Il Giubileo: «È il dono ad alimentare la speranza»

La celebrazione giubilare. Oltre 250 sacerdoti insieme al Vescovo per una mattinata di preghiera e testimonianze. Monsignor Beschi ha ricordato le parole del Papa: «Per ricevere il divino dobbiamo costruire una “casa degli ospiti”».

Un incontro di preghiera, fraternità, speranza. Oltre 250 preti si sono ritrovati in Città Alta con il Vescovo Francesco Beschi per il ritiro di Quaresima, seguito dalla celebrazione giubilare. Nel Seminario vescovile si è svolta una mattinata di formazione e meditazione guidata da Fra’ Andrea Cova (dei cappuccini di Borgo Palazzo), Fra’ Angelo Preda (priore dei Domenicani) e monsignor Leone Lussana, a cui sono seguite le confessioni. I preti si sono spostati poi in cammino orante verso la cattedrale. Prima della celebrazione giubilare hanno sostato al battistero per la professione di fede e aspersione.

Lettere di speranza dei sacerdoti

In cattedrale tre sacerdoti hanno presentato le loro «lettere di speranza»: don Gabriele Mazzoleni, curato di Redona, don Massimo Cornelli, parroco di Casnigo, don Giuseppe Turani, vicario interparrocchiale a Nembro. Diversi per età e per servizio pastorale, hanno evidenziato alcuni aspetti della loro vita e missione. Don Cornelli è partito dalla sua esperienza di missionario in Costa d’Avorio, dove è tornato di recente con un gruppo di parrocchiani in occasione dei 50 anni della missione diocesana: ha raccontato la storia di coraggio e resilienza di una donna accolta nella missione di Agnibilekrou dopo essere diventata cieca a causa di un incidente. Una giovane che con tenacia e determinazione è riuscita ad affrontare le difficoltà e i forti pregiudizi delle persone nei confronti della disabilità, per continuare con la sua vita, tanto da diventare mamma di una bimba che oggi ha tre anni, manifesta una spiccata autonomia e con piccoli gesti è già capace di aiutare la madre, portandole per esempio il bastone e le ciabatte.

Ha ricordato anche l’esempio di un a nimatore del Cre che si è preso a cuore un bambino con la sindrome di Down con semplici e quotidiani gesti di cura. «Ho scelto questi due semplici episodi per parlare di speranza, perché la speranza è giovane. Il nostro impegno, nelle nostre comunità che sempre più invecchiano, deve essere rivolto ai giovani. I giovani ci ricordano e ci dicono che se trovano la giusta considerazione e i giusti spazi sono capaci di cose grandi».

«Ho scelto questi due semplici episodi per parlare di speranza, perché la speranza è giovane. Il nostro impegno, nelle nostre comunità che sempre più invecchiano, deve essere rivolto ai giovani. I giovani ci ricordano e ci dicono che se trovano la giusta considerazione e i giusti spazi sono capaci di cose grandi»

Don Mazzoleni si è concentrato nel suo intervento sulla fraternità, l’ascolto, l’impegno che caratterizzano la vita dei sacerdoti: «Siamo un dono gli uni per gli altri», ha sottolineato. «Come giovane amo e sogno la Chiesa mite - ha aggiunto -, dove la mitezza non ha a che fare con la rassegnazione, la delusione, la debolezza, ma con la forza, con la lotta; la lotta contro ogni possessività, una lotta interiore per diventare liberi e rispettosi dell’altrui libertà. È lotta contro ogni forma di egoismo ed individualismo, aprendo a quella sapienza del vivere che sa leggere, proprio nelle trame ferite e frastagliate della vita, lo spazio proprio della speranza. Amo e sogno una Chiesa che lotta per la libertà dalla paura; dalla paura del giudizio, dalla paura della condanna, dalla paura della diversità, dalla paura della morte. La paura che porta gli uomini a costruire muri e ad armarsi fisicamente, simbolicamente e psicologicamente, serbando nel cuore la consapevolezza che l’Amore vince e la fiducia nella vita ha più ragioni di quante ne possa avere la paura». Don Giuseppe Turani, infine, ha parlato della necessità di guardare lontano e di restare aperti al cambiamento: «È vero: lo scoraggiamento, lo smarrimento e il pessimismo alcune volte ci assalgono e non si intravede quale presenza presbiterale è richiesta oggi, in quali nuovi cammini pastorali può condurci la speranza».

L’accoglienza incondizionata

Ha sottolineato l’importanza di concentrarsi sull’ascolto della Parola, la celebrazione dell’eucarestia, la collaborazione con i laici nell’azione pastorale: «Apriamoci alle novità nella chiesa, nella pastorale, nella liturgia, nell’evangelizzazione, nella carità, cerchiamo cammini pastorali non più ripetitivi e rivolti al passato, ma che corrispondano all’oggi, all’uomo moderno che sembra assente al richiamo divino, ma che invece è assetato di spiritualità». Monsignor Beschi ha ricordato in chiusura che solo «il dono e dunque il perdono alimentano una speranza affidabile. L’accoglienza incondizionata del dono genera la speranza. Come dice Papa Francesco: per ricevere il divino dobbiamo costruire una “casa degli ospiti”».

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