I nuovi «bergamini» arrivano dall’India. «Sono oltre mille, però poco considerati»

L’INDAGINE. Nelle aziende lattiero casearie della Bassa un lavoratore straniero su due è originario del Punjab. La Cisl: hanno risposto alla crescente richiesta e alla scarsa offerta locale di manodopera del latte, l’oro bianco

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A fine Ottocento arrivavano con le loro mandrie dalle valli bergamasche e si stanziavano nella Bassa, dove qualcuno si è fermato e ha dato origine a quelli che oggi sono caseifici ben rodati e spesso gestiti dai suoi discendenti. Oggi invece i «bergamini» che lavorano nelle imprese lattiero casearie della nostra pianura arrivano ben più da lontano, e senza capi di bestiame: dal Punjab precisamente, una regione dell’India. Attualmente gli indiani di religione sikh impiegati nel settore sono più di mille – precisamente 1.174 – e rappresentano la metà dei lavoratori stranieri dell’ambito agricolo, in tutto 2.154 e a loro volta la metà del totale dei lavoratori di questo ambito nella Bergamasca che sono in tutto 4.305.

L’indagine della Cisl

Dati che emergono da una dettagliata indagine effettuata dalla Cisl provinciale e presentata ieri. Si chiama «Made in Immigritaly» ed è un «rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare» che si basa, oltre che sui dati oggettivi, per quanto riguarda l’ambito lattiero caseario nella Bassa, anche su interviste effettuate nei pressi dei templi sikh in Lombardia, punto di riferimento per questa comunità che – conclude la ricerca – ha «risposto a una sfasatura tra una crescente richiesta di manodopera e una ridotta offerta locale».

Il settore della produzione del latte

Il settore della produzione e commercializzazione del latte in Italia, con 24.515 allevamenti, produce oggi un fatturato pari a 17,9 miliardi di euro: motivo per cui il latte è definito «oro bianco», «soprattutto in riferimento – si legge nell’indagine – ad alcune aree agricole della Lombardia», regione che produce il 46% del latte italiano e dove operano 5.274 aziende per la produzione di latte, con 1.118.998 capi di bestiame. Bergamo è quarta, con 743 attività: dato in realtà il calo (erano 865 nel 2011 e 738 nel 2022), a differenza del numero di capi da latte che è invece in crescita (oltre centomila). Di fatto nella nostra provincia, in particolare in pianura, ci sono meno aziende che producono latte, ma più grosse. Sono invece 841 le aziende alimentari bergamasche: di queste, 72 si occupano della trasformazione latte (in questo caso la nostra provincia è terza).

L’analisi dei dati

Ma non è tutto oro – bianco in questo caso – quello che luccica: nella Bassa vivono 3.313 indiani sikh del totale di 10.107 indiani regolari nella Bergamasca, dato che piazza la nostra provincia al secondo posto in Lombardia e al quarto Italia. Il 35% dei sikh che vive nella Bassa lavora in ambito agricolo con contratti regolari stagionali da 35 ore e con una paga tutto sommato discreta: 1.500 euro al mese di base, più gli straordinari, con turni all’alba e al tramonto, orari tipici della mungitura. Negli anni – emerge dalla ricerca Cisl – gli indiani hanno anche acquistato e sistemato delle abitazioni, dove vivono con le famiglie (rispetto ad altre nazionalità, nel loro caso i maschi sono il 59% e le femmine il 41%, dunque la presenza è più che equilibrata). I templi sono i luoghi di incontro sociale al di fuori del lavoro, dove i sikh sono sì apprezzati per quanto fanno (dall’indagine emerge che sono ormai ritenuti «dipendenti fidati», spesso selezionati tramite «reti di parentela» già note al titolare), anche se di fatto, a livello sociale locale, «la loro accettazione non è stata priva di difficoltà e, soprattutto, non sembra particolarmente valorizzata», si legge nel rapporto, secondo cui i «sikh della Bassa pianura sono di fatto necessari, nonostante siano nascosti e, spesso, non adeguatamente riconosciuti».

E viene chiamato in causa anche il ruolo delle istituzioni, con un confronto con un’altra area geografica dove pure gli indiani sono ampiamente impiegati nel settore lattiero caseario, vale a dire la zona della filiera del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano in Emilia Romagna, cui gli indiani sono «generalmente associati» più che nella nostra pianura, «probabilmente perché hanno ricevuto un più ampio riconoscimento degli attori istituzionali e imprenditoriali di quell’area».

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