«Il Parkinson non ha spento i miei sogni: pedalo per 10mila chilometri all’anno»

L’IMPRESA . Mauro Ambrosioni, 52 anni, è appena tornato dall’ultima impresa: da Peschiera a Cecina in bici con i «Parkinsognanti».

Mettere da parte le paure e puntare in alto, nonostante Mr. Parkinson: è così che Mauro Ambrosioni, 52 anni, ha deciso di affrontare la malattia, guardando sempre «il bicchiere mezzo pieno». È tornato da poco da un viaggio con l’associazione ParkinsOnMove di 510 chilometri in bici, percorsi in cinque giorni, da Peschiera a Marina di Cecina, in Toscana, con un gruppo di una trentina di persone fra volontari e parkinsoniani. I membri di questo gruppo si definiscono «Parkinsognanti», perché, come dice Mauro «hanno scelto di far volare i sogni, e di mostrare a tutti che la vita è bella e vale la pena di viverla pienamente, fino in fondo, con più sport e meno divano».

Una storia di famiglia

Mauro è originario di Chignolo d’Isola, vive a Verdello con la sua famiglia e lavora come cuoco in una mensa aziendale. «I miei turni – osserva – mi lasciano un po’ di tempo libero da dedicare allo sport, che è una mia grande passione, viene subito dopo la cucina».

I membri di questo gruppo si definiscono «Parkinsognanti», perché, come dice Mauro «hanno scelto di far volare i sogni, e di mostrare a tutti che la vita è bella e vale la pena di viverla pienamente, fino in fondo, con più sport e meno divano»

Per molti anni Mauro si è dedicato all’atletica: «Mi piaceva molto correre, ma durante la preparazione di una maratona ho avuto problemi alle ginocchia, ho dovuto sottopormi a un intervento chirurgico, e in seguito i medici mi hanno consigliato di cambiare disciplina. Così, 11 anni fa, ho iniziato ad andare in bicicletta. Da quel momento ho pedalato per quasi diecimila chilometri all’anno, allenandomi in modo costante per quattro giorni alla settimana. Mi sono fermato solo per un breve periodo nel 2022 a causa di un problema alla cervicale». Pronto a pedalare con qualunque condizione climatica, Mauro per vent’anni ha insegnato «spinning», un esercizio che si svolge su un particolare tipo di cyclette in palestra a ritmo di musica.

Ha esplorato in lungo e in largo la Bergamasca, scegliendo percorsi in pianura, collina e montagna, ha partecipato ad alcune Granfondo, ma il viaggio con «ParkinsOnMove» è il primo su una distanza così lunga, per più giorni consecutivi: una sfida con se stesso, per superare la sua zona di confort e i suoi limiti.

La diagnosi è arrivata tre anni fa, ma questa malattia è stata sempre presente, come un rumore di fondo, nella vita di Mauro: «Mia madre si era ammalata di Parkinson quando aveva 54 anni, tre più di me oggi. Allora io avevo circa 12 anni, e non mi ero reso conto subito pienamente di cosa stesse succedendo. Ricordo però che a quell’età lei mi sembrava già anziana. Quando ho comunicato ai miei fratelli che anch’io avevo la stessa patologia, la notizia ha scatenato agitazione in famiglia, perché diventare caregiver di nostra madre non è stata un’esperienza facile e piacevole. Ho spiegato, però, che la situazione oggi è diversa, io sono ancora in buone condizioni fisiche per essere sempre stato molto sportivo e questo mi mette in una posizione migliore, anche se purtroppo dal Parkinson non si può guarire. Semplicemente penso che sia meglio affrontare la situazione con atteggiamento positivo, senza subire o lasciarsi disarmare dalla malattia: abbattersi non serve, bisogna reagire».

Il tatuaggio

Si è accorto per la prima volta di un segnale sospetto durante un’uscita in bicicletta: «Faticavo a indossare il guanto sinistro, mi sentivo impacciato a muovere la mano e la spalla, così mi sono rivolto al medico di base e ho iniziato la trafila dei controlli, con una radiografia e una visita dal fisiatra, che è stato il primo a intuire che poteva trattarsi di Parkinson in base ad alcuni semplici test». Poi Mauro ha approfondito rivolgendosi a un neurologo e sottoponendosi a risonanza

magnetica e tomoscintigrafia cerebrale con dat-scan. A quel punto i suoi sintomi sono stati riconosciuti e ricollocati in un ambito ben preciso. La sua reazione è stata un po’ insolita: Mauro si è tatuato sul polpaccio un ciclista con la tuta spaziale e alle sue spalle lo sfondo di Città Alta, con i colori della sua squadra del cuore, l’Atalanta. «L’ho fatto per ricordare a me stesso e agli altri che il Parkinson dà difficoltà di movimento, ma lascia spiragli di resistenza, permette di guardare avanti e non impedisce del tutto nessuna attività. Per conviverci in modo positivo bisogna accettarlo e portarlo con sé».

Il viaggio in Toscana

Con questo spirito, e con il desiderio di smantellare alcuni stereotipi diffusi su questa malattia, ha partecipato al viaggio in Toscana con i compagni d’avventura «Parkinsognanti»: «Avevamo tutti la compagnia scomoda di Mr. Parkinson, che tentava di sabotarci. Io ho avuto la diagnosi tre anni fa, ma c’era anche chi aveva una storia di malattia molto più lunga e maggiori problemi di mobilità e rigidità muscolare, ma ce l’ha fatta comunque. Tutti ci hanno messo il cuore, e hanno raggiunto traguardi inaspettati. Tra loro c’era chi faceva più fatica a camminare che a pedalare.

Mauro ha scoperto la malattia nel 2021, ma ricostruendo la sua storia si è poi convinto che lo accompagnasse da più tempo: «Mi sono detto che tutto sommato poteva andare peggio, mi ha aiutato molto il sostegno di familiari e amici. Non è stato facile: le prime immagini che ha trovato mio figlio diciottenne cercando la parola “Parkinson” su YouTube non erano rassicuranti. Ha visto per esempio gli effetti della malattia sull’attore Michael J. Fox, tanti anni fa protagonista atletico di “Ritorno al futuro”, oggi molto compromesso, con grossi problemi di mobilità». Le difficoltà ci sono, Mauro però cerca di sdrammatizzarle, senza mai perdere il sorriso: «Mi pesa un po’ saltare la colazione al mattino, perché devo prendere un farmaco a digiuno proprio alla stessa ora in cui devo iniziare a lavorare. Per il resto, però, ho cercato di esercitare nel modo migliore il mio spirito di adattamento. Certamente qualche volta mi accorgo di una stanchezza insolita, particolarmente accentuata, ma mi impongo di fare comunque tutto ciò che facevo prima di scoprire la malattia, e finora ci sono sempre riuscito».

«Ho cercato di esercitare nel modo migliore il mio spirito di adattamento. Certamente qualche volta mi accorgo di una stanchezza insolita, particolarmente accentuata, ma mi impongo di fare comunque tutto ciò che facevo prima di scoprire la malattia, e finora ci sono sempre riuscito»

Quando ha scoperto di avere la malattia di Parkinson Mauro non si è ripiegato su se stesso come a volte accade, ma si è guardato intorno con curiosità e spirito d’iniziativa, mettendosi in contatto con associazioni e gruppi di persone con la stessa patologia: «A un certo punto abbiamo formato un gruppo con altri giovani Parkinsoniani, e insieme abbiamo deciso di fondare l’associazione ParkinsOnMove (www.parkinsonmove.org), per rispondere nel modo migliore alle nostre esigenze: condurre una vita attiva e piena, svolgere insieme diverse attività, intraprendere azioni di sensibilizzazione, per smontare gli stereotipi. Ci intendiamo bene tra di noi, chi non sperimenta la malattia non la comprende così profondamente».

Hanno promosso tante iniziative in poco tempo: «C’è stato un viaggio di cinque giorni con percorsi di trekking, poi la realizzazione di un libro con storie di sedici donne e un uomo con Parkinson, tante attività sportive. Il giro dei Parkinsognanti in bicicletta continuerà; l’anno prossimo c’è il progetto di arrivare fino a Paestum, l’anno successivo in Calabria e in seguito l’ultima tappa in Sicilia. È una sfida sportiva, un modo per stare insieme, ma anche per conoscere luoghi e persone, instaurare collaborazioni, creare occasioni di sensibilizzazione. Ci siamo iscritti a Parkinson Italia, rete nazionale delle associazioni delle persone con Parkinson, familiari e caregiver, siamo aperti e disponibili a nuovi contatti».

Sport è vita

L’associazione collabora con il Policlinico San Marco di Zingonia, con il dottor Fabrizio Pisano, neurologo e responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Neurologica, che tiene monitorati gli effetti benefici dello sport sulla malattia. «Nel giro di poco tempo – osserva Mauro – i soci sono cresciuti, da 22 siamo diventati 100, sparsi in tutta Italia. Ho incontrato persone brillanti e intraprendenti, che si distinguono in tanti ambiti diversi».

«Chi stava meglio accompagnava i più vulnerabili, non abbiamo lasciato indietro nessuno. Mi ha colpito ed emozionato sentirmi parte di qualcosa che abbiamo costruito insieme»

Il viaggio ha rappresentato un’occasione preziosa per crescere umanamente, recuperare slancio e buon umore e migliorare la consapevolezza dei propri mezzi e limiti: «Mi sono piaciuti gli abbracci – dice Mauro –, la condivisione totale che si è creata con persone di diverse età e provenienze, gli autisti che ci aspettavano con un sorriso enorme, la soddisfazione di affrontare salite paurose, la fatica, le risate. E ancora la disponibilità ad affrontare gli imprevisti, che in un viaggio come questo possono sempre capitare compresa qualche caduta e foratura, perché quando si parte in bici bisogna tenerne conto, anche senza avere il Parkinson come ospite sgradito. Chi stava meglio accompagnava i più vulnerabili, non abbiamo lasciato indietro nessuno. Mi ha colpito ed emozionato sentirmi parte di qualcosa che abbiamo costruito insieme».

Le salite del viaggio

Hanno affrontato grandi salite e condizioni climatiche a volte molto sfidanti: «Abbiamo pedalato con un caldo assurdo, ma alla fine ci siamo riusciti comunque. Eravamo così concentrati sulla bici che qualcuno ha pedalato indossando due paia di occhiali da sole e qualcuno è rimasto senza, ma l’amicizia e la solidarietà tra noi hanno fatto la differenza».

Mauro si è riportato a casa una bella carica di energia: «Poco dopo il ritorno sono andato a fare una camminata di dieci chilometri, perché non ho accusato un’eccessiva stanchezza. Mi sono accorto che da quando ho scoperto di essere malato dedico allo sport più tempo di prima, e a volte lo uso come terapia: quando avverto qualche difficoltà di movimento vado a fare un giro in bici, e al ritorno mi sento meglio. Noto che è una sensazione comune anche ad altri: lo sport ci fa sentire vivi, ci aiuta a scrollarci di dosso negatività e pigrizia, passiamo meno tempo sul divano».

Ha imparato a convivere con una situazione di incertezza, che contiene comunque semi di speranza: «Vivo intensamente il presente, senza pensare troppo al futuro, assaporando anche le piccole cose. In fondo la ricerca potrebbe sempre portare una cura».

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