Il triste primato del carcere di Bergamo: 600 detenuti

IL CASO. Mai così tanti reclusi da quando esistono dati puntuali. Sono 55 i «giovani adulti» tra i 18 e i 24 anni. I cappellani: «In queste condizioni difficile il percorso rieducativo». Gli avvocati: «Servono misure d’emergenza».

Come in una escalation continua, i numeri sono giunti a toccare una soglia che non è solo simbolica. È concreta, perché rappresenta plasticamente le difficoltà che vivono tutti coloro che si trovano oltre quelle mura, oltre quelle sbarre. Il carcere di Bergamo è arrivato – tra lunedì e ieri, secondo i dati ufficiali del ministero della Giustizia – a quota 600 detenuti. Mai così tanti da quando ci sono dati puntuali e anche stando alla memoria di chi da lungo tempo opera in via Gleno. Un record negativo che è andato a peggiorare negli ultimi giorni, ma sull’onda lunga di mesi di costante innalzamento della «pressione»: sabato 8 marzo la casa circondariale ospitava 596 detenuti e aveva già superato il precedente primato di 595 presenze rilevato il 16 dicembre. Solo durante le feste le cifre si erano lievemente attenuate, anche per via dei permessi premio più frequentemente utilizzati a ridosso di Natale; si era scesi attorno ai 560 reclusi, ma ben presto la corsa era ripresa. In sostanza, il penitenziario s’avvicina ormai a ospitare il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare: i posti fissati dal ministero sono infatti 319, ora il tasso di affollamento è balzato al 188,1%.

«Così è tutto più difficile»

Tra chi vive quotidianamente via Gleno, portando una vicinanza preziosa ai detenuti ma anche al personale, ricorre una parola: «Difficoltà». È ciò che il sovraffollamento crea e amplifica, rendendo più complicata la convivenza, le attività, la missione del recupero. Una situazione condivisa con gran parte delle carceri italiane: «Così diventa tutto più difficile – riflette don Dario Acquaroli, uno dei due cappellani di via Gleno –. Questi numeri lasciano una perplessità di fondo: in queste condizioni, le carceri come possono offrire l’opportunità di quel percorso rieducativo che è necessario compiere?. Un sovraffollamento simile non è indice di più sicurezza, ma genera meno sicurezza, perché complica il reinserimento».

I «giovani adulti»

Un fenomeno in crescita, a Bergamo come nel resto d’Italia, in particolare dopo il Decreto Caivano, è la crescita dei «giovani adulti», cioè quei detenuti dai 18 ai 24 anni d’età: in precedenza venivano accolti prevalentemente dagli istituti penali per minorenni, ma la recente stretta normativa ha innescato un «travaso» verso le carceri per adulti.

A Bergamo sono circa 55 i «giovani adulti» presenti. «Molti di loro si portano dietro reati da minorenni e ci si sta interrogando molto su questo passaggio – riflette don Acquaroli – in particolare per far sì che l’esperienza del carcere non diventi una sentenza definitiva per tutta la loro vita, ma possa essere il momento di rilettura del percorso rieducativo». Di «momento difficile» parla anche don Luciano Tengattini, l’altro cappellano del carcere di Bergamo: «Non so come sia possibile gestire situazioni come questa, legata al sovraffollamento, dove la vita diventa invivibile per tutti, anche perché l’organico rimane lo stesso – rileva il sacerdote –. Chiediamo giustamente ai detenuti di rispettare norme e leggi, ma lo Stato dimostra di non farlo».

«La pena diventa castigo e non recupero»

«Il problema del sovraffollamento oramai non è più sostenibile – commenta Valentina Lanfranchi, garante dei detenuti di Bergamo – e crea problemi, oltre che ai detenuti, a tutti i dipendenti, partendo dalla polizia penitenziaria. In queste condizioni è difficile applicare il principio dell’articolo 27 della nostra Costituzione che indica trattamenti che non siano contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato. Così, la pena diventa solo castigo e non recupero».

La Chiesa continua a coltivare l’attenzione per il mondo della giustizia: proprio giovedì 13 marzo, in occasione della sessione primaverile della Conferenza episcopale lombarda, i Vescovi della Lombardia visiteranno la Rems di Castiglione delle Stiviere (Mantova), l’unica struttura sanitaria di questo tipo in regione, dedicata ad accogliere gli autori di reato affetti da disturbi mentali, incontrando il personale e gli ospiti, nell’ambito del Giubileo della Speranza.

Il tema del disagio mentale

Perché anche questo, il disagio mentale, è un elemento critico del sistema carcerario: «I detenuti con problemi psichici e di tossicodipendenza, e molti li hanno entrambi, non devono stare in carcere – commenta l’avvocato Enrico Pelillo, presidente della Camera penale di Bergamo -: servono strutture diverse e idonee dove scontare la pena. Facciamo i conti con un sistema carcere-centrico a cui non si trova soluzione, con un forte ricorso alla custodia cautelare e una forte polarizzazione nell’opinione pubblica».

«In emergenza servono misure di emergenza»

Non è solo questione di diritto, ma anche di razionalità: «Il sovraffollamento è un trattamento inumano, nemmeno il più accanito giustizialista può negarlo – riflette Giulio Marchesi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo, e proprio ieri il Consiglio ha discusso l’avvio di una raccolta fondi per l’acquisto di beni di prima necessità per il carcere –. Le soluzioni sono due: o si aumentano i posti nelle carceri, ma con costi e tempi del tutto incompatibili con una soluzione rapida, oppure serve dare attuazione in maniera importante a provvedimenti legislativi che utilizzino pene di carattere alternativo al carcere, e questa è l’unica soluzione adottabile nell’immediato. Sono problemi che si trascinano da tempo, non è questione solo dell’ultimo governo: siamo in una situazione di emergenza e servono misure di emergenza, benché impopolari». Perché la situazione è drammatica ovunque: a fine febbraio in Italia i detenuti erano 62.165 a fronte di 51.323 posti (tasso di affollamento del 121,1%); la Lombardia contava 8.890 reclusi per 6.148 posti (affollamento del 144,8%).

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