In Inghilterra 12 mila bergamaschi
La Brexit e i timori per il futuro

Oltre la metà vive nella capitale. L’Ente Bergamaschi nel mondo: «Siamo preoccupati per i nostri concittadini». Il presidente del Circolo di Londra: «Per ora nulla è cambiato».

Gli italiani che risiedono e lavorano in Gran Bretagna sono circa seicentomila . Dodicimila i bergamaschi, 6.500 dei quali vivono a Londra. Dopo il via libera alla Brexit in molti si interrogano sul loro futuro. «I timori dei bergamaschi in Inghilterra sono giustificati – ci dice Carlo Personeni, presidente dell’Ente Bergamaschi nel mondo –. Il premier Johnson esulta per la vittoria ma noi siamo preoccupati per i nostri concittadini».

Dal primo gennaio inizieranno le trattative per un’uscita definitiva dall’Unione europea, che sarà portata a termine alla fine del 2020. «La trafila dei nostri emigranti per ottenere la residenza potrebbe complicarsi – sostiene Personeni –. Sentiamo dire che il ministero dell’Interno distinguerà tra i lavoratori qualificati, che sono la grande maggioranza, e quelli che non lo sono come camerieri, portieri, baristi, parrucchieri e altri lavoratori non specializzati che prima di trasferirsi dovranno ottenere un contratto di lavoro e relativo permesso di soggiorno. Se così sarà, il nostro Circolo di Londra avrà il doppio di lavoro per aiutare quanti scelgono di recarsi in Inghilterra».

Le domande in attesa di risposta sono tante. Cinque anni di permanenza ininterrotta in Inghilterra basteranno per ottenere la residenza? Trovare un impiego sarà più difficile? Servirà un visto per entrare nel Regno Unito? E gli studenti europei pagheranno tasse più alte? Andrà poi chiarita la posizione di Scozia e Irlanda del Nord, che non sono in linea con le decisioni prese dagli inglesi. «Come Circolo di Londra vedremo di dare un aiuto per permettere di organizzare nel limite del possibile un’assistenza basilare e avere un punto di riferimento, in particolare per tutti coloro che vorranno ottenere la residenza – spiega Personeni –. Devo dire che queste situazioni sono già state valutate sia dall’Ente sia dal Circolo di Londra nel corso degli ultimi nove mesi proprio in previsione del voto. Al momento ci risultano circa 50/60 casi problematici da risolvere a Londra. Ricordiamo che la Lombardia è la Regione con più emigranti; e Bergamo è la terza provincia dopo Varese e Como per partenze verso l’estero, un esodo che nel Dopoguerra poteva avere una logica ma oggi dovrebbe interrogarci tutti».

Valuta la situazione con più ottimismo Radames Bonaccorsi Ravelli, presidente del Circolo di Londra, nella capitale inglese dal 1998, assistente sociale in una struttura sanitaria pubblica. «C’è la tendenza a demonizzare il Regno Unito dopo l’esito delle votazioni volute da Boris Johnson, che certo non è uno sprovveduto. Per ora poco o nulla è cambiato. Invito i bergamaschi a venire in Inghilterra dotati di passaporto e a mettersi in contatto con noi, gli diremo cosa prevede la legge (possono inviare una e-mail all’indirizzo: [email protected]). Le operazioni on line per attestare la propria presenza sul territorio britannico non sono complicate, io stesso ho aiutato diversi connazionali ad attivare la procedura in tempi veloci (il “settled status” è la procedura che i cittadini europei devono effettuare per continuare a vivere e lavorare in Gran Bretagna, ndr)».

Il presidente del Circolo di Londra getta acqua sul fuoco: «È ancora tutto da definire, vedremo cosa accadrà a partire dal prossimo anno. Intanto non è il caso di fasciarsi la testa». Al Circolo continuano ad arrivare una media di settanta/ottanta curricula l’anno di bergamaschi che cercano lavoro e casa nella capitale, «un numero di poco inferiore al centinaio degli anni precedenti». A trasferirsi sono prevalentemente giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni, impiegati nella ristorazione («Settore in cui trova impiego chi non parla bene l’inglese»), ma anche nelle banche, negli ospedali e negli studi di architettura.

C’è poi anche il capitolo imprese: per quelle bergamasche l’export verso il regno Unito vale 780 milioni di euro, l’import 220. Un giro d’affari da un miliardo.

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