Il Vescovo: «Compartecipazione e corresponsabilità per una Chiesa sinodale»

L’INTERVISTA. Il Vescovo Francesco Beschi riflette sui lavori dell’Assemblea sinodale svoltasi nel weekend del 16-17 novembre a Roma. «Intenso lavoro da cui matureranno frutti inaspettati».

«Una bella esperienza di Chiesa», che in un momento storico complesso e drammatico, fa emergere la consapevolezza che «i semi di Vangelo» siano diffusi nella vita delle persone più di quanto appaia a uno sguardo superficiale. Un momento di lavoro molto concentrato, che apre orizzonti per il futuro, contribuendo alla costruzione di una Chiesa sempre più orientata alla «comunione, missione, partecipazione e corresponsabilità», con un uno stile sobrio, a partire dalla cura delle relazioni. Così il vescovo Francesco Beschi commenta la sua partecipazione all’Assemblea sinodale che si è svolta nei giorni scorsi a Roma nella basilica di San Paolo fuori le mura, e ha riunito oltre mille delegati provenienti da tutte le diocesi italiane.

Si è appena conclusa la prima Assemblea sinodale, dopo tre anni di cammino della Chiesa italiana che si è attuato anche nella nostra diocesi. Qual è il primo bilancio che possiamo tracciare?

«Se volessimo rappresentare in modo estremamente sintetico l’Assemblea sinodale potremmo definirla una bella e buona esperienza di Chiesa. Così è stata riconosciuta da tutti i partecipanti e così l’abbiamo avvertita anche noi con la nostra delegazione bergamasca. Quanto è avvenuto nella basilica di San Paolo fuori le mura nei giorni scorsi è davvero un’esperienza buona di Chiesa a tal punto da immaginare che possa diventare esemplare. Mi sembra infatti che il cammino sinodale si proponga di introdurre un nuovo stile nella Chiesa, in tutte le sue articolazioni. In questo senso l’assemblea è stata un momento di sintesi e allo stesso tempo di passaggio verso ulteriori tappe. Ci fa immaginare soprattutto quale sarà l’orizzonte che supera questi tre anni e le assemblee che si terranno nei prossimi mesi, per tradursi in un modo di essere Chiesa che, appunto, prenderà il nome di sinodale».

Quali sono i temi e le parole chiave emersi in questa assemblea che considera più rilevanti per il lavoro dei prossimi mesi e per il cammino della nostra diocesi?

«Le parole chiave più rilevanti sono certamente comunione e missione: esse hanno caratterizzato anche il Sinodo dei vescovi, ed esprimono l’esigenza della Chiesa di percepirsi come espressione di un dono di Dio. Un dono che poi assume le forme della comunità, con i tratti che in questo periodo stiamo sottolineando in modo forte anche nella nostra diocesi: fraternità, ospitalità e prossimità, rappresentativi del dono della comunione. Su questo punto la consapevolezza della Chiesa in questi mesi dentro il cammino sinodale appare sempre più forte e impegnativa. Nel percorso risuona in modo forte anche la parola partecipazione, che non ha solo un significato sociale, ma vuol dire nella Chiesa un’assunzione di responsabilità di ciascuno a partire dal battesimo, necessaria perché veramente quella comunione diventi storia concreta di comunità. Alla base ci sono relazioni fraterne, e quindi la grande attenzione alla cura delle relazioni, un altro tema che nella nostra diocesi in questi anni stiamo riproponendo, e che è emerso in modo incisivo anche all’Assemblea sinodale. Una comunità impostata in questo modo nel mondo rappresenta un segno e una profezia, in una società in cui prevalgono l’individualismo e la conflittualità. Raccontare una storia di fraternità attraverso la vita delle persone è quindi qualcosa di profetico, e riguarda la partecipazione, cioè la consapevolezza di ogni battezzato di avere un compito nella costruzione della comunità e di dover assumere per questo degli impegni. Una responsabilità che merita di essere riconosciuta soprattutto da parte dei ministri ordinati, quindi i presbiteri e i vescovi. Questo secondo me rappresenterà uno degli impegni che scaturiranno dal cammino sinodale e dall’assemblea, fortemente orientato alla missione. La riflessione dell’Assemblea sinodale su come essere Chiesa oggi, infatti, non può ripiegare lo sguardo solo al suo interno, ma deve considerarne il compito, che consiste nella missione di portare la speranza e la grazia del Vangelo a tutti. In questo contesto diventano importanti gli ambiti della vita, come li abbiamo riconosciuti anche nella recente riforma della nostra diocesi. Il grande impegno della Chiesa fraterna, accogliente e prossima è offrire speranza, dono, grazia evangelica alla vita degli uomini: la famiglia, il lavoro, la fragilità, la marginalità, la cultura, la comunicazione, la cittadinanza. Siamo tutti persone, abbiamo limiti e fragilità, ma in questo compito la Chiesa, proprio per il suo mandato evangelico, non guarda soltanto a se stessa, alla sua organizzazione interna, alla modalità con cui meglio può rappresentare la sua vita comunitaria, ma poi tutto questo lavoro è indirizzato a portare la ricchezza evangelica nella vita di tutti».

«Siamo tutti persone, abbiamo limiti e fragilità, ma in questo compito la Chiesa, proprio per il suo mandato evangelico, non guarda soltanto a se stessa, alla sua organizzazione interna, alla modalità con cui meglio può rappresentare la sua vita comunitaria, ma poi tutto questo lavoro è indirizzato a portare la ricchezza evangelica nella vita di tutti»

Fra le questioni più importanti toccate dall’Assemblea sinodale c’è quella della gestione delle strutture della Chiesa. Quali linee guida potrebbero aiutare le comunità a una gestione più sinodale, in un’ottica di corresponsabilità?

«Le strutture della Chiesa sono materiali e immateriali: quelle materiali sono chiese, oratori, immobili che ospitano le diverse opere. Quelle immateriali sono attività e iniziative pastorali. Quando ci si riferisce alle strutture si considerano entrambe, strettamente collegate: alle questioni che riguardano l’uso degli immobili si affianca quindi l’instancabile compito di costruire una città e una società sempre più umana, capace di riconoscere la dignità, i diritti e i doveri sociali di ogni persona. L’azione della Chiesa ha una natura e un’inclinazione profetica, quindi le sue opere non possono svolgere un’azione di supplenza alle carenze presenti nella società né offrire una semplice risposta ai bisogni sociali emergenti, ma devono sempre di più prendere la forma del segno. Con i mezzi di cui disponiamo, che diventano sempre meno ricchi, possiamo offrire quindi un segno di speranza, che mostri come la risposta ai bisogni fondamentali dell’uomo vada posta alla luce del Vangelo. Questo è un elemento che è ritornato spesso nello svolgimento dell’assemblea, ragionando di strutture e di opere sia materiali sia immateriali: dobbiamo dare alle cose che facciamo una connotazione significativa, perché lascino intravedere la ricchezza del Vangelo. Anche in questo orizzonte è emersa l’importanza dell’assunzione di responsabilità dei laici, non solo dal punto di vista amministrativo. Spero che nel corso dei lavori possono essere formulate alcune conclusioni concrete per quanto riguarda la gestione delle strutture con responsabilità laicali, arrivando a indicazioni puntuali e impegnative. C’è poi una parola che il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha usato nella sua conclusione, ed è sobrietà, come criterio da adottare in tutte le azioni della Chiesa. Questo va considerato sia appunto nel modo in cui si pongono dei segni, che proprio perché evangelici non possono essere enfatici o grandiosi. Non vogliamo occupare o invadere spazi. Ci vuole sobrietà anche nel considerare gli aspetti negativi, problematici, a volte anche oscuri, che qualche volta sembrano invece ingigantirsi e diventare rappresentativi della condizione della Chiesa in Italia oggi. La sobrietà, quindi, va usata sia nel fare, mostrare e testimoniare il bene, sia nel leggere il male, anche perché non tutto è come invece a volte viene rappresentato».

Come si è svolto il lavoro nei giorni dell’assemblea?

«Il compito di questa prima assemblea sinodale era di raccogliere i frutti dei tre anni di cammino compiuti finora, e ciò che è emerso è stato sintetizzato in un documento intitolato “Lineamenti”. L’assemblea ha raccolto questi “Lineamenti” organizzati in tre macro-settori e 17 schede concentrate su ambiti diversi. L’assemblea era formata da mille persone, con le delegazioni di tutte le diocesi italiane, suddivise in 100 tavoli da 10 persone ciascuna e a ognuno è stato affidato un ambito. Ogni argomento è stato quindi sottoposto a più tavoli. Il mio si è occupato per esempio di “Pace e dialogo”. Abbiamo preso in analisi le sintesi dell’approfondimento svolto fino a questo momento per vedere se erano soddisfacenti oppure avevano bisogno di correzioni o integrazioni. Potevamo fare anche delle proposte aggiuntive. È stato un lavoro preciso, serio e impegnativo, bisognava stare sulle questioni proposte senza divagare, per non disperdersi nell’ampiezza degli argomenti, ma cercare di presentarle nel modo più chiaro ed efficace e possibile».

«Nella nostra discussione è emersa, per esempio, la necessità di una formazione alla cultura della pace a tutti i livelli e per tutte le generazioni»

«Nella nostra discussione è emersa, per esempio, la necessità di una formazione alla cultura della pace a tutti i livelli e per tutte le generazioni. Ci siamo soffermati anche su alcuni elementi concreti come per esempio il rapporto con gli istituti finanziari molto impegnati a sostenere la produzione o il commercio delle armi. Abbiamo ragionato anche sulla necessità di favorire l’identificazione e la formazione di corridoi umanitari, che attualmente sono il modo più sicuro per accogliere persone che fuggono da Paesi in guerra, da carestie e situazioni di ingiustizia. Una soluzione usata pochissimo perché richiede condizioni ben precise, e che la Chiesa potrebbe sostenere. Ovviamente alla base ci sono rapporti complessi con enti e istituzioni di cui si occupano la Conferenza episcopale italiana e la Comunità di Sant’Egidio, fornendo poi i riferimenti normativi all’interno dei quali si può collocare l’esperienza delle singole diocesi. Abbiamo poi ampliato l’orizzonte, perché parlare di pace non significa occuparsi soltanto di guerra ma anche, per esempio, della conflittualità diffusa nella società. La crescita della cultura e delle esperienze di giustizia riparativa rappresenta un contributo al superamento di una conflittualità drammatica, come quella tra carnefice e vittima. Alla fine è stata rappresentata una sintesi dei lavori di tutti i gruppi. Sicuramente non è stato semplice raccogliere il lavoro di mille persone che per due giorni hanno lavorato intensamente, seguendo un metodo molto preciso, ma è stato molto interessante e importante per capire che cosa ci attende. Da questa assemblea prenderà forma uno “Strumento di lavoro” che sarà consegnato a tutte le diocesi d’Italia, che potranno arricchirlo, integrarlo e anche correggerlo. Tra febbraio e marzo tutto questo materiale confluirà in un nuovo documento che si chiamerà “Proposizioni”, che sarà preso in considerazione dalla seconda assemblea sinodale, che si svolgerà in un tempo più ampio, di cinque giorni, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. In questa occasione si dovranno anche votare le scelte fatte, alla fine sottoposte anche ai vescovi riuniti nella loro assemblea. Quella che abbiamo vissuto è dunque una tappa di un cammino di ampio respiro, che a un certo punto arriverà anche a decisioni concrete, come molti si attendono, ma il primo frutto sarà questo: dovremo sempre più diventare chiesa sinodale».

Che cosa significa?

«Le azioni della Chiesa, a partire dall’eucarestia per arrivare ai diversi consigli, ai ministeri, fino all’organizzazione delle nostre parrocchie dovrà essere immaginata sempre di più in termini di compartecipazione e corresponsabilità. Il metodo sinodale dà frutti inaspettati, bisogna sperimentarlo, e secondo me è una delle acquisizioni più importanti di questo processo. È un metodo fortemente connotato dall’ascolto, ma non è solo questo. È fortemente caratterizzato anche dalla preghiera. Uno degli aspetti più apprezzati da questa assemblea riunita nella basilica di San Paolo fuori le mura è stata la possibilità di pregare insieme in alcuni momenti significativi, e questo ha fortemente sostenuto anche il resto del lavoro. Il metodo sinodale è quindi fatto anche dalla preghiera condivisa, che arricchisce e dà forma all’ascolto prima della Parola di Dio e poi apre a un reale ascolto dell’altro. Per questo è stata adottata questa forma della cosiddetta conversazione spirituale, per cui ognuno esprime la propria idea in un tempo limitato senza che altri possano intervenire. Bisogna ascoltare

con la migliore attenzione possibile ciò che dice l’altro. Poi in un secondo momento è possibile restituire ciò che è rimasto dell’ascolto, rielaborando ciò che si è appreso e fornendone anche una rilettura critica o chiedendo chiarimenti. È un’esperienza molto diversa dalla comune discussione, in cui ognuno arriva e se ne va con la propria idea, e se non è riuscito a convincere gli altri ha perso la sua battaglia. Grazie al metodo sinodale ognuno fornisce il proprio contributo e la sintesi è un’integrazione degli interventi di tutti, che pian piano fanno emergere una consapevolezza maggiore, una ricchezza e una verità che non è un compromesso né una somma, ma qualcosa di nuovo che alla partenza non avevamo messo in conto. Questo è anche il processo del cosiddetto discernimento, che è un altro aspetto del metodo sinodale e contribuisce ad arrivare a conclusioni condivise o comunque avvertite da tutti come buone, come un passo avanti. È un metodo che può essere adottato da tutti gli organismi di comunicazione e partecipazione della chiesa, dal gruppo dei catechisti agli organismi diocesani come la curia, le assemblee e i consigli: sarebbe bello sperimentare questi passaggi anche in quelle sedi».

«Grazie al metodo sinodale ognuno fornisce il proprio contributo e la sintesi è un’integrazione degli interventi di tutti, che pian piano fanno emergere una consapevolezza maggiore, una ricchezza e una verità che non è un compromesso né una somma, ma qualcosa di nuovo che alla partenza non avevamo messo in conto»

Dall’Assemblea sinodale, con una certa tendenza alla semplificazione, molti si attendono riforme e cambiamenti concreti, ma forse in questo metodo di lavoro c’è già il seme di una trasformazione. Che ne pensa?

«Cerco di capire questa tensione alla semplificazione, però mi rendo conto che in fondo è una grande ingiustizia nei confronti della realtà, della sua grande ricchezza. È il mondo stesso ad essere complesso, i diversi aspetti della realtà sono tutti interconnessi. È fondamentale saper avvertire questa ricchezza di legami, con le loro differenze e dinamiche e allo stesso tempo lo sguardo unitario che la Chiesa assume nella sua storia, e sicuramente anche in questo passaggio di grande rilievo. È stato ricordato più volte in questa assemblea, e io stesso l’ho ricordato nel mio gruppo, che il 25 novembre del 1959 in quella stessa basilica Papa Giovanni XXIII annunciava la sua intenzione di indire un Concilio ecumenico. È stato un momento emozionante anche rievocare il discorso di Papa Giovanni all’inaugurazione del concilio “Gaudet Mater Ecclesia”, con la denuncia dei “profeti di sventura” e questo sguardo di speranze evangelica sul mondo. Giovanni XXIII aveva detto “Tantum Aurora Est”, è soltanto l’aurora, siamo ancora agli inizi. Richiamare quel momento all’Assemblea sinodale di oggi ha avuto un significato forte: tutti eravamo consapevoli che quel Concilio celebrato oltre sessant’anni fa è ancora capace di ispirare, di generare, di coinvolgere. Molto significativo anche il luogo dove si è svolta l’assemblea, proprio la basilica di San Paolo fuori le mura, nel segno della comunione e della missione».

San Giovanni XXIII invitava a pensare in grande, a guardare in alto e lontano. Nell’idea stessa dell’assemblea sinodale ci sono un respiro e un orizzonte più ampio. Come si è concretizzato in questi giorni?

«Questo evento si è svolto nel segno della sobrietà, non c’è stata enfasi, non ci sono state posizioni estreme che abbiano evocato l’attenzione mediatica, anzi, nonostante la rilevanza dell’Assemblea sinodale, che ha portato a Roma mille delegati in rappresentanza delle oltre duecento diocesi italiane, sui giornali se n’è parlato poco. Così è stato un vero lavoro, molto concentrato, molto intenso e ben strutturato, anche sotto il profilo del metodo, e io credo che sia davvero prezioso. Va nella direzione che pure il Cammino sinodale e questa Chiesa vogliono rappresentare: da un verso la presa d’atto della drammaticità di questo passaggio storico, e dall’altro la consapevolezza della ricchezza di segni e gesti evangelici, davvero infiniti, che intesse la storia. La Chiesa avverte il compito di riconoscere questi segni, promuoverli e valorizzarli. Anche a fronte della drammaticità del periodo, non si vuole dimenticare che il Regno di Dio è presente e si manifesta, non in modo eclatante, ma certamente in una maniera pervasiva, perfino impressionante. Questo è uno dei sentimenti con i quali l’assemblea è stata celebrata e si è conclusa: non una speranza velleitaria, ma la consapevolezza di come i semi di Vangelo veramente siano diffusi più di quanto venga poi rappresentato».

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