Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 18 Agosto 2021
Il grido d’allarme: «Rsa in ginocchio, conti in rosso e senza ristori»
Le case di riposo di ispirazione cattolica in difficoltà: «Le delibere regionali ci hanno penalizzato, aspettiamo 18 milioni di euro».
Da mesi - inascoltate - denunciano una situazione non più sostenibile. E il grido d’allarme corale si fa più forte ora: con la chiusura dei Bilanci 2020 è evidente nero su bianco che i conti non tornano. Le case di riposo bergamasche sono in ginocchio. Scontano i mancati ingressi di nuovi ospiti durante la prima ondata della pandemia e l’obbligo, tuttora in vigore, di tenere dei posti liberi (uno ogni venti) per isolare gli eventuali casi Covid. Senza contare la carenza di infermieri e le liste d’attesa che ricominciano ad allungarsi. Riparte così il pressing degli addetti ai lavori sulle istituzioni «per richiamare una doverosa attenzione». L’appello è soprattutto rivolto alla Regione, «debitrice» a loro dire, di ristori mai arrivati.
I bilanci
Il momento è delicato in particolare per le Rsa di ispirazione cattolica. «Il nostro obiettivo non è fare utile che comunque, se c’è, viene reinvestito nel miglioramento della qualità del servizio – fanno notare i responsabili delle residenze sanitarie assistenziali –, ma così anche il pareggio è diventato un miraggio». Le perdite ci sono per tutte le strutture, piccole e grandi, vanno dal centinaia di migliaia di euro al milione. Un colpo durissimo per una trentina di case di riposo radicate sui territori, per 3 mila posti letto, circa la metà di tutta la disponibilità provinciale (che conta 65 Rsa e 6.200 posti letto accreditati da Ats). «Avanti così, per non chiudere saremo costretti a ritoccare le rette, ma non è giusto che a pagare siano di nuovo le famiglie, già gravate dal periodo difficile», dicono da ogni angolo della provincia.
Il contesto
A inquadrare la situazione Barbara Manzoni, presidente dell’Associazione San Giuseppe che raggruppa le Rsa di ispirazione cattolica. «Con la chiusura dei Bilanci 2020, la drammaticità contabile emerge in tutta la sua evidenza – conferma –: tutte le nostre Rsa chiudono in perdita». È il risultato, secondo Manzoni, dell’applicazione di due delibere regionali: «Quella dell’8 marzo 2020 che, a causa della pandemia, ha impedito nuovi ricoveri. E quella successiva che impone di tenere dei posti liberi d’emergenza per i focolai». Provvedimenti che hanno generato «un danno economico di 18 milioni di euro per le 65 Rsa bergamasche». Manzoni (con Cesare Maffeis, alla guida dell’Associazione case di riposo bergamasche) ha portato in Regione la richiesta di sostegno. «Ma senza risposte. E senza aiuti non possiamo andare avanti e finiremo per chiudere. In alternativa saremo costretti ad alzare le rette, sarà una scelta obbligata per stare in piedi – ammette Manzoni –. Ma dispiace molto, non possiamo spremere di nuovo le famiglie che, insieme agli ospiti, sono il nostro stakeholder più importante».
Le testimonianze
Tra i primi a segnalare le difficoltà don Gianluca Brescianini, parroco di San Pellegrino e presidente della casa di riposo «Oasi». «Con la situazione Covid e l’obbligatorietà di riservare tre stanze per l’emergenza contagi (che riduce la disponibilità di posti letto da 44 a 41, con conseguenti mancati ricavi) – spiega –, la voragine economica si sta allargando sempre di più. L’anno scorso abbiamo avuto un “buco” di circa 100 mila euro e quest’anno viaggiamo sulla stessa cifra».
Per sopravvivere, il vicolo è cieco: «Stiamo pensando di incrementare le rette, già ritoccate un paio di anni fa». L’appello è quindi «che la Regione ci sostenga, mostrando sensibilità per dei servizi di prossimità fondamentali. Non possiamo permettere che si spengano le nostre piccole case di cura, carezze sui nostri territori». Preoccupazioni condivise anche da Enrico Madona, direttore generale della Rsa Fondazione Piccinelli di Scanzorosciate. «La Regione ha garantito il suo budget per la parte di retta che le spetta – precisa –, quello che è mancato è la quota in capo ai privati, perché da marzo a luglio 2020 per le Rsa c’è stato l’obbligo di non inserire nuovi ospiti». Il che ha significato, per sette mesi «lasciare vuoti 80 posti letto sui 210 disponibili, con la perdita di un terzo del fatturato». Entrate tagliate a fronte di uscite lievitate «per i costi dei dispositivi di protezione individuale, le sanificazioni. Prima dei numeri ci interessa la sicurezza, anche se le conseguenze economiche dei protocolli da rispettare non sono banali», fa notare Madona. Il risultato, anche qui, «è un Bilancio 2020 disastroso», non usa giri di parole. Lentamente si sta tornando a un’occupazione dei posti a pieno regime: «Mantenendo comunque un posto vuoto ogni venti, come impone la regola. Posti vuoti che costano tanto quanto i pieni, ma senza ricavi». Le rette sono già state «ritoccate leggermente a gennaio, quando le perdite erano già evidenti prima di chiudere il Bilancio 2020». Ma le riflessioni su nuovi adeguamenti sono in corso: «Quando avremo meglio presente la situazione economica di quest’anno – annuncia il direttore – valuteremo quanto chiedere alle famiglie, cercando di andare loro incontro con rette calmierate, come abbiamo sempre fatto. Per capire la differenza, da noi si va dai 62 ai 70 euro giornalieri, mentre in una casa privata a 5 chilometri di distanza si va dagli 80 ai 100».
Spostandosi a Dalmine, alla Rsa Fondazione San Giuseppe che conta 119 ospiti, le valutazioni non cambiano molto. «Nel Bilancio 2020 abbiamo perso 160 mila euro – fa il punto il consigliere d’amministrazione Giuseppe Locatelli –. Contiamo di metterci alla pari quest’anno, ma certo gli interventi di miglioramento che avevamo programmato (lavori dalle cucine agli spogliatoi), già progettati e in fase di appalto, non si sa quando potranno iniziare». Anche qui si sconta il «peso» dei 5 posti letto lasciati liberi per il rispetto della norma regionale: «Prima stavamo in piedi perché avevamo il 99,8% dei posti occupati. Ora, con i mancati ricavi e senza i ristori della Regione, si fa fatica».
Dalla provincia alla città il quadro non è roseo. «Il Bilancio 2020 è in grandissima sofferenza senza i ristori dalla Regione che aspettavamo. Le richieste erano chiare: ristorare 10 euro al giorno per ogni ospite per coprire il disavanzo 2020 e pagare, come se fossero occupati, i posti che siamo obbligati a tenere vuoti», conferma Edoardo Manzoni, direttore dell’Istituto Palazzolo, che tra Bergamo e Torre Boldone ospita 185 persone. Dai numeri non si fugge: «Il danno per il 2020 è di 700 mila euro, senza contare quello che continuiamo a perdere, circa 20 mila euro al mese per i posti tenuti vuoti», è il rendiconto. Agosto sarà il mese della resa dei conti per quanto riguarda le rette. «Se la Regione non interviene, decideremo come agire di concerto anche con le altre case di riposo. La situazione è assolutamente non più sostenibile», è tranchant Manzoni.
Infermieri e liste d’attesa
Le Rsa, quindi, sono strette tra la voglia di ripartire (con le liste d’attesa che iniziano a rimpolparsi di nuovo) e la scia di problemi da affrontare, non ultima la carenza di infermieri, «in fuga» verso gli ospedali. «L’obiettivo è creare una sinergia con le Asst per consentire agli infermieri la libera professione con la possibilità di fare qualche ora nelle Rsa», accenna la strada intrapresa Barbara Manzoni, riconoscendo «l’enorme rete di solidarietà che si è creata tra le Rsa e i lavoratori». Tutto questo mentre la «fame» di Rsa sul territorio torna a crescere. «Per una persona dentro ce ne sono almeno due che bussano alla porta e aspettano di entrare. Dalmine è anche una zona popolosa», spiega Giuseppe Locatelli. «Le liste d’attesa si sono ridotte: prima del Covid le persone in attesa erano 400, ora sono 100; così come i tempi d’inserimento, passati da 12 a 4 mesi. Il bisogno però c’è», rileva Enrico Madona. Con Edoardo Manzoni che auspica: «Nella riforma sanitaria lombarda ci auguriamo che la presenza delle Rsa sul territorio venga riconosciuta e valorizzata. Noi abbiamo dato a tutti assoluta disponibilità a lavorare su questo».
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