Il Vescovo: «La parola di Gesù solleva dalla sofferenza»

PELLEGRINAGGIO DIOCESANO. La riflessione di monsignor Beschi attorno al verbo «soffrire» e un primo bilancio del viaggio: «Nelle nostre vite non costruiamo muri, ma ponti come quelli che uniscono le rive del Danubio».

È nel segno di tutti i martiri, e in particolare del venerabile Cardinale József Mindszenty (arcivescovo di Esztergom e Primate d’Ungheria) che si è celebrata la Messa di martedì 2 luglio, nel sesto giorno di pellegrinaggio diocesano.

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Il verbo scandito dal Vescovo Francesco Beschi in apertura dell’omelia è quello che più rappresenta la storia di chi ha dato la vita per seguire la Parola di Dio: «Soffrire». La celebrazione eucaristica si è tenuta nella chiesa simbolo del cattolicesimo ungherese, la Cattedrale primaziale di Esztergom, che i pellegrini hanno visitato in mattinata, fermandosi per una preghiera proprio di fronte alla tomba di Mindszenty, recentemente dichiarato venerabile da Papa Francesco. Condannato a morte dai comunisti nel 1949 per la sua fede, la pena venne commutata nel carcere a vita. Nel 1956 fu scarcerato durante l’insurrezione popolare contro l’oppressione sovietica e si rifugiò nella sede dell’ambasciata americana di Budapest, dove rimase per circa quindici anni in stato di semi-prigionia.

Nella sua riflessione, monsignor Beschi è partito da una considerazione sulla sofferenza. «Le parole, i gesti e i proverbi di Gesù sollevano dalla sofferenza. E d’altra parte essa fa parte della condizione umana: la sofferenza fisica, morale, psicologica, spirituale, familiare e sociale. Bisogna sempre parlarne con pudore». Con la sofferenza il Vescovo di Bergamo ha a che fare abitualmente, visto che da dieci anni incontra i genitori che hanno perso i propri figli per malattia, incidenti o altre cause. «Ho notato – ha detto – che questa sofferenza non passa mai, anche se trascorrono tanti anni. Ho imparato attraverso questi incontri che non bisogna mai fare confronti nella sofferenza. Bisogna invece ascoltare, condividere, farsi coraggio a vicenda e aiutarsi». Noi non ci troviamo in una condizione di martirio; eppure, ha sottolineato il Vescovo, «c’è un martirio che vorrei evocare, la sofferenza di vedere che per le persone che ci sono più care la fede non conta niente. Dobbiamo imparare – ha aggiunto – a stare in questo martirio da cristiani».

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Monsignor Beschi ha poi declinato il verbo «soffrire» in tre modi. Innanzitutto, ha ricordato l’abitudine comune a molte persone di identificare la sofferenza con un castigo inflitto dall’alto. Poi la sofferenza per amore. Amore che è «la realizzazione della vita. Non ci esonera però dalla sofferenza – ha osservato –, anzi proprio perché amiamo soffriamo. C’è una sofferenza che fa parte dell’amore e qualche volta amare vuol dire anche soffrire».

Infine, «soffrire per la fede e per il Vangelo», come nell’esempio del cardinale Mindszenty. Il martirio cristiano - ha affermato – ha una caratteristica che lo differenzia dagli altri: «Nel martire noi riconosciamo Gesù crocifisso». Nel pomeriggio la visita a Szentendre, nella cui parrocchia il Vescovo Beschi ha tracciato un primo bilancio del pellegrinaggio. «Uno degli elementi che va a costituire l’unità di questo viaggio è il Danubio, grande fiume che percorre l’Europa e attraversa tanti territori, la vita e la storia di tanti popoli». A tal proposito monsignor Beschi ha ricordato il discorso che Papa Francesco ha tenuto nel suo ultimo viaggio in Ungheria, in cui ha evocato l’immagine dei ponti: il Danubio come ponte tra le diverse nazioni. «I ponti uniscono le due rive, il Papa insiste sull’importanza di non costruire muri ma ponti – ha spiegato –. In questi anni sono stati innalzati tanti muri, il grande fiume ci dice invece dell’esigenza di costruire ponti capaci di unire ciò che è diverso. Da questo itinerario vorremmo raccogliere un messaggio: nella nostra vita cerchiamo non tanto di costruire muri, quanto piuttosto di edificare ponti».

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