Il Vescovo ai pellegrini a Budapest: «L’amore si realizza nel dono di se stessi»

PELLEGRINAGGIO DIOCESANO. La Messa celebrata da monsignor Beschi nella chiesa dedicata a Santa Elisabetta.

Il verbo che ha caratterizzato il quinto giorno di pellegrinaggio diocesano «purtroppo lo diamo tanto per scontato, ma è il verbo più bello: amare. La Parola di Dio oggi ci suggerisce questo verbo, così come lo suggerisce anche la testimonianza di Santa Elisabetta d’Ungheria», ha detto il Vescovo Francesco Beschi ai fedeli durante la Messa di lunedì mattina, 1° luglio, nella chiesa intitolata alla Santa, in cui Papa Francesco nel viaggio apostolico di aprile 2023 ha incontrato i poveri e i rifugiati della città.

Il pellegrinaggio diocesano arriva in Ungheria. Video di www.bergamotv.it

«Santa Elisabetta d’Ungheria è molto conosciuta e popolare anche in Italia, attraverso il Terz’ordine francescano – ha affermato monsignor Beschi –. Come Santa della carità è assimilata molto a San Francesco ed è conosciuta anche per il suo stile di vita. Una donna che vive per breve tempo, una regina che morirà a 24 anni, dedicati tutti ai poveri. C’è un aspetto particolare che vorrei richiamare: il fatto che lei stessa, regina, si fa povera, non è solo un’attenzione ai poveri, ma francescanamente si fa povera per stare vicina ai poveri. Nella sua storia c’è quella tenerezza che Papa Francesco ricorda, la vicinanza ai poveri che passa anche attraverso la scelta di farsi poveri come loro». Lo stesso verbo, amare, è utilizzato dall’apostolo Giovanni nella Prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte». San Giovanni invita poi ad amare non a parole ma «con i fatti e nella verità».

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Da qui ha preso spunto il Vescovo nell’omelia, insistendo su tre delle «infinite rappresentazioni» di questo verbo così importante. «La prima è molto affine alla testimonianza di Santa Elisabetta: amare è aiutare chi è nel bisogno. Il bisogno diventa la circostanza dentro la quale si manifesta il gesto d’amore».

Rientra in questa prima declinazione anche il concetto di «tenerezza», tratto che «Santa Elisabetta rappresenta molto bene». Il suo non è, ha spiegato Beschi, un atteggiamento «sdolcinato», ma consiste piuttosto «nell’avvicinarsi, nel farsi presente e nel toccare la piaga del cuore». Un esempio lampante è quello della pandemia, in cui hanno perso la vita migliaia di persone. In questa tragedia la tenerezza era «la mano che teneva quella della persona alla quale mancava il fiato», ha detto Beschi. Una seconda rappresentazione del verbo «amare» è il dono, «uno dei modi più belli per realizzare l’amore». Il dono della propria persona agli altri è una delle forme più alte dell’amore. «Donare – ha proseguito – dà tanta gioia, ma c’è tanta gioia anche nel ricevere: facciamo il dono di accogliere il dono che ci fanno gli altri».

Amare, infine, «è anche perdonare», ha sottolineato Beschi. «C’è bisogno di giustizia, di verità, di perdono. L’amore si manifesta in un modo a volte eroico nel perdono, è un grande gesto d’amore perché crea, rigenera la vita, sia di chi è perdonato, sia di chi offre il perdono». «In questi giorni – ha commentato monsignor Pasquale Pezzoli, parroco di Santa Caterina – stiamo incontrando molti santi in questa terra, e tra i santi antichi Elisabetta d’Ungheria (nata nel 1207, ndr) risulta una delle figure più vicine alla nostra sensibilità. Figlia di re, si è dedicata alla carità, è morta a 24 anni dopo una vita durissima, interamente spesa per gli altri. Le riflessioni del Vescovo ci hanno aiutato a vivere l’aspetto spirituale in cui stiamo entrando». Il resto della giornata è stato occupato dalla visita della capitale ungherese, la «perla del Danubio», conclusa con un giro in battello.

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