Il ministro della Sanità: «Indegna la chiusura delle agende. Le Asl vigilino sulle strutture»

L’INTERVISTA. Parla il ministro Orazio Schillaci: così si «indirizza illegalmente il paziente verso attività a pagamento». È ora di dire basta alle misure tampone: «Se continuiamo con i rattoppi non risolveremo mai i problemi che abbiamo. Serve una vera programmazione».

Il percorso sembra essere ancora lungo e certo non privo di intoppi, ma Orazio Schillaci, il ministro della Salute da tempo al centro delle polemiche dell’opposizione che lo accusa di aver tagliato i finanziamenti destinati al Fondo sanitario, sembra avere le spalle larghe e sceglie di andare dritto per la propria strada, sicuro che i correttivi che sta pian piano introducendo al funzionamento del Servizio sanitario nazionale daranno i frutti sperati. Alla polemica politica - nell’intervista che segue, gentilmente concessaci per «mitigare» l’impossibilità a partecipare oggi (sabato 26 ottobre) al convegno del «Papa Giovanni» per ricordare i cent’anni del cardiochirurgo Lucio Parenzan - concede assai poco, liquidando con un aggettivo perentorio - «macchiettistico» - l’atteggiamento di chi ora muove critiche al governo sulla gestione della Sanità quando fino a due anni fa «non ha mai pensato al futuro, ma solo alle convenienze del momento». Alcune certezze, comunque, le dà: nessun taglio alla sanità e «avanti» con la riorganizzazione del Sistema. Con una tirata d’orecchi alle Asl, «che devono vigilare sulle strutture per evitare la pratica indegna della chiusura delle liste d’attesa che a volte indirizza illegalmente il paziente verso attività a pagamento».

Partiamo dalla manovra finanziaria. Alla fine, rispetto al rapporto in percentuale tra Fondo Sanitario e Prodotto interno lordo, il Governo stanzierà di più per la Sanità, stanzierà di meno, o stanzierà di più rispetto a qualche parametro e di meno rispetto a qualche altro parametro?

«Il paradosso che sto affrontando da quando è iniziato il mio mandato è che il dibattito è sempre incentrato su quantità di fondi e non su qualità della spesa. Le posso dare una certezza, non ci sono tagli e soprattutto continuerà il nostro impegno per sostenere la riorganizzazione dei Sistemi regionali».

I medici hanno proclamato uno sciopero per il prossimo 20 novembre. Una protesta giustificata? Alla fine quanto avranno in più in busta paga?

«Ricopro l’incarico di ministro, ma sono innanzitutto un medico e da subito ho allargato lo sguardo verso un sistema che è stato molto carente nella formazione di nuovi specialisti, nella programmazione delle assunzioni e nella valorizzazione del personale ospedaliero pubblico, sia dal punto di vista economico sia di qualità della vita lavorativa. Invertire la tendenza e rimarginare le ferite del passato sono azioni che hanno bisogno di tempo. Personalmente preferisco il confronto pragmatico sulle risorse disponibili agli slogan, che sono il sintomo di un malessere che va affrontato tenendo le ideologie fuori dagli ambulatori».

Sembra di capire che i fondi destinati alla Sanità saranno utilizzati per il rinnovo dei contratti, ma non saranno sufficienti per assumere medici e infermieri, come invece era stato detto in un primo tempo. È così?

«Il testo è stato appena presentato in Parlamento. Non stiamo facendo mancare l’impegno per trovare soluzioni sempre a sostegno del Servizio sanitario nazionale».

Quello della lunghezza delle liste d’attesa sembra essere un problema irrisolvibile. Ha davvero così senso cercare di venire a capo di un problema di questa portata investendo «solo» dei soldi? Non sarebbe meglio inserire anche il criterio dell’appropriatezza prescrittiva, rivedendo il Sistema nel suo complesso? In base all’appropriatezza, il Sistema garantirebbe una serie di servizi, che al contrario non sarebbero invece garantiti e finirebbero a carico del paziente, o presunto tale. Potrebbe funzionare?

«L’abbattimento delle liste d’attesa è la nostra battaglia principale. È un fenomeno complesso che parte dall’attenzione prescrittiva, per evitare esami inutili, che passa dalla gestione delle prenotazioni e soprattutto dalla gestione delle Aziende sanitarie. Stiamo lavorando con le associazioni professionali e con l’Istituto Superiore di Sanità per definire protocolli chiari a vantaggio dei pazienti, del buon operato dei medici di base e che riducano le spese inutili a carico del Servizio sanitario nazionale».

Anche la carenza di medici e infermieri sembra un problema irrisolvibile. Il Governo ha stanziato e stanzierà altri fondi in proposito, e dal 2025 potrebbe non esserci più il test d’ingresso per iscriversi alla Facoltà di Medicina. È la strada giusta? La soluzione non potrebbe passare anche da una miglior formazione? Anni fa, in Lombardia, per risolvere la carenza di infermieri, si consentì alle aziende ospedaliere di aprire specifiche scuole di formazione, destinando anche a chi le frequentava (facendo già pratica in ospedale) un contributo economico. Non si potrebbe ripetere questa esperienza?

«Me lo faccia dire ancora una volta: se continuiamo con misure tampone, scorciatoie emergenziali o altri rattoppi non risolveremo mai i problemi che abbiamo. Serve programmare e incentivare le specialità di cui siamo carenti e l’attenzione va soprattutto sugli infermieri che non sono sufficienti in tutta Europa. È davvero macchiettistico ricevere critiche roboanti proprio da chi non ha mai pensato al futuro, ma solo alle convenienze del momento».

Secondo i dati della sorveglianza Passi d’argento dell’Istituto Superiore di Sanità, quasi un anziano su quattro tra coloro che ne hanno bisogno ha rinunciato a curarsi per via di liste d’attesa troppo lunghe, difficoltà logistiche a raggiungere i presidi o costi elevati delle cure. Non è un problema serio per un Paese come il nostro destinato ad essere un Paese di vecchi (e in parte già lo è)?

«Il problema è più che serio. La soluzione è nell’organizzazione delle Asl (Aziende sanitarie locali) che non devono chiudere le liste, ma prendere in carico il paziente individuando la sede e la data più vicine possibili nel rispetto dei tempi richiesti dal medico di medicina generale. La soluzione è negli assessorati regionali e nelle Aziende sanitarie locali, che devono programmare le attività in base al numero delle richieste che provengono dai cittadini. La soluzione è nelle direzioni generali delle Aziende sanitarie locali che devono vigilare sulle strutture per evitare la pratica indegna della chiusura delle liste d’attesa (le “agende” che mettono a disposizione dei cittadini le date per prenotare visite ed esami - n.d.r.) che a volte indirizza illegalmente il paziente verso attività a pagamento. La soluzione è negli investimenti in case di comunità e in servizi di telemedicina. Non pensi a rimedi da libro dei sogni, le basta leggere i testi delle norme che stiamo approvando seguendo una precisa visione a sostegno della sanità pubblica».

Anche in Lombardia la Medicina territoriale è insufficiente. Davvero non è possibile rimettere al centro il territorio facendo saltare rapporti di forza oggi non più proponibili? In Lombardia le cure primarie da pochi mesi sono state messe in carico alle aziende socio sanitarie, la cui missione, da sempre, è tutt’altra. Non c’era qualche idea migliore?

«L’ho detto più volte: dobbiamo tornare al rapporto stretto fra il medico e i suoi pazienti. Nel tempo la distanza è aumentata ma curare è un verbo che non limita alla prescrizione ma richiede l’ascolto, la presa in carico e il sostegno di stili di vita corretti. Curare parte da una organizzazione efficiente ma non può prescindere dall’umanità del trattamento. Con gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stiamo proprio mettendo al centro il territorio. Le case di comunità dovranno essere un punto di riferimento per la presa in carico multidimensionale dei pazienti attraverso équipe specialistiche e il ruolo cruciale dei medici di famiglia. Oggi invece il cittadino anche per bisogni di salute non gravi sul Pronto soccorso, con le conseguenze di sovraffollamento e lunghi tempi di attesa che conosciamo».

Lei ha messo a disposizione della ricerca sanitaria un bando da 150 milioni, puntando soprattutto sui giovani. Una gran bella scelta. Che obiettivo si prefigge?

«La ricerca è l’ossigeno dell’innovazione. Sostenendola otteniamo molteplici benefici, dall’investimento nella crescita dei giovani alla ideazione di nuove terapie per il benessere delle persone. Se oggi viviamo di più e meglio è proprio grazie a chi nel passato ha cercato soluzioni per un futuro migliore».

Se l’autonomia differenziata diventasse realtà, come cambierebbe la Sanità italiana? Andrebbe a due o più velocità?

«L’autonomia regionale del Servizio sanitario nazionale è stata decisa molti anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione. Le velocità diverse già sussistono e sono in gran parte riferibili a cattiva gestione delle risorse, umane e finanziarie. Dobbiamo lavorare perché il progetto politico dell’autonomia differenziata sia l’occasione per eliminare le differenze e perché tutte le Regioni garantiscano a tutti i cittadini i livelli essenziali di assistenza».

Per una concomitanza di impegni lei oggi (sabato 26 ottobre ndr) non potrà essere a Bergamo per ricordare la straordinaria figura del professor Lucio Parenzan. Che ruolo ha avuto e che ruolo hanno figure simili nello sviluppo della nostra miglior sanità?

«La figura del Professor Lucio Parenzan ha segnato una tappa fondamentale nella storia della sanità italiana e internazionale. Pioniere della cardiochirurgía pediatrica, ha rivoluzionato le cure per i bambini con gravi patologie cardiache, salvando migliaia di vite e formando intere generazioni di medici. La sua eredità va ben oltre le sale operatorie: ha lasciato un esempio di dedizione, visione e innovazione che ancora oggi ispira la nostra sanità. Professionisti come lui sono essenziali per il progresso del nostro sistema sanitario, poiché incarnano l’eccellenza e la capacità di affrontare le sfide con competenza e umanità».

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