Cronaca / Bergamo Città
Giovedì 26 Maggio 2022
In fuga da Bucha e Mariupol: in Polonia alleanza bergamasca per l’accoglienza di mamme e bambini
«Rifugio sicuro» Un hotel ospita nel centro di Lublino 103 tra mamme e bimbi, anche dalle città più colpite dalla guerra in Ucraina. Iniziativa di Cesvi co-progettata e finanziata da Brembo.
Osservi l’edificio la sera tardi, quando il buio lo avvolge e le luci interne si spengono. Pensi a quanto dolore custodisce il palazzo, abitato da mamme, bambini e bambine ucraine scappate dalla guerra, anche dai luoghi simbolo dell’orrore: Bucha e Mariupol. È un hotel nel centro di Lublino, una delle città più antiche della Polonia (sorta nel Medio Evo), Stato che ospita il numero più alto di profughi generati dall’invasione russa (3,5 milioni). Altri ne stanno arrivando dai fronti sotto tiro, come la bellissima città di Odessa, o gli sfollati da Mariupol ora in mano a Mosca ma che non hanno trovato condizioni minimamente dignitose per restare in Ucraina.
L’edificio si rianima
Però di giorno quell’edificio si rianima e scopri che il dolore per ciò che si è stati costretti a lasciare i mariti, i parenti e la propria casa è curato grazie all’accoglienza dignitosa, alla solidarietà di tanti cittadini di Lublino che portano qui dai vestiti alla frutta, alle attività di divertimento, alla ricerca di un lavoro e a nuovi legami affettivi nati tra queste donne forti e coraggiose, che hanno superato prove umane durissime.
Lublino, che dista un centinaio di chilometri dal confine ucraino, ha spalancato le porte senza indugi a chi scappava dalla guerra.
L’ospitalità speciale è l’esito del progetto «Save Haven», rifugio sicuro, realizzato da Cesvi di Bergamo in collaborazione con un partner locale, Fundacja Inna Przestrrzen, coprogettato e finanziato da Brembo. L’albergo è stato aperto alle profughe il 9 maggio scorso ma nella giornata di mercoledì 25 maggio si è tenuta l’inaugurazione ufficiale, essendo l’attività a pieno regime.
Attualmente in 75 stanze ospita 42 nuclei familiari per un totale di 103 persone tra le quali 43 bambini, 9 sotto i 4 anni. Lublino, che dista un centinaio di chilometri dal confine ucraino, ha spalancato le porte senza indugi a chi scappava dalla guerra.
«Qui ci sono 11 centri di accoglienza – dice Filippo Scotti, project manager di Save Haven per Cesvi, rappresentato all’inaugurazione anche da Roberto Vignola, vice direttore generale della fondazione e dal team emergenza - che ospitano 350 persone ognuno. Chi ha più disponibilità economiche è fuggito a Cracovia, gli altri si sono fermati a Lublino. Dai centri abbiamo deciso di aprire l’hotel alle persone più vulnerabili, come mamme con bambini molto piccoli, persone con disabilità e due anziani, di cui una donna malata grave. Abbiamo spiegato loro l’importanza di vivere insieme, di trattare il luogo come se fosse casa loro e le regole che governano l’hotel che è in centro permettendo a mamme e bambini (quelli in età scolare seguono le lezioni dall’Ucraina on line, quando è ancora possibile collegarsi, ndr) un inserimento sociale nella città. Vengono poi organizzate feste e aiutiamo le donne a trovare un lavoro. Abbiamo previsto anche di avviare un progetto di assistenza psicologica per la cura dei traumi da guerra».
Sedici giorni di convivenza hanno reso questo luogo una sorta di grande casa dove sono nate amicizie e ricomparsi sorrisi. Ogni nucleo familiare ha la sua stanza dove ritrovarsi, a differenza dei grandi centri di accoglienza nei quali l’intimità è negata. Cesvi e Brembo hanno già operato insieme in India a favore di bambini e donne vulnerabili e in Italia per i minori migranti non accompagnati.
Sedici giorni di convivenza hanno reso questo luogo una sorta di grande casa dove sono nate amicizie e ricomparsi sorrisi. Ogni nucleo familiare ha la sua stanza dove ritrovarsi, a differenza dei grandi centri di accoglienza nei quali l’intimità è negata. Cesvi e Brembo hanno già operato insieme in India a favore di bambini e donne vulnerabili e in Italia per i minori migranti non accompagnati. «Quando è iniziata la guerra in Ucraina - dice Cristina Bombassei, chief corporate social responsability officer della multinazionale che ha sede al Kilometro Rosso - abbiamo sentito subito l’esigenza di fare qualcosa per rispondere alle necessità legate all’emergenza. Ma abbiamo deciso di attendere per capire quali fossero i bisogni più reali. Questo progetto è il risultato di uno stile d’intervento che ormai condividiamo con Cesvi da tempo. Abbiamo capito che l’urgenza reale era l’accoglienza ma volevamo che la risposta non fosse affidata a luoghi isolati. Inoltre nei nostri stabilimenti italiani 600 dipendenti hanno donato mille ore di lavoro convertite in fondi per l’Ucraina e Brembo ha raddoppiato la cifra».
I dipendenti ucraini
L’azienda opera in 15 Paesi di 3 continenti con 29 siti produttivi e sedi commerciali. Stabilimenti sono presenti anche proprio in Polonia e in Repubblica Ceca. «In questi due Paesi abbiamo 300 dipendenti ucraini - ricorda Bombassei - e li abbiamo supportati per i ricongiungimenti familiari con i parenti in fuga dall’Ucraina e per il sostegno psicologico».
«Nei nostri stabilimenti italiani 600 dipendenti hanno donato mille ore di lavoro convertite in fondi per l’Ucraina e Brembo ha raddoppiato la cifra» spiega Cristina Bombassei.
L’inaugurazione, alla quale ha preso parte anche la vice console onoraria d’Italia Anna Kaczmarczyk, si è chiusa con un pranzo comunitario, accompagnato da canzoni ucraine recitate da adulti e bambini e dalla lettura di testi da parte della signora Olga. Ricorrevano parole e sentimenti come libertà, l’amore per il proprio Paese, l’impossibilità di dimenticare la propria casa e il desiderio di farvi ritorno (è il motivo per il quale molte profughe sono rimaste in Polonia declinando destinazioni più lontane dai confini dello Stato invaso). E poi un invito: la speranza di poter invitare in Ucraina in un futuro chi sta aiutando il popolo vittima dell’invasione russa, «per ringraziarvi di ciò che avete fatto per noi». Una grande festa ma senza dimenticare chi ha perso la vita in guerra, con un minuto di silenzio. Per poi ripartire.
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