei prossimi 25 anni e quali i suoi bisogni di salute».

I fondi, da qualunque parte arrivino, vanno presi e subito: un’occasione così non si ripresenterà mai più, sottolinea Roberto Cosentini, direttore del Centro Eas del Papa Giovanni: «È urgente intervenire sia sul territorio sia sui pronto soccorso. Dal Covid abbiamo imparato che per il pronto soccorso è necessario pensare a una diversa distribuzione dei servizi, con percorsi anche fisicamente separati, servono più letti di osservazione breve intensiva e sub intensiva di primo e secondo livello. Ma il cardine è lavorare su una revisione della medicina del territorio anche per gli accessi al pronto soccorso: immagino strutture di base dove vengano erogate prestazioni diagnostiche e piccoli interventi: così cambierebbero i profili di chi accede al pronto soccorso».

E un intervento radicale sul territorio è fondamentale anche per tutta l’area della salute mentale: lo ribadisce Carlo Saffioti, membro del Comitato tecnico regionale salute mentale e dipendenze, direttore sanitario della Fondazione Bosis: «Attualmente per la salute mentale si spende solo il 3,6% del Fondo sanitario nazionale, invece del previsto 5,3; in provincia abbiamo meno posti letto per acuti rispetto ad altre province lombarde, manca infatti un Spdc, abbiamo meno posti di riabilitazione della media regionale, ci sono 40 posti letto di residenzialità leggera invece dei 66 previsti e non c’è nessun posto letto per la neuropsichiatria infantile».

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