In città è boom di ristoranti: + 18% rispetto al pre-Covid

Il bilancio del settore Aumentano anche i bar (calano in provincia) e le imprese ricettive. Fusini (Ascom): «La pandemia ha lasciato debiti e ferite, ma è rimasta la voglia di investire».

Il tracollo non c’è stato, anzi: numeri alla mano pare quasi che la pandemia abbia lasciato pochi strascichi in Bergamasca nel settore della ristorazione e dell’accoglienza, nonostante i timori degli ultimi due anni. Ma – lo diciamo subito – i numeri relativi alle imprese di questo ampio comparto del commercio, non devono trarre in inganno, perché le difficoltà ci sono state e quello di bar, ristoranti e alberghi è stato senz’altro uno dei settori più colpiti dalla crisi. Fatta questa premessa, e prima di provare ad analizzarli, ecco dunque i numeri che fotografano una situazione tutto sommato confortante dal punto di vista dell’offerta: in città a stupire è la crescita a doppia cifra dei ristoranti, passati da 246 a 291 tra il 2019 e il 2021 (i dati sono riferiti al 31 dicembre di ogni anno), con una progressione del 18,3%, che non si era fermata neppure nell’anno orribile del Covid, il 2020, quando si registrarono 20 aperture in più rispetto al 2019. Meno evidenti, ma comunque significativi, i dati relativi alle imprese ricettive (passate da 53 a 55, pari al + 3,8%) e ai bar (da 391 a 399, sempre dal 2019 al 2021, pari al 2% in più), considerato che negli ultimi due anni il turismo è rimasto fermo a lungo ed è ripartito più volte ma sempre a singhiozzo, così come i pubblici esercizi hanno pagato un prezzo molto alto a causa delle restrizioni.

In provincia

Fin qui la situazione nel capoluogo, dove il numero delle imprese che operano nell’ambito dell’accoglienza, della ristorazione e, in generale, dell’intrattenimento, sono aumentate del 7,8%. Qualche segno negativo, seppure in uno scenario di sostanziale stabilità, lo si registra invece in provincia (i dati sono complessivi e comprendono dunque anche quelli della città, ndr), dove il numero delle imprese è di fatto quasi invariato – seppure in crescita dello 0,6% –, ma dove però si vede un’importante contrazione del numero dei bar: se ne sono persi per strada 118 in soli due anni (-4,4%), passando dai 2.706 del 2019 ai 2.588 del 2021. Giù anche il numero dei locali da ballo: hanno chiuso in 4 su 32, pari al 12,5% (di cui tre solo l’anno scorso), ma in questo caso a sorprendere è soprattutto la tempra della stragrande maggioranza di coloro che hanno invece resistito a due anni di chiusura quasi totale, essendo quella delle discoteche l’attività senz’altro più penalizzata in assoluto durante la pandemia.

Due anni sulle «montagne russe»

Le note positive, anche in questo caso, arrivano da ristoranti e imprese ricettive (alberghi, bed and breakfast e case vacanze), che – al netto di un alto turnover, che pure dimostra la difficoltà di tante piccole imprese – hanno addirittura ampliato le rispettive offerte: i ristoranti sono passati da 1.390 a 1.516 (126 in più, pari al 9,1%), mentre le attività d’accoglienza sono aumentate di 22 unità, passando da 278 a 300 (+ 7,9%).

In sintesi, la crisi ha penalizzato più i bar dei ristoranti – com’è avvenuto anche nel resto d’Italia –, mentre non ha influito sulle strutture d’accoglienza, probabilmente più «solide» nella gestione rispetto ad altri esercizi pubblici: «Le fasi della pandemia hanno costituito delle vere e proprie “montagne russe” per le imprese, che in due anni hanno prodotto strappi di ripartenza e cadute verticali e ci riconsegnano oggi un settore turistico segnato dalle ferite, ma ancora numericamente e qualitativamente forte – è l’analisi di Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio –. Molti, soprattutto gestori di piccoli bar a conduzione personale o familiare, non ce l’hanno fatta. Chi ha resistito, lo ha fatto mettendo i risparmi di anni di lavoro o indebitandosi oltre misura, perché i ristori da soli hanno coperto una parte minimale delle perdite». Altra ragione, quest’ultima, per cui di chiusure non ce ne sono state, ma le ferite della crisi si sentono ancora e, forse, si sentiranno per anni. «A sorprendere è piuttosto il rinnovato slancio – dice ancora Fusini –. Senza questa voglia di investire in nuove attività i numeri sarebbero negativi come altrove in Italia. I bergamaschi puntano sul turismo e sulla forza del nostro aeroporto, dal quale giungono già risposte significative. Non è un caso che le attività diminuiscono in provincia per accentrarsi in città e nell’hinterland dove forte è l’effetto del Caravaggio». Il peggio sembra alle spalle, la ripresa del turismo è tangibile, ma la prudenza è d’obbligo, soprattutto dopo quello che è successo negli ultimi 24 mesi: «Abbiamo bisogno – avverte Fusini – della pace e di una stabilità di crescita, per recuperare e mettere nella condizione le imprese di ripagare i maggiori debiti contratti».

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