«Il vaccino è la mascherina: usarla sempre
A scuola? Si offrano quelle di stoffa»

Fabiano Di Marco, direttore di Pneumologia al Papa Giovanni: «Proteggerà anche contro l’influenza. E a scuola si offrano quelle di stoffa».

«La mascherina è il più grande gesto di solidarietà e di generosità che possiamo fare: protegge noi dagli altri, protegge gli altri da noi. Usiamola sempre: io la renderei obbligatoria ovunque dai 6 anni in su, in qualunque contesto, anche all’aperto e quando mantenere le distanze è impossibile. Anche perché la distanza, in realtà, è un accorgimento che ha meno importanza della mascherina: se la usiamo tutti, siamo tutti protetti. Così azzeri il virus». Fabiano Di Marco, direttore della Pneumologia dell’ospedale Papa Giovanni, insignito per il suo impegno nella pandemia dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica dal presidente Mattarella, non le manda a dire. Anzi, lancia un’idea.

Mascherine indossate da tutti, dice lei. In piena pandemia non si trovavano, ora sì, ma in tanti, soprattutto nei luoghi di vacanza, le «dimenticano». E i più riottosi a usarle sembrano i giovani. Come andrà con le scuole?

«Sono l’unica vera arma che abbiamo. Un’arma non così difficile da usare: le uniche cose che non si possono fare con la mascherina sono bere e mangiare e baciare, tutto il resto della vita sociale e di relazione non è così impraticabile. Credo che con le scuole aperte non ci saranno grossi problemi, se tutti indossano la mascherina. Tutti e sempre. Anzi, io tra le misure introdurrei anche la distribuzione di mascherine personalizzate, con le iniziali dei nomi degli studenti, di quelle in stoffa e lavabili. Ne distribuirei due, tre a testa. Un gesto di sensibilizzazione e anche un gesto accorto, in tema di risparmio economico e di tutela dell’ambiente. Qualche imprenditore potrebbe anche cimentarsi in una iniziativa simile».

Stiamo rischiando nuovi lockdown?

«Sono in aumento le persone positive al Sars-Cov2, ma devo ribadire che nel nostro ospedale, al Papa Giovanni, non vediamo polmoniti da Sars-Cov2 da tante, parecchie settimane, diciamo almeno due mesi. I positivi, contagiati Covid non sono necessariamente malati: avere il tampone positivo è cosa diversa da avere il Covid, questo dobbiamo ricordarlo. Questa patologia è quasi sempre una patologia respiratoria, quasi sempre parte con una polmonite interstiziale. Ma avere il tampone positivo e nessun sintomo non è essere malati di Covid. Poi, possiamo discutere sulla contagiosità dei positivi, su quanta carica virale ha ognuno, e anche su come può avere contratto il contagio: su questi temi non ci sono certezze assolute».

Quindi i numeri alti non devono spaventare?

«Devono farci mantenere l’assoluta attenzione alle regole per evitare la diffusione dei contagi: il virus c’è, è un agente infettante potente, così come ci sono altre malattie, per esempio la legionella. Il Sars-Cov2 si trasmette con le goccioline di saliva: con la mascherina lo si blocca, è evidente che se la mascherina non la uso metto a rischio me e anche gli altri. Nei luoghi molto affollati, al chiuso, la mascherina va tenuta sempre, è questa che ci aiuta combattere la diffusione del virus, più del distanziamento. Anche perché, per esempio, la trasmissione del virus attraverso il contatto, cioè solo da superfici, è tutto ancora da dimostrare. Attraverso la saliva invece il virus passa eccome. Teniamolo presente, quando arriverà la stagione influenzale».

Ci si protegge anche dall’influenza, con la mascherina.

«Esatto: il vaccino antinfluenzale è una protezione che dobbiamo tutti prendere, in questo particolare momento. In più, la mascherina indossata sempre, quando ci sono altre persone, ci proteggerà anche dalle malattie di stagione. Potremmo assistere, se la usassimo tutti, anche a un calo dei contagi influenzali. È importante».

I giovani rischiano di più e non se ne rendono conto?

«Malati giovani, anche giovanissimi di Covid ci sono sempre stati: un diciottenne ha subito un trapianto di polmone, malato di Covid, e in pieno lockdown. Il fatto è che con la stagione estiva, gli assembramenti nei luoghi di divertimento, nella movida, sulle spiagge, nelle vacanze all’estero, si è abbassata la guardia, non si sono usate le mascherine e il virus si è diffuso. Ci sono tanti giovani positivi perché sono meno attenti alle regole, perché si sono riaperte le discoteche, perché sono stati i meno esposti al virus durante il lockdown. Le persone più avanti di età ora si espongono meno, sono più caute: ma si può essere certi che se si mettono 100 settantenni in un luogo chiuso senza mascherina i contagi si trovano anche tra loro. Sull’uso della mascherina non bisogna abbassare la guardia».

I contagi quindi saliranno ancora?

«La situazione deve essere tenuta sotto strettissimo controllo. Avremo nuovi casi di malati, avremo anche casi gravi. Ma con un servizio epidemiologico più puntuale, con i tracciamenti e soprattutto con un gesto di generosità come quello dell’uso della mascherina, sempre e comunque, potremo scongiurare rischi di lockdown. Alla normalità, dobbiamo convincerci, ci potremo tornare tra un bel po’ di tempo. Non ora, di sicuro».

Siamo attrezzati, non succederà più quello che abbiamo visto a marzo? Cosa non ha funzionato, allora?

«La sorveglianza epidemiologica, all’inizio, non c’è stata. Poi le concause sono tante: eravamo impreparati, lo tsunami ci è arrivato all’improvviso, e violento. Non avevamo tamponi a sufficienza, non c’erano dispositivi di protezione, e tutto questo si è innescato in un territorio, la Lombardia, che ha sempre puntato sull’eccellenza degli ospedali, ma ha lasciato vulnerabile la sanità territoriale. Certo, i primi casi sono stati individuati in Bergamasca intorno al 20 febbraio, all’1 marzo, mi si passi la metafora, i buoi erano già scappati. Si poteva fare meglio, già da gennaio, con le notizie che arrivavano dalla Cina, per esempio attivando una migliore sorveglianza. Se si fosse fatto quello che facciamo già ora nel periodo influenzale, cioè il tampone a chi si presenta al pronto soccorso per verificare se ha una sindrome stagionale, tracciando i casi sospetti subito, ci si sarebbe allertati per tempo, evitando la diffusione con i contagi domestici e i focolai familiari, e quelli ospedalieri e nelle case di riposo. Invece si cercavano i contatti con la Cina, con la chiusura già anticipata delle scuole si pensava di aver adottato un provvedimento utile, ma si era già “fuori mira”. Eravamo in buona compagnia, molti altri Paesi hanno fatto peggio. Direi che l’Italia, la Lombardia, hanno fatto quello che hanno potuto».

Il Papa Giovanni è stato un caposaldo nella battaglia contro il Covid.

«Sì, senza dubbio. Abbiamo saputo quasi azzerare quei numeri da capogiro che si avevano alcuni mesi fa, quando contavamo 80 ricoverati Covid al giorno. Tutti, dai medici agli addetti alle pulizie, hanno saputo dare il proprio contributo per fermare lo tsunami. Per me è stata un’esperienza drammatica, come per tutti, ma anche importante dal punto di vista professionale e umano: ho visto una enorme solidarietà e una grande capacità di impegno lavorativo. Tutti hanno dato il loro meglio. Ora non dobbiamo sprecare questo traguardo».

Un impegno anche nella ricerca.

«L’ospedale Papa Giovanni ha prodotto uno degli studi più importanti al mondo, per le autopsie: ne abbiamo fatte più di 100, con l’Anatomia patologica. E abbiamo capito molte cose di questo virus. La Cina non ci aveva mai rivelato che questo virus causa problemi trombotici che coinvolgono tutti gli organi, non solo i polmoni: lo abbiamo scoperto noi con le autopsie. Ora sappiamo molte più cose, e possiamo curare meglio».

Il vaccino? Arriverà presto?

«Non è facile fare previsioni. Vediamo e sentiamo di alcuni Paesi che stanno abbreviando i tempi sulle approvazioni. Può essere un grande rischio dal punto di vista della sicurezza del vaccino. Dobbiamo aspettare ancora, per un vaccino sicuro. Ora il nostro vaccino è la mascherina: ricordiamo sempre che senza questo dispositivo e senza il lockdown sarebbe andata molto, molto peggio».

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