Il vescovo Beschi: «A Cuba vive una Chiesa giovane con la forza della meraviglia per il Vangelo»

L’ INTERVISTA. «Dall’incontro con questo popolo ci si rende conto del serio cammino di formazione attorno agli elementi essenziali della vita cristiana, percepiti come veri e decisivi». «Onorato di continuare l’opera voluta da monsignor Amadei».

La meraviglia della fede negli occhi di questo popolo, povero e assetato di speranza. La «voglia» di Vangelo, e di ciò che ne scaturisce, in un Paese dove credere è forse ancor più difficile che altrove. Il volto dei bambini nati negli ultimi anni - segno di futuro - e quello degli anziani, il cui sguardo di attesa tocca il cuore nel profondo. Di rientro dal viaggio a Cuba per i 25 anni della missione bergamasca aperta nell’isola caraibica, sono queste le emozioni che resteranno tra i ricordi più intensi del Vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi.

Qual è stato il senso di questo viaggio? Che cosa ha vissuto in questi giorni?

«Il viaggio di quest’anno a Cuba è segnato da un anniversario significativo: abbiamo celebrato 25 anni di presenza bergamasca. La missione in questa terra vuol dire innanzitutto sacerdoti. Ma anche vescovi e diocesi, consacrate, laici, comunità e parrocchie. Più di tutto, la missione è questione di persone, di relazioni e di amicizie. Da questo nasce una grande storia. Dopo 25 anni, possiamo raccontare la presenza bergamasca nella diocesi di Guantanamo-Baracoa come una bella storia, positiva, che è motivo di meraviglia, di gioia e di riconoscenza nei confronti di tutti coloro che vi hanno preso parte. Quindi, siamo venuti qui a Cuba per celebrare tutto questo. Per ringraziare Dio di quanto si è potuto vivere e per dire grazie anche alle persone che sono state protagoniste di questa storia, cominciata da Monsignor Amadei: desidero ricordarlo perché è stato lui che ha dato il via a questa avventura, in cui mi sono inserito volentieri. Infatti, in questi 15 anni che sono vescovo di Bergamo, sono venuto a Cuba già cinque volte».

C’è un aspetto di originalità e di unicità della missione cubana? Un tratto distintivo che può essere messo in risalto?

«A me sembra di poter notare un’apertura che è scaturita dal viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba, nel 1998. Alla vigilia del terzo millennio, il Papa compie questo storico viaggio – preparato, desiderato e accolto non solo con grande partecipazione da parte del popolo cubano, ma anche con grande disponibilità da parte del governo. Cuba era un Paese in cui questo non era mai avvenuto e in cui essere cristiani non è molto semplice. A partire da questo viaggio si apre una storia nuova. La caratteristica della missione cubana sta proprio nella novità: alcuni istituti religiosi erano già presenti, ma è a partire da questo momento che dei sacerdoti fidei donum arrivano nell’isola per accompagnare la vita dei cristiani. Così è avvenuto anche per la missione della diocesi di Bergamo, che è stata tra le prime diocesi italiane a cogliere questa opportunità. Io sono felice, direi quasi onorato, di poter continuare questa storia».

Quindi sono questa apertura e questa novità che rendono particolare la missione cubana?

«Esatto. Cuba è una missione molto recente e moderna. Il cristianesimo di quest’isola è giovane. Nel senso che, in alcune zone è stato ripreso, quasi ha cominciato a essere annunciato, solo 25 anni fa. Questo tratto caratterizza la missione cubana. Come diocesi di Bergamo siamo in Bolivia da 60 anni e in Costa d’Avorio da poco meno di 50. Cuba rappresenta la novità. In qualche modo, incarna una nuova frontiera della missione, presso popoli lontani dal nostro Paese non solo geograficamente, ma anche culturalmente».

C’è un’immagine, un’istantanea o un volto che si porta a casa da questo viaggio cubano? Un dettaglio che sintetizzi quanto vissuto in questi giorni?

«Devo ammettere che sono molti i fotogrammi di questo viaggio, però vorrei particolarmente ricordare i passaggi e i passaggi geografici. Per me Cuba ha sempre un sapore di esplorazione. Innanzitutto, la città di Baracoa, dove è approdato Cristoforo Colombo e dove noi siamo presenti. È una città di mare molto caratteristica, affascinante anche per lo spettacolo della natura, che qui trionfa con una bellezza imponente. In secondo luogo ci sono le piccole comunità, disseminate nel “campo”, cioè fuori dalla città, a cui si accede attraverso strade e stradine secondarie, in mezzo alla vegetazione lussureggiante. Qui si vede la gente semplice e il servizio dei nostri sacerdoti. Sono le comunità che sorgono attorno a Cabacu, Jamal e Maisì, sulla punta più orientale dell’isola, che dà sull’oceano Atlantico. In terzo luogo, oltrepassata la montagna, ci si affaccia sulla costa del Mar dei Caraibi, dove stanno le due comunità di San Antonio e di Imías. E nei fotogrammi diversi di questi scorci paesaggistici, trovano posto i volti delle persone che in questi quindici anni sto incontrando».

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Paesaggi e volti, dunque. Storie di uomini e donne.

«A Cuba ho sempre incontrato molte persone. Ringrazio Dio per i volti dei bambini e dei giovani, che nei viaggi scorsi non avevo ancora visto, perché non ancora nati o molto piccoli. Poi, i volti di uomini e donne adulti, e di persone anziane: non so quanto sia la durata media della vita a Cuba, però si incontrano tante persone anziane e sui loro volti si vedono i segni di una grande fatica. Come quella di chi ha dovuto strappare alla vita ogni goccia per poter vivere e formare la propria famiglia. Ecco, forse perché ormai sono anziano anche io, i volti di queste persone sono quelli che mi rimangono forti nel cuore. Durante le mie visite, nei loro occhi ho incontrato uno sguardo di attesa. Non tanto di aiuto materiale, ma di speranza. Come se questa nostra storia missionaria venisse percepita come una generosa forza di speranza per tutti».

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Qual è la caratteristica della fede del popolo cubano che più la colpisce?

«Inizialmente, l’aspetto che colpisce maggiormente è quello della devozione. La Virgen de la Caridad, in quanto precisa manifestazione della Vergine Maria, è cara alla coscienza di tutti i cubani: dai più giovani ai più anziani, dai credenti fino ai non credenti. Nel momento in cui si approfondisce l’incontro con questo popolo, emerge un’altra caratteristica: ci si rende conto del serio cammino di formazione della gente attorno agli elementi essenziali della vita cristiana, che vengono percepiti come veri e decisivi. Tale profondità e solidità spirituale è ancora più preziosa considerando come la formazione abbia dovuto tenere conto delle non semplici condizioni di vita. I sacerdoti e gli animatori della comunità giocano un ruolo decisivo in questo. Il riconoscersi nella comunità cattolica è uno degli aspetti che caratterizza questa esperienza di fede del popolo cubano. Mi sembra che questa essenzialità sui punti decisivi, a partire dalla figura di Gesù Cristo, sia la caratteristica che merita di essere riconosciuta e alimentata».

In che modo?

«Come avviene in diverse realtà, tutto questo è alimentato costantemente dalla conoscenza della parola di Dio. È qualcosa di assolutamente desiderato e necessario. L’eucaristia non si può celebrare tutte le domeniche in ogni comunità. Ma in ogni comunità si può ascoltare la

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parola di Dio, che diventa così veramente pane per la fede di questo popolo».

Come Vescovo di Bergamo, quale messaggio è venuto a portare alla Chiesa di Cuba? E la Chiesa di Cuba che cosa dice alla Chiesa di Bergamo?

«Credo che si possa rappresentare il messaggio in termini molto semplici: oggi noi abbiamo bisogno di futuro. Il Papa insiste perché gli anziani si facciano carico della responsabilità di offrire e di aprire un futuro alle generazioni che vengono dopo di loro. E io sento di appartenere a questa categoria, e sento questa responsabilità. Per cui il messaggio di cui sono portatore presso queste comunità è un messaggio che vuole aprire al futuro e nutrire la speranza. Ci sono molte condizioni che hanno la forza di mortificare la speranza: ma la vicinanza, la solidarietà e la comunione che si sono create tra la Chiesa di Bergamo e la Chiesa di Guantanamo-Baracoa vogliono alimentare un futuro di speranza e di gioia. Chiedo veramente a tutta la nostra diocesi di sostenere la credibilità di questa vicinanza nel nome del Vangelo».

E che cosa porta a Bergamo?

«La meraviglia della fede di questa gente. Non è facile credere, oggi, a Cuba. Forse, non è facile credere in nessuna parte del mondo. Ma mi colpisce la meraviglia di questo popolo nei confronti del Vangelo e di ciò che dal Vangelo scaturisce, in modo particolare nella forma della carità e della solidarietà. Sono tutte cose che noi conosciamo da secoli. Sono cose che qui vengono riscoperte e ci riconsegnano il sapore della novità. Ecco, io credo che il messaggio che la nostra diocesi antica può raccogliere dalla giovinezza dell’esperienza cristiana di Cuba è proprio questa: la meraviglia per il Vangelo».

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